- La rivoluzione verde che si dovrà perseguire per controllare l’aumento della temperatura terrestre passa inesorabilmente da una crescita del numero di miniere sulla Terra.
- Questo è il paradosso: la crescita dell’estrazione dei minerali porta conseguenze da gestire fin da subito per evitare danni molto gravi all’ambiente.
- E poi c’è un altro fatto da tenere in considerazione: molti giacimenti minerari conosciuti sono concentrati in una manciata di paesi: la maggior parte del cobalto è in Congo, il litio in Bolivia e Cile, il nichel per batterie in Indonesia.
Se si vogliono raggiungere gli obiettivi climatici della Cop26, ossia mantenere la temperatura del pianeta al di sotto di un grado e mezzo rispetto al periodo pre-industriale, il mondo avrà bisogno di molte nuove miniere. È quello che pensa Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia (Iea), il quale ha detto a NewScientist: «I minerali sono ingredienti essenziali del futuro “sistema energia pulita”.
Se proviamo ad analizzare ciò che ci porterà ad un’energia pulita infatti, da milioni di veicoli elettrici ai pannelli solari fino alle torri eoliche – tutti hanno bisogno di minerali per essere costruiti. Enormi quantità di minerali».
Secondo un recente rapporto dell’Iea, se il mondo vuole raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette di carbonio entro il 2050, la domanda complessiva di quelli che vengono chiamati “minerali critici” – tra i quali litio, rame, cobalto, nichel e gli elementi delle terre rare, ingredienti vitali della tecnologia per l’energia pulita – aumenterà di almeno sei volte.
Un’altra stima recente dell’Istituto nazionale per gli studi ambientali del Giappone prevede un aumento della domanda di minerali di circa sette volte entro il 2050. È un’enorme sfida per la realizzazione dei nostri sogni di energia pulita. Mentre i minerali stessi non mancano, estrarli dal terreno nei giusti tempi, in quantità sufficiente e senza creare un altro mostro ambientale, è un’altra questione. Ma non c’è scelta.
Un destino inevitabile
«Dobbiamo farlo», afferma Kingsmill Bond, stratega di Carbon tracker. «Ma dobbiamo farlo nel miglior modo possibile, in modo da non distruggere di nuovo il pianeta». L’attività mineraria è già un problema per il paesaggio terrestre, anche se, innegabilmente, è necessaria. Secondo Rich Crane, ricercatore alla Camborne School of Mines in Cornovaglia, Regno Unito, anche se la tecnologia mineraria è notevolmente migliorata nel corso della storia umana, il 99 per cento di tutte le miniere di metalli si basa ancora sul processo di estrazione fisica dei minerali solidi, spesso dopo la rimozione di grandi quantità di roccia sovrastante.
Il minerale deve quindi essere lavorato, creando un’enorme quantità di rifiuti: circa 100 miliardi di tonnellate all’anno, più di qualsiasi altro flusso di rifiuti prodotto dall’uomo.
L’estrazione e la lavorazione dei minerali consuma molta energia e l’industria mineraria è uno dei maggiori emettitori di gas serra. Nel 2018, le sue emissioni globali sono state pari a 3,6 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, circa il 10 per cento del totale delle emissioni di gas serra prodotte dall’uomo.
Costi maggiori
L’attività mineraria ha anche costi ambientali e sociali ben documentati. Uno studio recente sull’estrazione di minerali nell’Amazzonia brasiliana ha scoperto che l’impatto ambientale di una singola miniera può estendersi per 70 chilometri in ogni direzione. Non è solo una questione di rifiuti tossici che spesso vengono prodotti: vanno considerati anche gli elementi aggiuntivi, come le strade necessarie allo spostamento dei materiali.
È un elemento da considerare mentre il mondo cerca di liberarsi dai combustibili fossili. Ed è innegabile che le tecnologie per l’energia pulita richiedano molti più minerali rispetto alle loro “controparti sporche”. Secondo i dati dell’Iea, un’auto elettrica richiede sei volte più minerali, esclusi acciaio e alluminio, di una a benzina, e un impianto eolico offshore 13 volte di più di una centrale a gas di pari capacità.
«Ci aspettiamo un enorme aumento della domanda per molti dei minerali vitali per la transizione energetica», afferma l’analista dell’Iea, Tae-Yoon Kim. «E ciò potrebbe rendere la transizione energetica più costosa o ritardarla».
Un segnale necessario
Già nell’ultimo anno si è assistito a forti aumenti dei prezzi di alcuni minerali e metalli essenziali. Il prezzo del litio, ad esempio, è più o meno triplicato e il cobalto è aumentato di circa il 60 per cento.
Il rame, che l’Iea descrive come “una pietra angolare per tutte le tecnologie legate all’elettricità”, con usi in linee elettriche, batterie, pannelli solari e altro, è aumentato di circa il 25 per cento.
Anche il nichel per le batterie scarseggia e ci sono preoccupazioni per i metalli delle terre rare. E non perché si ritengano insufficienti le riserve ora conosciute, in quanto nella crosta terrestre sono noti giacimenti di minerali necessari che potrebbero soddisfare le esigenze per decine se non centinaia di anni.
«Il problema», spiega Kim «è che le compagnie minerarie non sono ancora sicure che le grandi ambizioni per una transizione climatica si realizzeranno, e quindi sono scettiche all’idea di investire molto per estrarre queste riserve. I governi devono iniziare a inviare segnali di mercato più forti all’industria mineraria che dicano che la transizione energetica è iniziata».
Un problema geopolitico
Secondo l’Iea, il tempo medio necessario per convertire un giacimento minerario noto in una miniera produttiva è di 16 anni e mezzo. Il primo decennio circa è la pianificazione e gli studi di fattibilità, e poi ci vogliono altri quattro o cinque anni per scavare la miniera e costruire l’infrastruttura.
E poi c’è un altro fatto da tenere in considerazione: molti giacimenti minerari conosciuti sono concentrati in una manciata di paesi, alcuni politicamente piuttosto instabili. La maggior parte del cobalto mondiale, ad esempio, si trova nella Repubblica democratica del Congo, gran parte del litio in Bolivia e Cile, il nichel per batterie è concentrato in Indonesia e il 60 per cento della produzione di terre rare avviene in Cina.
«È preoccupante da un punto di vista geopolitico», dice Kim. «Le controversie commerciali o le catastrofi naturali in importanti paesi produttori possono avere un effetto importante sull’offerta e sui prezzi globali. Per questo motivo i governi dovrebbero intensificare il lavoro di indagine geologica per trovare nuovi depositi».
L’impatto ambientale
Da quello che si sa finora, Australia, Canada, Cile, Repubblica Democratica del Congo, Indonesia, Perù e Stati Uniti potrebbero essere i grandi vincitori del boom dei minerali verdi. La preoccupazione espressa da più parti è che, nella corsa all’estrazione di questi minerali, rischiamo di annullare i guadagni ambientali della transizione verso l’energia pulita.
In alcuni casi, le preoccupazioni per la sostenibilità ambientale sono già un ostacolo al far fronte alle richieste. Gran parte del nichel dell’Indonesia, ad esempio, si trova in aree all’interno o vicino a parchi nazionali o in aree protette.
«Non c’è motivo, tuttavia, per pensare che nel complesso il boom dei minerali verdi genererà un problema ambientale equivalente a quello che mira a risolvere», dice Bond. «Il nostro attuale sistema energetico ci richiede di estrarre e lavorare 13 miliardi di tonnellate di combustibili fossili all’anno. La cifra equivalente per i minerali critici è di 43 milioni di tonnellate. Sono 300 volte in meno. È logico che avrà un impatto ambientale minore».
Il riciclaggio
In termini di emissioni di gas serra, non c’è confronto, afferma sempre a NewScientist George Kamiya, un altro analista dell’Iea.
Nel corso della sua vita, un’auto elettrica produce la metà delle emissioni di un’auto a benzina, tenendo conto anche di quelle associate all’estrazione e alla lavorazione del litio, del cobalto e del nichel nella sua batteria. Se la batteria viene ricaricata da fonti rinnovabili di elettricità, quell’impronta si dimezza nuovamente.
Lo stesso vale in generale per altre tecnologie di energia verde. E a differenza dei combustibili fossili, che una volta bruciati rimangono bruciati, le risorse minerarie possono essere riutilizzate, in molti casi potenzialmente centinaia di volte. Con un migliore riciclaggio, ad esempio, di cobalto e nichel dalle batterie delle auto esaurite, l’intensità dell’attività mineraria dovrebbe diminuire nel tempo.
Cosa va cambiato
«Il riciclaggio è abbastanza ben consolidato per i metalli sfusi come acciaio, alluminio e rame, ma non è ancora così per altri come il litio e gli elementi delle terre rare», dice Tim Gould dell’Iea. «Questo dovrà cambiare».
L’Iea stima che tra il 2030 e il 2040 la quantità di minerali riciclati nella catena di approvvigionamento – principalmente rame, cobalto, nichel e litio dalle batterie esaurite – dovrà aumentare da circa 100mila tonnellate all’anno a 1,2 milioni di tonnellate, circa il 10 per cento della domanda totale. A tal fine, i produttori devono progettare prodotti che siano più facilmente riciclabili e i politici devono incoraggiare una raccolta e uno smistamento dei rifiuti più efficienti, afferma.
Tutto ciò potrebbe portare anche a innovazioni importanti che neppure riusciamo ad immaginare. Ad esempio, quando la crescente domanda di fotovoltaico spinse la domanda di argento e silicio, i produttori risposero trovando una soluzione che permise di ridurre la quantità di entrambi i materiali necessari in un pannello solare.
Probabilmente ci sono possibilità di efficienza simili da spremere altrove, così come la possibilità di sostituire un minerale con un altro, specialmente tra i metalli delle terre rare, un gruppo di 17 elementi che condividono molte caratteristiche fisiche e chimiche.
Le altre due crisi
Ma le emissioni di gas serra non sono l’unica crisi ambientale esistenziale che l’umanità deve affrontare. L’Onu ne riconosce altre due: la distruzione della biodiversità e l’inquinamento (con la produzione di rifiuti). Su entrambi questi fronti, l’estrazione mineraria non ha certamente un diploma a pieni voti.
All’inizio di quest’anno, un gruppo dell’Università di economia e commercio di Vienna ha pubblicato un’analisi dell’impatto dell’attività mineraria esistente sugli ecosistemi vulnerabili. Ha esaminato nove minerali metallici: bauxite (una fonte di alluminio e gallio), rame, oro, ferro, piombo, manganese, nichel, argento e zinco.
L’estrazione di tutti questi, tranne il piombo, è esplosa negli ultimi due decenni. Nel 2019, il 79 per cento del minerale estratto proveniva da cinque dei sei biomi terrestri più ricchi di specie: deserti e arbusti secchi; foreste di latifoglie umide tropicali e subtropicali; latifoglie temperate e foreste miste; praterie e arbusti montani; e praterie tropicali e subtropicali e savane.
Dal 2000, l’estrazione dal bioma più ricco di specie di tutti, le foreste di latifoglie umide tropicali e subtropicali, è più che raddoppiata, in gran parte a causa dell’espansione in Nuova Guinea, India e Indonesia. Il lavoro ha anche scoperto che la metà delle miniere di metallo del mondo si trova a 20 chilometri o meno da aree protette (si ricorda che l’impronta di una miniera può avere un raggio di 70 chilometri). E l’8 per cento della produzione globale dei metalli esaminata nel 2019, pari a 480 milioni di tonnellate, è stata estratta all’interno di aree protette.
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