«Le piogge degli ultimi giorni hanno causato solo ed esclusivamente danni. È quello che succede oggi: stiamo sei mesi senza piogge e quando arrivano i temporali è un disastro». Per il presidente dell’Anbi (Associazione nazionale dei consorzi gestione e tutela del territorio e acque irrigue) Francesco Vincenzi non ci sono dubbi: non sarà qualche precipitazione a risolvere il problema della siccità. Dopotutto è la sesta volta negli ultimi vent’anni che il nostro paese deve fare i conti con la mancanza d’acqua.

A essere in affanno è l’intero territorio nazionale, tanto che il governo ha già decretato lo stato d’emergenza per Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna, stanziando 36,5 milioni di euro. Umbria, Liguria e Lazio dovrebbero essere le prossime a inviare la richiesta.

I soldi del Pnrr

Il 5 e 6 luglio l’Anbi ha tenuto a Roma un congresso per il centenario della sua fondazione. Sul palco amministratori locali e membri dell’esecutivo che hanno richiamato la necessità di affrontare il tema della siccità non più come un’emergenza. Il Pnrr prevede la rendicontazione delle opere nel 2026 e senza progetti immediatamente cantierabili è impossibile pensare che possa essere lì la soluzione.

Ma non c’è tempo da perdere: ogni anno la siccità provoca un miliardo di danni all’agricoltura e solo l’11 per cento delle acque piovane viene recuperato nei 114 invasi distribuiti su tutto il territorio nazionale. Quello dell’acqua, ricorda Anbi, è un tema trasversale che va dal -45 per cento di piogge cadute quest’anno alla mancanza di neve sulle nostre montagne ai cambiamenti climatici che stanno rendendo il nostro territorio sempre più fragile e soggetto ai fenomeni climatici estremi.

L’Anbi calcola che ogni giorno per opere antropiche continuiamo a sottrarre alla natura 16 ettari di territorio, aumentando il rischio idrogeologico che ormai interessa il 94 per cento dei comuni italiani, Roma inclusa. Da qui la necessità di un grande sforzo per affermare in Italia una cultura dell’acqua.

Il Piano laghetti

Cosa si può fare nell’immediato? Anbi e Coldiretti hanno pronto dal 2017 il “Piano laghetti”, 10mila serbatoi da realizzare entro il 2030 per recuperare l’acqua piovana che potrebbe essere utilizzata per irrigare i campi, preservando quella potabile. Non grandi dighe, ma piccoli bacini a basso impatto ambientale, multifunzionali che consentirebbero di innalzare il recupero dell’acqua piovana, portandolo al livello europeo, che sfiora il 30 per cento. Secondo l’Anbi, quello che sta resistendo meglio alla siccità è proprio il sud, dove in passato, grazie agli investimenti della Cassa del Mezzogiorno, si sono realizzati numerosi invasi, così oggi la produzione sta continuando normalmente mentre il resto del paese è in difficoltà.

Questo perché «le migliori tecniche di efficientamento e idraulica le abbiamo sempre avute noi. Abbiamo una capacità di ingegno importante, ma è successo che alcuni paesi hanno aumentato la velocità negli investimenti. Per questo dobbiamo cambiare mentalità e strutturare il paese» dice Vincenzi. Il Piano Laghetti va in questa direzione, con un investimento di 10 miliardi per dieci anni, con 223 impianti in avanzato stato progettuale che potrebbero essere immediatamente cantierabili, innalzando in pochi anni il livello delle acque piovane recuperate fino al 40 per cento, creando 16 mila nuovi posti di lavoro. Ridurre gli sprechi, mettere in atto azioni concrete per il recupero dell’acqua, mettere mano in maniera seria alle reti idriche colabrodo dove si perde circa il 30/40 per cento e soprattutto smettere di parlare di emergenza. Queste potrebbero essere le soluzioni, note da tempo, se solo la politica si mettesse in testa, una volta per tutte, di fare sul serio.

 

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