Buongiorno, lettrici e lettori di Domani, buon mese di dicembre, questo è un nuovo numero di Areale, la newsletter sul clima, l’energia, la Terra e il futuro. Cominciamo, abbiamo tante cose su cui riflettere.

Colpo di scena nel Regno Unito

Shell si è ritirata dall’estrazione di petrolio e gas da Cambo, il nuovo giacimento al largo delle isole scozzesi delle Shetland. È la notizia più importante della settimana sul fronte della decarbonizzazione, perché mette in enorme difficoltà lo sviluppo di uno dei progetti oil&gas più contestati degli ultimi anni e traccia la strada su come si possono fermare queste iniziative: dal basso, con la pressione sociale, le proteste e le manifestazioni.

Alla Cop26 di Glasgow, il Regno Unito era arrivato con l’ombra scura di Cambo e di tutte le sue implicazioni climatiche ed energetiche a minare la credibilità della sua ambiziosa strategia di riduzione emissioni al 2030 e net zero al 2050. Nei piani di Siccar point energy, la società che lo gestisce e che lo aveva scoperto nel 2002, Cambo dovrebbe diventare operativo già dal 2022, per produrre 170 milioni di barili di petrolio nel corso di un quarto di secolo dai pozzi, trivellati in acque profonde mille metri, 125 chilometri a nord ovest dell’arcipelago delle Shetland.

La Oil and gas authority britannica deve ancora dare la sua approvazione finale e sul futuro di Cambo pendono sopratutto le minacce di cause legali da parte delle organizzazioni ambientaliste, da Greenpeace a ClientEarth. Stop Cambo era stato uno punti chiave delle proteste nelle strade di Glasgow a margine della conferenza sul clima.

È in questo scenario che è arrivata la notizia: il gigante petrolifero Shell, che deteneva il 30 per cento dell’operazione e che quindi era cruciale per il suo sviluppo, ha deciso di ritirarsi.

Le parole ufficiali di Shell sono: «Dopo una approfondita analisi della prospettiva di sviluppo di Cambo, abbiamo deciso che i vantaggi economici di questo investimento non sono sufficientemente evidenti, anche per il potenziale di ritardi nel suo sviluppo». Sono parole sobrie, ma a modo loro storiche: visto l’appoggio del governo di Boris Johnson al progetto, c’è una sola direzione dalla quale sarebbero potuti arrivare questi ritardi ed è la società civile, per la quale aver convinto Shell a ritirarsi da Cambo è una vittoria epocale.
Sulla bilancia c’erano da una parte i profitti potenziali da riscuotere nell’arco di venticinque anni, dall’altra i tempi e i costi economici e politici nel dover fronteggiare anni di proteste e azioni legali.

Il fronte che va dalla prima ministra scozzese Nicola Sturgeon alle organizzazioni ambientaliste si è mostrato abbastanza ampio e compatto da scoraggiare anche un gigante come Shell, che nella nota ha comunque ribadito il suo interesse nello sviluppo di petrolio e gas nel Mare del nord.

Non è quindi una vittoria che cambia completamente lo scenario energetico né di Shell né del Regno Unito, anche perché il progetto rimane ancora in piedi e Siccar point energy cercherà nuovi partner per il suo sviluppo, ma è un precedente importante.

Il movimento Stop Cambo dalla sua aveva non solo l’impegno politico di Johnson nella diplomazia climatica di Cop26 e i relativi piani britannici di azzerare le emissioni entro metà secolo, ma anche l’ultimo report dell’Agenzia internazionale dell’energia. La Iea ha scritto nel rapporto di maggio 2021 che nessun nuovo progetto di estrazione di petrolio o gas deve partire dal 2022 in poi se vogliamo mantenere l’obiettivo di 1,5°C alla portata.

Lasciare carbone, gas e petrolio lì dove stanno, nel sottosuolo, è l’impostazione della solitamente conservatrice agenzia con sede a Parigi. L’uscita di Shell da Cambo è un passo importante in quella direzione.

Foto Agf

La partita italiana del gas

E in Italia? Cosa succede in Italia? Lo ha raccontato su Domani Vanessa Ricciardi, partendo dalla presentazione romana del Manifesto lavoro ed energia per una transizione sostenibile, al quale sono intervenuti anche Draghi e Cingolani.

Le parole più chiare le ha pronunciate Giuseppe Ricci, presidente di Confindustria energia e dirigente Eni: «Alla massima spinta delle rinnovabili, occorre affiancare lo sfruttamento del gas». E ancora, nel manifesto: sostegno alla cattura e stoccaggio della Co2 (che questa settimana il ceo di Enel Starace ha bollato come inutile tecnologicamente ed energeticamente) e alla produzione di idrogeno a prescindere dal colore, quindi non solo verde (da rinnovabili) ma anche blu (da gas).

Il ministro della Transizione ecologica Cingolani ha apprezzato il documento al punto da dire: «Posso tradurlo? Così porto questo documento alla ministeriale sull’energia di giovedì e faccio conoscere questo bel risultato». La partita che stiamo giocando è quella della tassonomia, la strategia italiana è far inserire il gas tra le fonti di energia pulita, mentre Cingolani ha anche ribadito l’apertura italiana al nucleare di quarta generazione.

Qui l’articolo completo.

Quello che succede in Artico non rimane in Artico

Come sapete, non ho sposato la linea del racconto di Cop26 come fallimento totale. Ci sono stati dei risultati, sia in termini di impatto concreto e operativo che di eredità sull’azione climatica nel futuro. Ma alla fine l’unica realtà che conta è l’atmosfera e quello che succede nell’atmosfera, e la conferenza sul clima di Glasgow ha reso solo più chiaro e conciso il divario che c’è ancora tra gli allarmi che lancia la scienza e quello che la politica fa (o che può fare, o che è in grado di fare, possiamo mettere qualsiasi attenuazione).

E intanto la ricerca continua a produrre informazioni allarmanti che è importante però conoscere, perché sono mappe che segnano la distanza tra noi e il precipizio.

Dunque: una ricerca internazionale guidata dall’università canadese di Manitoba ha ricostruito in base ai suoi modelli un nuovo potenziale catastrofico effetto della crisi climatica: in Artico nei prossimi decenni la pioggia potrebbe rimpiazzare la neve come precipitazione più frequente e sarebbe un cambiamento epocale dalle conseguenze poco prevedibili, l’innesco di un collasso di sistema, perché «quello che succede in Artico non rimane in Artico», come ha detto Michelle McCrystall, scienziata a guida del progetto.

Se la pioggia diventa la precipitazione più comune sopra il Circolo polare artico si alza ulteriormente il livello del mare, si innesca ancora con più forza il pericolosissimo scioglimento del permafrost, si forma meno ghiaccio marino e vanno in crisi anche gli ecosistemi locali. (Non vorreste essere una renna in un Artico dove piove più spesso di quanto nevica).

In un mondo più caldo di 3°C succederebbe in tutta la regione, anche a latitudini estremamente settentrionali, ma anche dentro i limiti dell’Accordo di Parigi (2°C) la Groenlandia e il nord della Norvegia diventerebbero posti dove è più facile trovarsi sotto un temporale che sotto una nevicata.

Foto AGF

La storia del volo United sostenibile

C’è un volo che merita di essere raccontato: quello United tra l’aeroporto di Chicago’s O’Hare a quello di Washington. È il primo nella storia alimentato al 50 per cento dal Saf – il sustainable aviation fuel, carburante sostenibile per l’aviazione, composto da oli di scarto, residui agricoli e rifiuti.

Quello del volo United è prodotto da World energy, ma tante grandi aziende oil&gas stanno lavorando su questo fronte (Eni, Shell, Bp). Non è un proiettile d’argento per decarbonizzare l’aviazione, la sostenibilità reale è un’altra cosa, ma sicuramente questi carburanti hanno il potenziale per fare da ponte verso un futuro elettrico (che per l’aviazione è comunque molto lontano). Il problema è non rimanere in modo permanente su questo ponte.
Il Saf viene già usato miscelato al carburante normale da fonti fossili, ma in percentuali molto minori del volo United, che aveva lo scopo di dimostrare che un motore interamente alimentato da Saf può essere operativamente uguale per performance e sicurezza a un motore alimentato da cherosene.

È la prima volta che succede in una rotta commerciale. La principale barriera per l’utilizzo di questi carburanti è al momento quella dei costi, che sono molto più alti di quelli del cherosene tradizionale. Ma è un passo e tutti i passi contano. 

I conflitti locali del litio

Le organizzazioni ambientaliste in Serbia sono molto agitate e negli scorsi giorni hanno bloccato Belgrado, Novi Sad e altre città, per protestare contro un progetto di estrazione da parte dell’anglo-australiana Rio Tinto di depositi di litio scoperti quindici anni fa nella parte occidentale del paese.

La compagnia mineraria ha già iniziato a comprare i terreni, ha in programma di investire 2,6 miliardi di dollari ma non ha ancora ottenuto la licenza dal governo (che però sta per varare una legge per favorire gli espropri dei terreni interessati).

Il litio è uno dei materiali base per la transizione energetica, componente fondamentale sia per le batterie dei veicoli elettrici che per gli accumuli necessari a rendere stabili le fonti rinnovabili di energia.

C’è stato un conflitto simile quest’anno nel nord del Portogallo, nella provincia di Tras-os-Montes, con la stessa dinamica: la paura di danni ecologici permanenti (quella di litio è un’estrazione inquinante ed energivora) contro la voglia di sfruttare la riserva di uno degli elementi più ambiti del futuro: la produzione di litio è aumentata del 335 per cento negli ultimi dieci anni e siamo solo all’inizio della transizione energetica. Il Portogallo peraltro ha una delle riserve più importanti d’Europa e ha un’articolata strategia legata a questo minerale.

Oggi il principale produttore è l’Australia, mentre il principale utilizzatore è la Cina, che ne è anche il terzo estrattore. E infine c’è il triangolo sudamericano del litio, tra Cile, Argentina e Bolivia. Dalla mappa globale del litio l’Europa è assente.

Letture per le feste

Chiudiamo con due libri, perché ogni tanto è importante parlare anche di libri ed era un po’ che non lo facevamo. Sono molto diversi tra loro, entrambi però ci riportano a un’idea fondamentale per il pensiero ambientalista. Quella di complessità.

Il primo è Ecologista a chi? di Roberto Della Seta (Salerno Editrice). È un saggio che parte da un’interconnessione così evidente che è stata interpretata spesso in modo un po’ arbitrario: quella tra ambiente e pandemia.

Della Seta si districa, schivandole, dalle due letture opposte che si possono dare in merito al rapporto tra esseri umani e natura al tempo del Covid-19 (la natura che ci aggredisce Vs noi abbiamo aggredito lei) per provare a mettere un po’ di ordine, con ardore e razionalità.

Della Seta è stato presidente di Legambiente ed è uno dei padri del pensiero e dell’azione ambientalista in Italia. Presenterà il libro a Roma, a Più Libri Più Liberi, nella Sala Luna, il 5 dicembre alle 17.30, in un dibattito con Nicola Zingaretti, Ermete Realacci e la giornalista di Domani Daniela Preziosi.

Il secondo lo ha scritto un amico di Areale, Luigi Torreggiani, co-conduttore e co-autore del podcast Vaia. Si intitola Il mio bosco è di tutti (Compagnie delle Foreste), è un romanzo per ragazzi, quei romanzi per ragazzi che sono un buon investimento anche da leggere da adulti.

È una storia di formazione che si svolge a margine del bosco, inteso come luogo fisico e sociale di confronto e conflitto. Due ragazzi si innamorano, vengono da due famiglie che hanno un rapporto molto intenso con i boschi italiani, ma da due direzioni diverse. I genitori di Pietro sono forestali, quelli di Gemma ambientalisti, due fazioni che probabilmente devono smettere di considerarsi da lati opposti della barricata, e questo è il punto di vista di Torreggiani nel libro e in tutto il suo lavoro.

Il mio bosco è di tutti è affronta tutto questo in una storia delicata, divertente e densa. Il target editoriale sono gli studenti e le studentesse delle scuole medie, ma i target editoriali sono anche fatti per essere superati. Lo trovate qui.

Per questa settimana è tutto, io vi ringrazio tanto per aver letto fin qui, come sempre per osservazioni, spunti, critiche e commenti scrivetemi a ferdinando.cotugno@gmail.com. Per comunicare con Domani invece l’indirizzo è lettori@editorialedomani.it
Grazie!

Ferdinando Cotugno

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