Il 14 ottobre 2024 il Consiglio dell’Unione europea dei ministri dell’Ambiente ha approvato la nuova direttiva comunitaria sulla qualità dell’aria, che modifica i livelli massimi di polveri sottili nell’aria, avvicinandosi ai limiti consigliati dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Questi limiti erano stati introdotti nel settembre del 2021, dopo l’ultimo aggiornamento del 2005. 

Le polveri sottili

Le polveri sottili sono costituite da particelle di inquinanti che si suddividono in diversi tipi: il particolato fine, il Pm2,5, con un diametro inferiore o uguale ai 2,5 micrometri; il Pm10, particolato con particelle di diametro tra i 2,5 e i 10 micrometri; il biossido di azoto (No2); il biossido di zolfo (So2); l’ozono (O3); il monossido di carbonio (Co).

Questi inquinanti, soprattutto il particolato fine, sono molto dannosi per i polmoni e possono provocare malattie respiratorie. Secondo l’Ue, sono 300mila i decessi prematuri dovuti a queste polveri sottili ogni anno in Europa e nel 2020 ci sono stati 238mila decessi prematuri, «12 volte il numero di vittime degli incidenti stradali (che nel 2020 sono state 18.800)». Dal 1990, fa notare l’Unione europea, le emissioni di polveri sottili sono in continua diminuzione e l’obiettivo sarebbe raggiungere il cosiddetto «inquinamento zero» nel 2050, ovvero raggiungere un livello di inquinamento atmosferico non dannoso per la salute delle persone. 

Perché le polveri sottili non siano dannose per la salute, l’Oms indica nelle proprie linee guida un limite annuale di 5 µg/m3 (microgrammi per metro cubo) di Pm2,5 nell’aria, di 15 µg/m3 di Pm10, di 60 µg/m3 di O3, di 10 µg/m3 di No2. I livelli di So2 e Co critici sono invece calcolati su base giornaliera rispettivamente in 40 µg/m3 e 4 mg/m3.

In Italia la situazione dell’inquinamento atmosferico è abbastanza negativa, soprattutto nella Pianura padana che risulta una delle zone più inquinate d’Europa, anche (ma non solo) a causa della sua conformazione fisica circondata dalle montagne che limitano la circolazione delle correnti ventose. 

Secondo il report Mal’aria di città che Legambiente redige ogni anno nel 2023, tra le prime sei città per numero di giorni in un anno di sforamento dei limiti europei di Pm10, cinque erano nella Pianura padana. Inoltre, la città di Frosinone ha superato per 70 giorni i limiti, Torino per 66, Treviso per 63, Mantova, Padova e Venezia per 62. 

Secondo i dati medi annuali di 2022 e 2023 raccolti dalla European environment agency sul Pm2,5 nelle città europee, le città italiane non sono poi quelle messe peggio nell’Unione a livello di inquinamento da particolato fine. Tuttavia, nel nostro paese si concentrano molte delle città in cui la qualità dell’aria viene considerata «povera». A livello esemplificativo, si inseriscono nel grafico qui sotto alcune città europee per mostrare la differenza tra i vari stati e tra i livelli di Pm2,5 nelle città rispetto ai livelli massimi consigliati dall’Oms.

La nuova direttiva europea

Il nuovo obiettivo comunitario è raggiungere i nuovi valori limite entro il 2030, con la possibilità di deroga in alcuni casi. Prendendo in considerazione il particolato, molto dannoso per la salute, il valore massimo annuale di Pm2,5 scende da 25 µg/m3 a 10 µg/m3. Quello di Pm10 passa da 40 µg/m3 a 20 µg/m3. La riduzione a questi livelli di Pm2,5, per esempio, potrebbe secondo l’Unione portare a una diminuzione dei decessi a esso legati del 75 per cento in dieci anni. 

Gli stati dovranno «elaborare tabelle di marcia e piani per la qualità dell'aria per le zone in cui i livelli di inquinanti superano i valori limite e i valori obiettivo e di adottare misure adeguate per ridurre al minimo il periodo di superamento». La Commissione provvederà poi a riesaminare gli standard raggiunti entro il 2030 e poi ogni cinque anni.

In alcuni casi poi gli stati possono chiedere una proroga dei termini per raggiungere questi obiettivi. Entro il 2040 se la richiesta è giustificata per esempio da condizioni geografiche e fisiche che complicano il raggiungimento degli obiettivi. Oppure entro il 2035 se le proiezioni che tengono conto della messa in campo di misure efficaci dimostrano che non sarebbe possibile il raggiungimento dell’obiettivo per il 2030.

Inoltre gli stati che chiedono la proroga devono presentare una tabella di marcia entro la fine del 2028, integrata da informazioni su misure di abbattimento, unite ad altre condizioni. Insomma, gli stati potrebbero ottenere la proroga, ma devono dimostrare azioni concrete che possano far pensare che l’obiettivo sarebbe comunque raggiunto.

In una tale situazione spera per esempio l’Italia, che ritiene che la conformazione della Pianura padana crei una condizione svantaggiosa in partenza, anche se verrebbe da pensare che proprio in queste zone ci vorrebbero misure più incisive e più repentine. 

I pro e i contro

Secondo Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente, la nuova direttiva europea va «nella giusta direzione ed è stata abbastanza incisiva. Le stesse valutazioni dell’Oms sono un lavoro in progress dato che fino a qualche anno fa il valore limite era 10 µg/m3». La direttiva, infatti, riduce di più della metà i valori limite e può essere considerata come un buon compromesso tra fattibilità, economicità degli investimenti necessari e valori di polveri sottili considerati sicuri per la salute dall’Oms.

Valori che, tra l’altro, non danno la certezza «che sei stai a 4,9 µg/m3 poi non sorgono problemi sanitari. Questo ce lo diranno gli studi dei prossimi decenni». Il percorso della normativa va visto in ottica di progressione. Questo «è un ottimo punto di partenza, che finalmente ha capito che l’aspetto sanitario è fondamentale e quindi tende ad avvicinarsi a quei valori suggeriti dall’Oms, sapendo che già sarà un traguardo se al 2030, 2035 o 2040 gran parte dei cittadini europei potrà respirare l’aria con quel tipo di qualità raggiunta – aggiunge Minutolo –. Sarà un percorso a ostacoli e non è detto che lo si raggiunga ma è giusto alzare l’asticella».

Le deroghe secondo Andrea Minutolo non sono uno strumento sbagliato. Erano presenti anche nella scorsa direttiva e possono funzionare se i paesi dimostrano di star facendo tutto il possibile per raggiungere gli obiettivi e che ci sarà un percorso che vuole raggiungerli in breve tempo, anche se oltre la regola.

La situazione italiana, tuttavia, non sembra da tempo essere questa. La conformazione fisica della Pianura padana infatti è già stata usata come giustificazione quando era stata redatta la scorsa direttiva, nel frattempo però l’Europa ha detto chiaramente e più volte che non stiamo facendo abbastanza per compensare e superare questo problema. «L’Europa ha già detto che non stiamo affrontando la questione con misure efficaci. Anche la Corte di giustizia europea ha detto che l’Italia non ha mai dimostrato che le azioni messe in campo siano tali da giustificare un ritardo nell’applicazione della direttiva».

Sulla nuova direttiva «già pensiamo di avere deroghe, che l’Europa ci ha già bloccato perché porteremo le stesse argomentazioni che l’Europa ci boccerà di nuovo». L’Italia ha infatti sempre detto che le emissioni sono in netto calo dagli anni ‘90, ma questo è anche grazie a importanti progressi tecnologici. Per esempio le macchine inquinano di meno, ma lo stato e le regioni non hanno implementato significative politiche di mobilità urbana e «il numero delle auto è aumentato». 

E questa è soltanto una delle misure che possono essere messe in campo e non è una sola di queste che può avere un effetto, che comunque si potrebbe vedere soprattutto nel lungo periodo, non da un giorno all’altro. Ciò che è importante, dice Andrea Minutolo «è avere una visione d’insieme e integrale. Porre negli anni l’attenzione alla risoluzione di questo problema». 

© Riproduzione riservata