Sono nelle nostre case, nelle auto, nelle scuole e negli uffici. Ognuno di noi ne ha almeno uno in tasca e sono dei piccoli scrigni di elementi e terre rare. Dispositivi elettrici ed elettronici, elettrodomestici, pile, lampade che riempiono ogni angolo della nostra vita.

Che la migliorano certo, ma che una volta divenuti obsoleti o inutilizzabili, si trasformano in rifiuti a tutti gli effetti, tra i più problematici e difficili da gestire, sia per la componentistica, sia per la tipologia dei materiali di cui sono composti. E molti, troppi, vengono stipati nelle soffitte o nei cassetti, mentre nella peggiore delle ipotesi, finiscono in discarica.

Secondo il Weee forum, associazione internazionale che rappresenta la maggior parte dei produttori e dei consorzi di raccolta e gestione dei rifiuti elettrici ed elettronici (Raee), dei 16 miliardi di telefoni cellulari posseduti a livello mondiale, circa 5,3 miliardi sono diventati rifiuti nel 2022.

Impilati uno sopra l'altro coprirebbero un ottavo della distanza media tra la Terra e la Luna, ovvero poco più di 48mila chilometri, l'altezza di circa sei Everest.

In un recente sondaggio, condotto su 8.775 famiglie europee in sei paesi diversi - Portogallo, Paesi Bassi, Italia, Romania e Slovenia -, si è mostrato come una famiglia media detenga almeno 74 prodotti elettronici fra telefoni, tablet, computer portatili, utensili elettrici, asciugacapelli, tostapane: di questi 13 rimarrebbero inutilizzati, perché o sono rotti o perché potrebbero “servire in futuro”.

Oggetti che invece, se raccolti e riciclati correttamente fornirebbero materie prime seconde di grande valore economico: rame, cadmio, cobalto, palladio, oro, ferro, alluminio, solo per citarne alcuni.

Quanti rifiuti produciamo

Ikon Images via AP

Negli anni l'elettronica di consumo è diventata pervasiva nella nostra vita, e di fronte ad una potenziale elettrificazione dei consumi energetici, nei trasporti e nel settore domestico, si andrà in contro ad un ulteriore aumento dei cosiddetti Raee.

L'Istituto delle Nazioni Unite per la formazione e la ricerca (Unitar), stima che nel mondo si producano 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici ogni anno, con diverse e ovvie disparità tra paesi ricchi e paesi in via di sviluppo, che cresceranno a oltre 74 milioni nel 2030, raddoppiando i numeri del 2014. ù

Nella ricca Norvegia ad esempio si producono circa 28,5 chilogrammi pro capite, mentre sono meno di due quelli prodotti dai paesi africani in via di sviluppo.

Non sorprende quindi che ogni singolo cittadino europeo, nel 2019, abbia generato più di 16 chilogrammi a testa di rifiuti elettronici, il tasso più alto al mondo.

Al secondo posto si trova l'Oceania (16,1 kg pro capite), seguita dell'America (13,3 kg pro capite) e infine da Asia e Africa  con rispettivamente 5,6 e 2,5 chilogrammi. Ma che fine fanno lavatrici, computer, telefoni e lampade?

In Europa il tasso di recupero si aggira intorno al 40 per cento dell'immesso al consumo - ben lontano dal 65 per cento previsto dalla direttiva del 2012 - con discrepanze notevoli tra i vari paesi: la Croazia risulta la più virtuosa (81 per cento), mentre Malta è il fanalino di coda (21 per cento).

Il resto o scompare letteralmente dai radar, ritornando nel mercato di seconda mano o nel traffico illecito di rifiuti, o finisce direttamente in discarica.

Ricicliamo ancora poco

Se per le altre tipologie di rifiuto, come possono essere plastica, vetro e carta, le percentuali sono decisamente maggiori, i Raee rimangono una spina nel fianco per l'Europa, nonostante questa categoria sia una miniera di materie prime.

Basti pensare che un singolo smartphone, oggi, contiene circa un'ottantina di elementi della tavola periodica, mentre fino a qualche decennio fa erano una decina.

Se non adeguatamente intercettati e gestiti, queste tipologie di rifiuto possono causare gravissimi impatti sia sulla salute che sull'ambiente: se fino a qualche tempo si dava più attenzione agli impatti lungo il ciclo di vita utile dell'elettrodomestico, e principalmente sui consumi energetici, oggi l'attenzione si è spostata per lo più sulla fase di produzione ed estrazione delle materie prime.

Non è un mistero infatti che l'estrazione delle cosiddette terre rare utilizzino più terra, acqua ed energia, rispetto agli altri materiali, oltre a destare preoccupazione per le questioni socioeconomiche, tra cui i rischi per la salute, i diritti umani e i conflitti legati al processo di estrazione.

Anche le sostanze tossiche utilizzate nella produzione possono lasciare una lunga scia di inquinamento: ad esempio i gas fluorurati, utilizzati nella produzione di schermi piatti Lcd, hanno un potenziale di effetto serra migliaia di volte superiore a quello della CO2, con una permanenza in atmosfera che si aggira intorno ai 3mila anni.

È indubbio quindi che realizzare una filiera di riciclo in grado di aumentare i tassi di recupero sia fondamentale, non solo per rendere l'Europa più indipendente dall'estero, ma soprattutto per ridurre l'impronta carbonica dei device.

Ma un rifiuto elettronico mal gestito e non riciclato correttamente è anche un rischio per la salute.

I pericoli 

ASSOCIATED PRESS

Nel 2021 l'Organizzazione mondiale della salute ha realizzato una revisione sistematica dei rischi crescenti a cui sono esposti i circa 73 milioni di bambini che lavorano nel settore industriale, trattamento dei rifiuti compreso, sottolineando come ai siti di smaltimento di rifiuti, spesso illegali o comunque senza alcun tipo di protezione, siano collegati gravi contaminazioni.

Il disassemblamento, la combustione e l'abbandono dei materiali rilasciano metalli pesanti, diossine, furani, policlorobifenili (Pcb), composti bromurati e idrocarburi policiclici aromatici (Ipa).

Tutti composti chimici collegati a gravi malformazioni per il feto, a danni cerebrali, alla tiroide, a problemi cardiovascolari e molti altri.

Contando che di circa 44 milioni di tonnellate di Raee (secondo stime delle Nazioni Unite), circa l'83 per cento, non si conosce la destinazione finale, risulta evidente il rischio che i paesi più poveri o in via di sviluppo siano quelli che debbano affrontare il rischio maggiore, dato che spesso sono i luoghi dove gran parte dei rifiuti viene esportata e lavorata, spesso in condizioni precarie e senza alcun dispositivo di protezione.

In Italia situazione allarmante

Nel nostro paese le performance di raccolta e riciclo sono piuttosto altalenanti, e oggi la quota gestita si aggira intorno ad un misero 30 per cento.

I fattori determinanti sono molteplici, e vanno da una mancata conoscenza della tipologia di rifiuto da parte dei cittadini, ad una filiera non ancora matura, alla mancanza di impiantistica, fino al cosiddetto “mercato parallelo”, spesso illecito, con operatori che operano al di fuori dei consorzi nazionali o soggetti non autorizzati che cercano di massimizzare i propri profitti estraendo dai Raee le materie più facili, senza curarsi dell’impatto ambientale del trattamento.

Basti pensare che il valore del ferro è cresciuto del 64 per cento tra il 2020 e il 2022, il rame  del 57 per cento e l'alluminio addirittura del 76 per cento.

«Siamo di fronte a una situazione allarmante, che non può essere trascurata», commentava in una nota Giorgio Arienti, direttore generale di Erion Weee, consorzio dedicato alla gestione dei rifiuti elettrici e che gestisce circa il 69 per cento dell'intero sistema italiano. “Sono ancora troppi i Raee che finiscono nelle mani sbagliate”.

Secondo i dati più recenti rilasciati dal consorzio, nel 2022 sarebbero oltre 246mila le tonnellate intercettate, in diminuzione di circa il 7 per cento rispetto all'anno precedente.

Anche in questo caso torna in auge il fatto che molti tra noi si trasformano in accumulatori seriali, riempendo soffitte, cassetti o cantine di oggetti poco o per nulla utilizzati.

Secondo un sondaggio condotto sempre da Erion, l’81 per cento degli intervistati dichiara di possederne almeno uno in casa ancora funzionante, ma inutilizzato e il 61 per cento lo tiene anche se rotto: si tratta di vecchi cellulari, caricabatterie o laptop.

Il motivo risiederebbe nel fatto di avere la possibilità di ripararlo, usare le parti di ricambio o semplicemente il fatto di non conoscere la corretta procedura di smaltimento (23 per cento).

E anche in questo caso c'è da sottolineare un dato fondamentale: solo il 14 per cento delle persone contattate afferma di conoscere le modalità di conferimento “uno contro uno” e “uno contro zero”. Ancora troppo poche, nonostante le numerose campagne informative.

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