La prossima campagna elettorale per le europee dovrà avere al centro la sfida di come garantire sicurezza e indipendenza energetica attraverso l’uscita dalle fossili. La sfida con i sovranisti va aperta sulle scelte per il futuro che possono essere risolte solo da un’Europa federale
Ma quanto è importante oggi la questione dell’indipendenza energetica per l’Italia? Dopo la crisi scoppiata con l’invasione russa in Ucraina, la dipendenza per gli approvvigionamenti strategici dall’estero è stata al centro del dibattito mentre oggi sembra tornata in secondo piano.
Eppure, malgrado la situazione sia finalmente tornata alla normalità grazie alla riduzione dei consumi di gas e alla diversificazione dei paesi da cui lo importiamo via mare e tubi, non possiamo dirci sicuri e rimaniamo in balia degli eventi internazionali. È un libro recente uscito per Il Mulino, di G. B. Zorzoli dal titolo Gli errori fecondi, a ricordarci quanto sia importante leggere i fatti che riguardano l’energia dentro i processi e le periodiche crisi che, dal 1973 con lo scoppio della guerra del Kippur tra Israele e paesi arabi, mettono in crisi il sistema.
Soprattutto, è importante imparare dagli errori e comprendere il contesto dentro cui ci si muove, tra interessi in gioco dei paesi, delle imprese, del ruolo che svolgono le innovazioni tecnologiche. Ci riguarda, perché se non aggiorniamo la discussione sull’indipendenza energetica alla situazione odierna rischiamo errori dalle conseguenze gravi. Un’opportunità per discuterne con uno sguardo al futuro è la campagna elettorale per le elezioni europee.
Perché oggi si contrappongono due visioni rispetto a questa sfida. Da un lato chi pensa che sia possibile per ogni paese (o perfino regione) perseguire la sicurezza continuando con l’attuale modello energetico e attraverso più solide alleanze strategiche con i paesi da cui dipendiamo per le fonti fossili. E dall’altro chi vede nell’Europa la chiave per disegnare un modello invece profondamente diverso, dove si riduce drasticamente la dipendenza dall’estero attraverso la produzione da fonti rinnovabili e l’efficienza energetica.
Tutta la discussione sul Green deal europeo, con le crescenti critiche e perfino i passi indietro della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, può essere letta dentro il conflitto tra queste due visioni: sovranista e a difesa delle fossili o europeista e proiettata nella transizione climatica. Ma gli schematismi non aiutano a capire dove sta l’interesse per un paese come l’Italia.
La nuova dimensione
Ha ragione chi mette in evidenza il rischio di una nuova dipendenza da alcuni paesi per le terre rare necessarie a costruire pannelli solari, accumuli, auto elettriche. Dobbiamo evitare di ripetere una situazione di cui oggi siamo vittime per le importazioni di petrolio, gas, carbone.
Ma la differenza delle condizioni è profonda. Perché riguarda le tecnologie e non le fonti, e nessuna guerra o crisi internazionale ci potrà portare via il sole, il vento e le altre risorse che oggi permettono di produrre il 40 per cento circa dell’energia elettrica che consumiamo in Italia. E poi perché sono incomparabili le prospettive di ricerca e innovazione tra il modello esistente e quello incentrato sulle rinnovabili. Basta vedere le riduzioni dei costi avvenuta negli ultimi anni, i miglioramenti di efficienza, l’articolazione dei materiali su cui si sta facendo sperimentazione per diversificare e ridurre i costi. C’è molto da risolvere, ma il mondo sta andando in quella direzione e proprio chi oggi evidenzia i pericoli della dipendenza dalla Cina per l’automotive o per le tecnologie green sono coloro che sostenevano che queste innovazioni non avevano speranza. In ogni caso, è vero che abbiamo molto da rischiare se questa prevalenza e dipendenza tecnologica continuerà a crescere. Cosa ci vorrebbe?
Più ricerca sui materiali alternativi alle terre rare, più centri di ricerca e risorse per sperimentazioni e fabbriche, efficaci meccanismi di verifica e tassazione sulle importazioni che permettano di non penalizzare sul mercato i beni che sono stati realizzati con minori emissioni di CO2. Il paradosso è che si tratta esattamente di quanto l’Unione europea ha messo in campo nella legislatura che si sta chiudendo, e che hanno prodotto dei primi risultati che dovrebbero essere la base di partenza per un rilancio in grande scala. Soprattutto perché non esiste paese che su queste sfide abbia la minima possibilità di competere da solo nei mercati globalizzati.
Connessioni
Ma è davvero possibile garantire la sicurezza in un paese con milioni di impianti distribuiti e una produzione che dipende dal tempo e dalle stagioni? L’innovazione tecnologica e la digitalizzazione dei dati stanno dimostrando che uno alla volta tutti i limiti fisici immaginati per un modello incentrato sulle rinnovabili e sulla elettrificazione dei consumi si possono abbattere. Avviene in ogni parte del mondo, con esempi sempre più diffusi, grandi e articolati. E si dimostra che progressivamente il ruolo del gas può diventare sempre più marginale e di riserva, mentre crescono non solo la produzione da energie rinnovabili ma soprattutto le interconnessioni a tutte le scale e anche i sistemi di accumulo.
Dove sta la sfida? Nel fare in modo che un paese come l’Italia non perda il treno di questa rivoluzione in corso, andando dietro agli interessi dei soliti gruppi energetici e industriali che hanno fatto perdere tempo e competitività al paese in questi anni. Lo misureremo dal tempo che ci metterà Terna a realizzare le grandi connessioni con Sardegna, Sicilia, attraverso l’Adriatico e le Alpi.
Da quanto cresceranno gli investimenti nelle reti locali e nei sistemi di accumulo dell’energia, distribuiti e connessi con gli impianti da fonti rinnovabili, di quelli indispensabili a difendere le reti e i server dagli attacchi cyber, dalle ondate di calo o da alluvioni. È un cambio culturale radicale, perché ha al centro l’interconnessione, la flessibilità e l’adattività dei sistemi energetici. Come avvenuto a Prato allo Stelvio, in Alto Adige, durante il black out nazionale del settembre 2003. Quel comune possedeva la rete elettrica – per un antico lascito normativo – e diversi impianti da fonti rinnovabili. Per cui si è potuto staccare, andando avanti con i propri impianti fino a quando non è stato ripristinato tutto.
Si sente dire che è cambiato il vento per la transizione energetica, che ora avrà un brusco stop. Ma va compreso che il quadro intorno a noi è profondamente diverso dal passato, con opportunità impensabili solo pochi anni fa, e sarà la non dipendenza da fattori imprevedibili e internazionali a definire il nostro futuro.
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