«Non fare entrare nessun cartello di protesta», bisbiglia l’addetto alla sicurezza al suo collega all’ingresso del centro socio-culturale di Échassières, nel dipartimento dell’Allier, dove si è tenuto, il 18 luglio 2024, l’ultimo dibattito pubblico sul progetto della miniera di litio Emili.

Lontano dagli occhi, ma vicino al cuore della Francia, i 400 abitanti di questo paesino si sono confrontati quattro mesi, a sprazzi in maniera accesa, con le istituzioni e i rappresentanti dell’impresa Imerys, leader mondiale nell’estrazione di materie prime industriali.

Già presente sul sito con una cava di caolino, un’argilla biancastra, Imerys vuole trasformare questo angolo remoto del paese nel centro nevralgico della transizione energetica francese dal 2028.

Secondo l’azienda, le riserve stimate permettono l’estrazione di 34.000 tonnellate l’anno di idrossido di litio, sufficienti ad alimentare 700mila batterie elettriche per almeno 25 anni.

Un investimento da un miliardo di euro sostenuto da Imerys e dal gestore della rete elettrica francese RTE, con la promessa di creare 600 posti di lavoro diretti ed emancipare il paese dal litio cinese, cileno o australiano.

Una miniera dopo 50 anni

«Si tratta del primo progetto minerario in Francia da 50 anni. Un tassello fondamentale per la sovranità industriale, in particolare per il mercato dei veicoli elettrici», dice Emmanuel Hache, economista all’Istituto francese del petrolio e delle nuove energie (Ifpen).

Per la Francia, che importa il 95 per cento dei minerali utilizzati dal settore secondario, è una spinta alla reindustrializzazione promessa da Emmanuel Macron e all’obiettivo di produrre due milioni di auto elettriche sul territorio nel 2030.

Dopo mezzo secolo di delocalizzazioni il compito è arduo: «Non siamo più capaci, la miniera è un oggetto nuovo. Il codice minerario era inadeguato. Stiamo creando un modello per il futuro», risponde a Domani Mathias Bourrissoux, presidente della commissione del dibattito pubblico sulla miniera, dopo oltre tre ore di discussioni.

Rispetto a un parco eolico o a una centrale fotovoltaica, l’impatto di una miniera è ben più profondo: inquinamento atmosferico, acustico, danni alla biodiversità e non solo.

Estrarre il litio significa prelevare il granito, frantumarlo, setacciarlo e applicare dei trattamenti chimici: dove stoccare i residui? Una tonnellata di litio necessita 469 m3 d’acqua: come gestire questa risorsa, soprattutto nei periodi di siccità?

Domande a cui Imerys risponde in maniera parziale, adducendo lo stadio prematuro del progetto. «Andiamo avanti nonostante manchino delle informazioni cruciali», dice Romain, residente nel comune vicino di Montluçon, dov’è previsto il sito di trattamento del litio. Che aggiunge: «In caso di complicazioni, chi sarà il responsabile penale? Dopo questi quattro mesi ho più domande che risposte».

Metalli

Sì al litio, ma per cosa

Circa il 60 per cento del litio estratto nel mondo finisce nelle batterie delle macchine elettriche e, stando all’Agenzia internazionale dell’energia, la domanda di litio in Europa verrà moltiplicata per 13 entro il 2040. Il dubbio sul giacimento Emili non è tanto se si farà, ma quando. Riconosciuta progetto d’interesse nazionale maggiore dallo stato il 7 luglio, questa cava pare indispensabile per traghettare il paese nell’èra della transizione energetica.

Soprattutto nell’ottica di decarbonizzare il settore dei trasporti, l’unico a non aver diminuito il proprio impatto dal 1990 e responsabile di un terzo delle emissioni di CO2 francesi. Un tasto dolente in una regione rurale come l’Allier, sprovvista di un trasporto pubblico efficiente.

«Le persone sono favorevoli all’apertura della miniera, ma non per delle Tesla. Significa che riflettono sul perché. Il consenso della popolazione non riguarda solo la miniera, ma la ragione per cui si estrae la materia», dice Emmanuel Hache.

«Se il litio estratto qui serve a costruire delle batterie all’estero, mi oppongo. Bisogna sviluppare l’industria francese. Il grande torto dei nostri capi di Stato è stato quello di deindustrializzare la Francia», sostiene Marguerite, la cui casa fiancheggia la linea ferroviaria su cui dovrebbero passare i vagoni pieni di litio.

«Questo progetto è un presagio del consumo eccessivo di metalli in Francia», dice Ysaline Jean-Jacques, rappresentante di France Nature Environnement, federazione di associazioni ambientali che, al contrario di altri movimenti, ha atteso le prime riunioni pubbliche prima di opporsi al progetto: «Concentrarsi solo sulla miniera ci impedisce di affrontare il dibattito sul ruolo della macchina in Francia. Non si parla mai di sobrietà».

A «chilometro zero»

L’estrazione è il punto cieco della transizione energetica. Per avvicinarsi alla cosiddetta neutralità carbonica le terre rare sono essenziali. Solo che raffinare il metallo richiede energia a basso costo, di cui l’Europa è sprovvista. Inoltre, la trasformazione delle risorse è dominata dalla Cina, estrarre la materia prima e farle fare il giro del mondo non è particolarmente virtuoso.

«È ipocrita pensare di realizzare la transizione energetica solo con metalli provenienti dal resto del mondo. Ma attenzione allo specchietto per le allodole: aprire una miniera in Francia aumenterà il litio sul mercato, ma non impedirà l’apertura di miniere altrove», precisa Ysaline Jean-Jacques.

Le preoccupazioni ambientali non sono sempre sufficienti: «Gli interessi economici vengono prima di quelli ecologici», dice Patrick, pensionato, che ha vissuto la belle époque mineraria degli anni Sessanta. La 2ª circoscrizione dell’Allier, dove si trova Échassières, è saldamente in mano al Rassemblement National dopo decenni di alternanza comunisti-socialisti. Nell’arco di una generazione, la popolazione è scesa di un terzo.

«La transizione energetica è un problema di disuguaglianza. Sarà accettabile solo se socialmente giusta», dice Emmanuel Hache, secondo cui la cava di litio cristallizza le cinque dimensioni chiave della transizione energetica. Sovranità industriale, costo economico, impatto ambientale, etica e cambiamento sociale.

Le miniere sono sempre state al centro delle lotte di classe, una riapertura rischia di polarizzare ancora di più una società francese già frammentata.

Per l’esperto, il veicolo elettrico è innanzitutto «destinato alle metropoli, mentre l’impatto ambientale rimane nella zona di estrazione». Lo stato e Imerys promettono posti di lavoro, formazioni, alloggi e lo sviluppo di nuovi settori come il turismo industriale, ma nel pubblico la frustrazione è palpabile: «Le persone esprimono i loro dubbi, ma saranno davvero ascoltate?», si chiede Ysaline Jean-Jacques.

Leproteste controleminieredilitio

Il continente bianco

Non esiste un luogo ideale per una miniera: si trova lì dove c’è una riserva. Nella culla della rivoluzione industriale, l’estrazione è un tabù. L’Europa rappresenta l’1 per cento delle estrazioni e il 6 per cento della popolazione mondiale, ma consuma quasi un terzo del metallo. Il Critical Raw Materials Act del 12 dicembre 2023, prevede che l’Ue estragga il 10 per cento delle terre rare e produca quasi la metà di ciò che consuma sul proprio territorio, entro il 2030.

Oltre alla miniera di Échassières, la Francia ha annunciato, il 23 luglio, l’apertura della prima raffineria in Alsazia. Operativa dal 2027, dovrebbe trattare 28.500 tonnellate di litio l’anno.

La Svezia ha individuato un giacimento da oltre un milione di tonnellate di metalli critici a nord di Kiruna, in terra Sami, mentre la Germania vuole assicurarsi una fetta importante del litio di Jadar, in Serbia. Spagna, Portogallo, Germania e Repubblica Ceca dispongono di riserve. In Italia le esplorazioni sono circoscritte al lago di Bolsena, nel Lazio.

Il caso dell’Allier è un apripista in Europa e pone le basi di una transizione energetica in cui non sono solo le materie prime a essere riconosciute al loro giusto valore, ma anche i cittadini.

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