Gli esperti concordano sul fatto che tutta la procedura non presenti rischi per la salute umana e per l'ambiente oceanico. Ma la discussione è e rimarrà aperta per lungo tempo.
Il 24 agosto, dopo almeno due anni di discussioni, il Giappone ha iniziato lo sversamento dell'acqua contenente sostanze radioattive presenti nella centrale di Fukushima Dai-ichi. Acqua che si è accumulata negli anni e impiegata per lo più per il raffreddamento delle barre di combustibile. L'acqua è stata successivamente trattata grazie ad un complesso sistema di pompaggio e filtraggio chiamato Alps ( Advanced liquid processing system), che è in grado, appunto, di filtrare la maggior parte degli isotopi radioattivi, escluso il trizio, un isotopo radioattivo dell'idrogeno. Ogni giorno vengono raccolti circa 100mila litri di acqua contaminata, contenuta in circa mille serbatoi, che potrebbero riempire oltre 500 piscine olimpioniche. Oggi questi sono pieni e di conseguenza le autorità giapponesi hanno deciso di diluirla in mare, pompando circa 500mila litri al giorno attraverso una conduttura lunga circa un chilometro.
Secondo la Tepco, il trizio è stato diluito per ridurre i livelli di radioattività a 1.500 becquerel per litro (Bq/L), molto al di sotto dello standard di sicurezza nazionale che è di 60.000 Bq/L. Per fare un esempio il livello di trizio fissato dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ritenuto sicuro per considerare l'acqua potabile è al di sotto dei 10.000 Bq/l. Come recita un vecchio detto “è la dose che fa il veleno”. Un primo punto è proprio questo: la quantità di acqua contaminata trattata verrà ulteriormente diluita nelle acque oceaniche, con diluizioni che secondo alcuni esperti possono essere considerate più che omeopatiche. Il trizio inoltre ha un tempo di dimezzamento, ovvero il tempo necessario affinché la metà degli atomi di un isotopo radioattivo decada, relativamente breve, di 12,3 anni. Nell'uomo ha un'emivita biologica stimata di 7-10 giorni.
A confermare la non pericolosità di questa operazione è stata la stessa Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), che ha valutato l'operazione grazie alla presenza di tecnici provenienti dall'intero globo, come sicura, anche per i prossimi 40 anni (tanto ci vorrà per rilasciare l'acqua nell'oceano Pacifico). L'acqua contaminata viene quotidianamente rilasciata anche da altre centrali nucleari, e di conseguenza monitorato lo stato degli inquinanti. Insomma, è qualcosa di conosciuto e monitorato da anni.
L'operazione, come è lecito che sia, ha causato molte reazioni negative e contrastanti. Alcune di rilevanza geopolitica: la Cina ha richiamato l'ambasciatore giapponese e ha messo al bando alcuni prodotti ittici provenienti dal Giappone, mentre la Corea del Sud ha chiesto al paese nipponico più trasparenza, nonostante non si sia detta contraria all'operazione. Entrambi i paesi impiegano il nucleare come fonte energetica. Mentre secondo Greenpeace Giappone si tratta di una decisione che “ignora le prove scientifiche, viola i diritti umani delle comunità che vivono in Giappone e nella regione del Pacifico e non è conforme al diritto marittimo internazionale”. Inoltre afferma che “diversi scienziati hanno avvertito che i rischi radiologici derivanti dal rilascio di acqua contaminata non sono stati completamente valutati e che gli impatti biologici degli elementi radioattivi che saranno scaricati in mare (trizio, carbonio-14, stronzio-90 e iodio-129) sono stati ignorati”.
Certamente la cosa va messa nella giusta prospettiva. Il disastro che ha colpito Fukushima ha sicuramente esacerbato le posizioni riguardo all'impiego dell'energia nucleare, anche se obiettivamente l'incidente è stato causato da un evento naturale estremamente raro e difficile da prevedere. Nessuno si augura possa mai accadere ciò che è avvenuto in Giappone, ormai più di dieci anni fa. Inoltre ciò di cui ci si dovrà più preoccupare, è la rimozione dei detriti radioattivi e del combustibile nucleare dai tre reattori che si sono fusi nel 2011: si calcola che il processo potrebbe durare anche 40 anni e costare circa 55 miliardi di euro. Un'enormità. Infine, una cosa probabilmente tra le più importanti: il rischio zero non esiste. Non esiste per la pandemia o per gli eventi meteo estremi, figuriamoci per un settore così complesso come quello dell'energia nucleare. Si tratta invece di capire qual è il livello accettabile di rischio che possiamo correre e come possiamo ridurlo, e razionalmente scegliere la via più giusta da percorrere, affidandoci agli esperti e non alla pancia.
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