La settimana delle notizie scientifiche selezionate da Luigi Bignami: per tornare a combattere il riscaldamento globale bisogna avere chiari alcuni numeri da cui partire; il ritorno delle specie carnivore in Europa; dove sarebbe meglio emigrare se la Terra non potesse più ospitarci?
- Il nuovo presidente degli Stati Uniti vuole ritornare negli accordi di Parigi per combattere il cambiamento climatico, dopo un quinquennio durante il quale il problema non è stato considerato importante.
- La temperatura terrestre è salita di almeno 1,25°C dal 1800 a oggi. Gli accordi di Parigi prevedono di non superare i 2°C entro il 2050, con l’auspicio però di contenere l’aumento a 1,5°C.
- Se si vuole raggiungere tale obiettivo bisogna non immettere più di 195 gigatonnellate di carbonio nell’atmosfera. Ma solo nel 2020 ne sono state immesse 40 gigatonnellate, questo fa pensare che l’obiettivo è molto distante.
Tra i primi provvedimenti firmati dal nuovo presidente degli Stati Uniti vi è quello che prevede il ritorno del suo paese negli accordi di Parigi per la lotta al cambiamento climatico. Un emendamento importante che non può prescindere da una situazione che può essere così riassunta: la Terra, stando a una delle maggiori analisi fatte finora, ha una temperatura di 1,25°C superiore a quella che vi era alla fine del 1800. Altre stime fatte dalla Nasa, dalla Noaa e dal Met dicono che il valore è di 1,29°C.
Il fatto che il 2020 sia stato caldo quanto il 2016, che ha segnato il record, è allarmante in quanto allora era in atto el Niño, la corrente oceanica che porta naturalmente a un aumento della temperatura terrestre, mentre nel 2020 vi è stata una debole la Niña che abbassa le temperature planetarie.
Stando all’accordo di Parigi i paesi della Terra si erano impegnati a mantenere il risaldamento planetario ben al di sotto di 2°C rispetto al periodo preindustriale, mirando però, a mantenerlo sotto 1,5°C. Ma alla velocità con la quale cresce la temperatura attuale, circa 0,2° al decennio, la Terra è sulla “buona strada” per superare entrambi questi obiettivi.
Un secondo dato da tenere in considerazione è il fatto che, secondo varie ricerche, se non si vuole superare l’1,5°C abbiamo solo 195 gigatonnellate di carbonio da immettere nell’atmosfera. Ma solo nel 2020 ne sono state immesse ben quaranta. Si fa presto a capire che il limite sarà rapidamente superato.
Con un decennio record per perdite economiche lasciato alle spalle, per fortuna però con un minor numero di morti, i danni peggiori sono stati prodotti dagli uragani e dalle tempeste. Si è scoperto, infatti, che il cambiamento climatico in atto tende a rallentare gli uragani e a sovraccaricarli di umidità, facendo sì che, quando arrivano sulla terraferma, scarichino quantità di pioggia molto elevate.
Vi è poi la situazione dell’artico dove l’aumento della temperatura procede più velocemente che nel resto del pianeta. Il riscaldamento è cresciuto infatti di circa 3°C dal 1900 a oggi. Nell’ultimo decennio, inoltre, si è registrata la minore espansione dei ghiacci da che si effettuano rilevamenti scientifici dai satelliti e questo sta creando forti alterazioni anche nella circolazione atmosferica.
Sono questi (alcuni) punti fermi con cui l’amministrazione Biden dovrà fare i conti con il resto dei paesi del pianeta per trovare reali e veloci soluzioni.
Il Covid-19 non ha fermato l’inquinamento
Che il confinamento delle persone non abbia avuto avuto grandi effetti sul riscaldamento globale è ormai un dato di fatto, ma si pensava almeno che lo avesse sull’inquinamento, in particolare sulle particelle molto fini che, entrando nei polmoni, possono debilitare fortemente l’organismo.
Uno studio condotto dall’Snpa (Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente) ha invece messo in luce che non c’è stato neppure un vero e proprio calo del Pm10, ossia delle particelle disperse in atmosfera con un diametro inferiore a dieci millesimi di millimetro, che vengono prodotte soprattutto dal riscaldamento, dalle industrie, dal traffico e altri fenomeni anche naturali. I soggetti ritenuti maggiormente esposti a tali effetti sono, in particolare, gli anziani, i bambini, le persone con malattie cardiopolmonari croniche e affette da asma. Su queste categorie di persone si registrano incrementi di mortalità e seri effetti patologici a seguito di esposizioni acute anche a breve termine.
Lo studio ha preso in considerazione i dati raccolti da 530 stazioni di monitoraggio. Le centraline hanno comunicato che il valore limite medio giornaliero dettato dall’Italia affinché non si abbiano conseguenze sulla salute delle persone – che è di 50 μg/m3, da non superare più di 35 volte in un anno – è stato superato in 155 aree e soprattutto nella fascia della pianura padana, mentre il valore dettato dall’Oms per la media giornaliera – che è di 50 μg/m3, da non superare più di tre volte in un anno – è stato oltrepassato in 400 stazioni di rilevamento in tutte le regioni d’Italia, a eccezione della provincia autonoma di Bolzano. Quel che fa ancora più impressione è il fatto che la situazione è peggiore rispetto al 2019 quando i limiti posti dall’Italia erano stati superati “solo” in 151 stazioni di monitoraggio, mentre quelli dell’Oms in 395 aree.
Stando allo studio, la causa di un maggior inquinamento nel 2020 rispetto al 2019, nonostante i numerosi periodi di confinamento, sarebbe da imputare alla minore piovosità avutasi a gennaio e nei mesi che vanno da ottobre alla prima metà di dicembre del 2020, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Situazione diversa invece, per un altro inquinante dell’aria, l’NO2, che è dovuto soprattutto al trasporto su strada, il quale ha registrato profonde riduzioni non solo in Italia, ma un po’ ovunque sul pianeta.
Limitare l’inquinamento atmosferico ai livelli raccomandati dall’Oms potrebbe prevenire più di 50.000 decessi in Europa ogni anno. Lo dice una ricerca pubblicata su Lancet Planetary Health dove viene raccomandato che il particolato fine, ossia le particelle con dimensioni inferiori a 2,5 millesimi di millimetro, non dovrebbe superare i 10 milligrammi per metro cubo d’aria, calcolato in media annua. Per l’NO2, invece, la soglia da non superare è di 40 milligrammi per metro cubo. Se poi si arrivasse ai valori minimi dello studio le persone che si potrebbero salvare salirebbero a 125.000 ogni anno.
Mark Nieuwenhuijsen del Barcelona Institute for Global Health (ISGlobal), tra i ricercatori che hanno realizzato lo studio, ha affermato: «La nostra ricerca dimostra che molte città non stanno ancora facendo abbastanza per affrontare l'inquinamento atmosferico. Livelli superiori alle linee guida dell'Oms stanno portando a morti che si potrebbero risparmiare». Anche in questo studio le città a maggiore rischio si trovano nella pianura padana (Brescia, Bergamo e Vicenza) e poi in Polonia e Repubblica Ceca. Le città più pulite invece risultano essere Trimso in Norvegia, Umea in Svezia e Oulu in Finlandia.
Il ritorno dei carnivori in Europa
Imbattersi in una lince, sentire l’ululato di un lupo, osservare un orso. Forse potrebbe non essere più tanto difficile e insolito in alcune aree dell’Europa visto che queste specie stanno ricolonizzando gran parte delle aree dove vivevano un tempo. Dopo essere stati spinti sull’orlo dell’estinzione nel secolo scorso, negli ultimi decenni linci, lupi e orsi stanno ricolonizzando l’Europa. Questo grazie soprattutto al cambiamento nell’uso del suolo e della diversa densità di popolazione, e non, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, in seguito all’espansione delle aree protette.
A queste conclusioni è giunto uno studio condotto da un gruppo internazionale di undici paesi coordinato da ricercatori del Dipartimento di biologia e biotecnologie della Sapienza università di Roma e del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr). Sono più di vent’anni che sta emergendo questa situazione, ossia il ritorno dei grandi carnivori in Europa, ma fino a oggi non si era capito quali fossero le reali cause.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Diversity and Distributions, ha inequivocabilmente dimostrato che tra il 1992 e il 2015 la combinazione della diversa distribuzione delle persone e un uso del suolo che è andato via via cambiando, ha portato all’aumento della presenza delle tre specie carnivore nell'Europa orientale, nei Balcani, nella penisola iberica nord-occidentale e nella Scandinavia settentrionale. La situazione è invece contrastante per l'Europa occidentale e meridionale. Spiega Marta Cimatti, responsabile del lavoro: «È molto probabile che la coesistenza dei grandi carnivori con gli esseri umani in Europa non sia legata solo alla disponibilità di un habitat idoneo, ma anche a fattori come la tolleranza da parte dell’uomo e le politiche per diminuire la caccia di queste specie».
E se un giorno la Terra…
E se un giorno la Terra, per l’inquinamento dell’uomo o per altri motivi, arrivasse davvero al punto di non poterci più ospitare, dove sarebbe meglio emigrare? Stando alle agenzie spaziali governative il luogo più indicato sarebbe Marte. L’esplorazione del pianeta rosso, al di là del desiderio di conoscere ciò che sta oltre la Terra, è dettata anche da questa motivazione, ma c’è qualcuno che non la pensa così, perché colonizzare Marte richiederebbe un dispendio di energie enorme.
In uno studio pubblicato su arXiv l’astrofisico Pekka Janhunen del Finnish Meteorological Institute di Helsinki, propone qualcosa di completamente diverso: creare un gigantesco habitat attorno a Cerere. Si tratta dell’asteroide più massiccio della fascia degli asteroidi (che si trova tra Marte e Giove) del sistema solare. Venne scoperto da Giuseppe Piazzi nel 1801 e nel 2015 è stato visitato e a lungo studiato dalla sonda Dawn della Nasa.
L’idea di Janhunen è quella di costruire una stazione spaziale composta da centinaia di strutture cilindriche, collegate tra loro da un anello a forma di disco. Ognuno dei grandi cilindri orbitanti potrebbe ospitare fino a 57.000 persone. Ciascun elemento potrebbe essere lungo dieci chilometri con un raggio di 1 chilometro e potrebbe ruotare su se stesso una volta ogni 66 secondi. Questo creerebbe una forza centrifuga in grado di simulare la gravità terrestre. I cilindri sarebbero poi collegati tra loro per lo scambio di materie prime e due giganteschi specchi farebbero confluire l’energia solare verso la mega stazione orbitante. Ovviamente al loro interno ci sarebbe un’atmosfera del tutto simile a quella terrestre.
Ma perché andare fino a Cerere? Spiega Janhunen: «In realtà Cerere si trova più o meno a una distanza dalla Terra simile a quella di Marte e quindi non ci sarebbero grandi problemi di viaggio. Ma Cerere ha una caratteristica che non possiede Marte: è ricco di azoto, fondamentale per costruire l’atmosfera della struttura (l’atmosfera terrestre possiede il 78 per cento di azoto) e poiché ha una gravità bassa si potrebbero costruire ascensori in grado di portare materiale dall’asteroide alla stazione orbitante che disterebbe circa 900 chilometri dalla superficie».
Secondo il ricercatore, vivere su Marte con una gravità che è un terzo di quella terrestre a lungo andare potrebbe creare problemi alla salute delle persone, soprattutto ai primi bambini che potrebbero nascere sul pianeta. Avere una gravità simile a quella terrestre sarebbe sicuramente molto meglio. Una stazione spaziale simile potrebbe essere ampliata a dismisura e, nel caso in cui un “cilindro” andasse fuori uso, la popolazione potrebbe essere trasferita in un altro cilindro.
Certo, non è tutto così semplice come appare. Janhunen, ad esempio, non dice dove si dovrebbe andare a prendere l’ossigeno per le persone e così pure altre sostanze fondamentali per la vita. L’idea c’è, ma forse mancano ancora tanti elementi concreti.
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