- Un nuovo studio ha esaminato la presenza di prodotti farmaceutici nei fiumi del mondo.
- Secondo i risultati, in più di un quarto delle località studiate le concentrazioni sono a livelli potenzialmente tossici. Lo studio ha monitorato 1.052 siti lungo 258 fiumi in 104 paesi di tutti i continenti, rappresentando così l’impronta farmaceutica di 471,4 milioni di persone.
- Per 36 di questi paesi è stato il primo studio sulla presenza di farmaci nei rispettivi corsi d’acqua principali. Tra i fiumi esaminati vi sono il Tamigi in Gran Bretagna, il Rio delle Amazzoni in Brasile e il Tevere in Italia.
Un nuovo studio ha esaminato la presenza di prodotti farmaceutici nei fiumi del mondo. Questa importante e complessa ricerca fa parte del progetto di monitoraggio globale dei prodotti farmaceutici guidato dall’Università di York, la prima vera indagine a livello globale sulla contaminazione dei medicinali nell’ambiente.
Secondo i risultati, in più di un quarto delle località studiate le concentrazioni sono a livelli potenzialmente tossici. Lo studio ha monitorato 1.052 siti lungo 258 fiumi in 104 paesi di tutti i continenti, rappresentando così l’impronta farmaceutica di 471,4 milioni di persone.
Per 36 di questi paesi è stato il primo studio sulla presenza di farmaci nei rispettivi corsi d’acqua principali. Tra i fiumi esaminati vi sono il Tamigi in Gran Bretagna, il Rio delle Amazzoni in Brasile e il Tevere in Italia.
Lo scopo è stato rilevare la presenza di 61 tra i farmaci più comuni, come la carbamazepina (utilizzato per tenere sotto controllo alcuni tipi di convulsioni associate all’epilessia), la metformina (usato nel trattamento del diabete mellito) e la caffeina. Tra questi, 53 sono stati rilevati in almeno un sito di campionamento. Quattro sono stati rilevati in tutti e sette i continenti.
La carbamazepina è risultato il farmaco più frequentemente rilevato in tutto il mondo. È stato trovato nell’acqua del 62 per cento dei siti di campionamento a livello globale, ovvero in 652 località di tutti i continenti, tranne l’Antartide.
Il sito di campionamento più inquinato al mondo si trovava nel Rio Seke (La Paz, Bolivia), il quale aveva, e probabilmente ha ancora, una concentrazione farmaceutica cumulativa e molto preoccupante di 297 µg/L. Per fare un confronto, si tratta di una concentrazione 115 volte superiore rispetto all’East River di New York City.
La singola concentrazione più alta di qualsiasi farmaco rilevato nello studio è risultata essere 227 µg/L di paracetamolo, sempre in Bolivia. Sebbene in genere il paracetamolo venga utilizzato per curare il mal di testa o altri dolori, in Nigeria molte comunità usano il farmaco per intenerire carne e fagioli durante la cottura e anche in questo paese i fiumi ne sono ricchi.
L’Islanda è stato l’unico paese in cui non è stato rilevato nessuno dei 61 farmaci monitorati.
Ma come possono i prodotti farmaceutici raggiungere l’habitat circostante in cui viviamo e in particolare i fiumi? Va detto che quando assumiamo una medicina il nostro metabolismo ne scompone solo una parte, e tutto ciò che non viene metabolizzato entra nella rete fognaria.
Sebbene i moderni impianti di trattamento delle acque reflue siano barriere efficaci per molti materiali sensibili all’ambiente presenti nelle acque di scarto, non sono comunque in grado di rimuovere completamente i prodotti farmaceutici. Quindi, dopo il trattamento, una parte dei medicinali che assumiamo entrerà comunque nei fiumi e nei laghi, e non ultimo in mare. Inoltre, in alcune parti del mondo il trattamento dei rifiuti è praticamente inesistente.
Le medicine sono progettate per avere effetti biologici sull’uomo, ma se finiscono in altri organismi possono avere effetti anche su di loro: numerose ricadute su animali sono state segnalate anche nei casi in cui la concentrazione di sostanze legate a medicine nei loro organismi risultava contenuta.
Per avere un’omogeneità di lavoro i campioni d’acqua sono stati prelevati dai più diversi luoghi della Terra, dai siti vicino a villaggi Yanomami in Venezuela – dove non vengono utilizzati farmaci moderni – fino a luoghi in prossimità di alcune tra le città più popolate, come Delhi, Londra, New York, Lagos, Las Vegas e Guangzhou. Sono state incluse anche aree di instabilità politica come Baghdad, Cisgiordania palestinese e Yaoundé in Camerun. I climi in cui sono stati ottenuti i campioni variavano dalla tundra alpina d’alta quota in Colorado fino alle regioni polari dell’Antartide e ai deserti tunisini.
L’analisi dei campioni d’acqua è stata effettuata presso il Center of excellence in Mass spectrometry dell’Università di York. Uno dei responsabili del progetto, John Wilkinson del Dipartimento di ambiente e geografia, ha spiegato: «Con 127 collaboratori in 86 istituzioni in tutto il mondo, il Global monitoring of pharmaceuticals project è un eccellente esempio di come la comunità scientifica globale possa unirsi per affrontare problemi ambientali su larga scala.
Sappiamo da oltre due decenni che i prodotti farmaceutici si fanno strada nell’ambiente acquatico dove possono influenzare la biologia degli organismi viventi. Ma uno dei maggiori problemi che abbiamo dovuto affrontare stava nel fatto che fino a oggi le ricerche non erano state realmente globali, ma avevano raccolto dati e informazioni solo in alcune aree del Pianeta. Ora, grazie al nostro progetto, le conoscenze della distribuzione globale dei prodotti farmaceutici nell’ambiente acquatico è stata notevolmente migliorata».
I ricercatori sperano che i risultati possano servire per ridurre le conseguenze del fenomeno e portare al minimo il rilascio di tali sostanze.
Riscaldamento globale: il punto per non dimenticare
Uno studio realizzato dal Goddard Institute for Space studies (GISS) della Nasa, denominato “GISS Surface Temperature Analysis” (GISTEMP v4) ha fatto il punto sul riscaldamento globale.
Pur tenendo presente la variabilità naturale, la ricerca conferma inequivocabilmente come la temperatura dell’atmosfera sia cresciuta a partire dalla rivoluzione industriale e come le attività umane, in particolare le emissioni di gas serra che intrappolano il calore, siano le vere responsabili dell’aumento.
Vagliando i dati messi a disposizione, si scopre che la temperatura media globale sulla Terra è aumentata di almeno 1,1 gradi Celsius dal 1880 e che la maggior parte del riscaldamento si è avuta dal 1975, con una crescita di 0,15-0,20 gradi C per decennio. L’aver posto come limite il 1880 è dovuto al fatto che solo da allora hanno avuto inizio registrazioni precise di dati della temperatura globale.
La Nasa ha stabilito come periodo di riferimento quello compreso tra il 1951 e il 1980, poiché il National weather service Usa utilizza un periodo trentennale per definire “normale” o media una temperatura, e porre a confronto le variazioni climatiche nel tempo.
Le temperature superficiali vengono raccolte da oltre 20mila stazioni meteorologiche, oltre che da misurazioni del mare raccolte da navi e boe e dalle stazioni di ricerca antartiche, le più lontane dall’influenza diretta dell’uomo. Questi dati vengono poi filtrati attraverso un algoritmo che considera la diversità tra le stazioni meteorologiche e gli effetti delle “isole di calore urbane” che inficiano sull’andamento normale delle temperature.
A fronte di tutto ciò il 2021 si è confermato il sesto anno più caldo mai registrato, e nove dei dieci anni record più caldi si sono verificati nell’ultimo decennio. Gli anni dal 1880 al 1939 sono stati più freddi, stabilizzatisi poi negli anni Cinquanta.
La Nasa sottolinea come il riscaldamento globale non corra su una linea in continua ascesa in tutto il Pianeta, ma che le temperature possono aumentare di 6 gradi C in una regione e scendere di 3 gradi C in un’altra. Così inverni particolarmente rigidi in un’area possono essere bilanciati da inverni molto caldi in un’altra parte della Terra. In ogni caso il riscaldamento è maggiore sulla terraferma rispetto agli oceani perché l’acqua è più lenta ad assorbire e rilasciare calore.
La Nasa ha inoltre fornito una spiegazione importante sul livellamento delle temperature registrato a metà del secolo scorso, tema preso a bandiera da molti negazionisti del clima secondo cui un appiattimento ventennale delle temperature non si sarebbe potuto verificare se vi fosse stato in atto un aumento dell’anidride carbonica.
Per la Nasa, il momentaneo rallentamento nella crescita della temperatura terrestre è spiegato dalla variabilità naturale e dagli effetti di raffreddamento degli aerosol prodotti da fabbriche, centrali elettriche e macchine a motore che hanno avuto un boom proprio negli anni di rapida crescita economica dopo la Seconda guerra mondiale. Anche l’uso di combustibili fossili è aumentato dopo la guerra di circa il 5 per cento all’anno aumentando i gas serra, ma mentre il raffreddamento dall’inquinamento da aerosol avviene rapidamente, al contrario i gas serra si accumulano lentamente, rimanendo nell’atmosfera per un tempo molto più lungo, e questo spiega perché la crescita della temperatura sia avvenuta dopo.
La Nasa ha voluto dare una risposta anche a una semplice domanda che in molti si pongono, e cioè perché ci si deve preoccupare per un aumento di “soli” uno o due gradi a livello globale?
Le temperature che sperimentiamo localmente e in brevi periodi fluttuano in risposta ad alcuni elementi locali come il giorno e la notte o la presenza di venti e altri fenomeno meteorologici, mentre la temperatura globale dipende da quanta energia il Pianeta riceve dal Sole e da quanta ne irradia nello spazio.
L’energia proveniente dal Sole oscilla molto poco ogni anno, mentre la quantità di energia irradiata dalla Terra è strettamente legata alla composizione chimica dell’atmosfera, in particolare alla quantità di gas serra che intrappola il calore. Ora, sottolinea la ricerca, un aumento anche di un solo grado centigrado è significativo perché occorre una grande quantità di calore per riscaldare in questa misura gli oceani, l’atmosfera e le masse continentali.
Teniamo sempre presente che è bastato un calo di uno o due gradi per far precipitare la Terra nella Piccola èra glaciale, mentre 100mila anni fa, una diminuzione della temperatura di 5 gradi C è stata sufficiente per seppellire gran parte del Nord del Pianeta sotto un’imponente massa di ghiaccio.
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