Per più di un anno ogni mese è stato il più caldo mai registrato. Tredici mesi di tristi record: il maggio più caldo di sempre, il giugno più caldo di sempre e così via dall’estate 2023 a questo giugno. A luglio 2024 la temperatura media più alta di sempre: 17,16°C. E un susseguirsi di notizie terribili di morti per il caldo torrido: i 1.300 pellegrini che si recavano alla Mecca in Arabia Saudita, gli 80 decessi in un solo giorno in India a inizio giugno.

Di caldo si muore, e si morirà sempre di più. Non solo nei continenti da sempre più caldi, ma anche nella temperata Europa. Lo spiega bene una ricerca pubblicata su The Lancet Public Health: in Europa le morti dovute al calore potrebbero triplicare entro la fine del secolo.

Lo studio prende in esame i dati relativi ai decessi causati dalle temperature in 1.368 regioni europee e 854 città, «considerando le caratteristiche specifiche per età e le vulnerabilità socioeconomiche locali» e differenziando le stime in base a quattro scenari di cambiamento climatico.

L’innalzamento delle temperature potrebbe porre «sfide senza precedenti» ai sistemi sanitari pubblici, mettono in guardia i ricercatori. Saranno due fattori a sovrapporsi. Da una parte le ondate di calore, caratterizzate da un lungo susseguirsi non solo di massime molto alte ma soprattutto di minime, con «notti tropicali» in cui la temperatura non scende sotto i 21°C. E dall’altra l’invecchiamento della popolazione: le vittime saranno soprattutto anziani oltre gli 85 anni.

Finora nel nostro continente il freddo ha sempre ucciso molte più persone del caldo, ma la crisi climatica potrebbe invertire questa tendenza, soprattutto se si dovesse raggiungere un aumento delle temperature di 3 o 4°C. L’obiettivo sulla carta è ancora quello di restare entro un massimo di +1,5°C, ma la carta serve a poco e il rischio di sforare ampiamente è sempre più concreto.

Non solo morti dirette

Oggi i decessi dovuti al caldo in Europa si aggirano attorno ai 44.000 all’anno, ma potrebbero raggiungere i 129.000 nel 2100 se le temperature raggiungessero i +3°C rispetto al livello preindustriale. Un aumento netto del 13,5% se si facesse una media fra diminuzione dei decessi per il freddo e aumento di quelli per il caldo. Restando entro i +1,5°C si passerà comunque da un totale di decessi legati alle temperature di 407.000 persone all’anno a 450.000: diminuiranno forse quelli dovuti al freddo, ma quelli dovuti al calore peseranno molto di più sul bilancio.

Ma non c’è solo questo, non ci sono solo le morti dirette. Collegati alle ondate di calore ci sono anche gli incendi, la perdita dei raccolti, la siccità, l’impatto sugli ecosistemi e pure sulla salute mentale o sul rischio di aborto spontaneo. Effetti che incideranno sulla tenuta economica di ogni paese e che, soprattutto, andranno a esacerbare le disuguaglianze socioeconomiche. Le fasce più vulnerabili della popolazione sono le più esposte alle ondate di calore, quelle che non possono fuggire dalle città d’estate né permettersi l’aria condizionata. Per non parlare delle carceri.

Disparità

Ma il dato più lampante che emerge da questo studio è la disparità dell’impatto nelle diverse zone d’Europa. L’aumento delle temperature ucciderà (e uccide già) in tutto il continente, ma l’impatto maggiore ricadrà sui Paesi dell’area mediterranea: Spagna, Italia, Grecia e sud della Francia.

In questi stessi giorni il rapporto annuale del Barcelona Institute for Global Health’s ha riportato una stima di quasi 50mila morti collegati alle temperature in Europa nell’estate 2023. Morti avvenute soprattutto fra metà luglio e agosto, soprattutto nei paesi mediterranei (ma anche in altri paesi meridionali come la Bulgaria), e soprattutto fra i gruppi più vulnerabili, anziani in particolare. Nel 2022, l’estate più calda mai registrata in Europa, i decessi erano stati oltre 60mila.

Solo un mese fa, il 18 luglio, il nuovo governo von der Leyen rinnovava l’impegno per gli obiettivi fissati con il Green Deal, in una versione però diluita e impoverito per venire incontro alle pressioni dell’industria fossile e agroalimentare.

La ricerca di The Lancet arriva come monito e risposta a questo impegno indebolito, ricordando all’Europa quante vite sono a rischio: «I dati presentati possono aiutare i responsabili politici e le autorità sanitarie a mitigare le crescenti disuguaglianze sanitarie, dando priorità alla protezione delle aree più sensibili e dei gruppi di popolazione più anziani. Identifichiamo le aree previste a maggior rischio (Europa meridionale), dove gli interventi politici volti a costruire l’adattamento e a migliorare la resilienza dovrebbero essere prioritari».

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