- Con il rogito, a fine settembre, le sorelle Sabina, Francesca e Antonella Vivarelli-Colonna hanno consegnato un lembo incantato di Maremma a Patrizio Bertelli, marito di Miuccia Prada. Prezzo: 18,4 milioni di euro.
- Bertelli non potrà insomma trasformare l’Antica Dogana in un resort di lusso. Potrà però evitare di avere intorno escursionisti e amanti del trekking, o famiglie sulla sua spiaggia dorata.
- Lo stato, con il ministro Franceschini, può ancora esercitare la prelazione sulle torri rinascimentali di Cala di Forno, restituendo al pubblico quello che gli appartiene.
L’oligarca russo Roman Abramovich aveva pronti 40 milioni di euro, ritirati in fretta e furia una volta scoperto che non gli sarebbe stato consentito trasformare in piscine le costruzioni rinascimentali, e neppure radere al suolo parte del bosco per farne una pista di atterraggio.
Di milioni, alla fine, ne sono arrivati 18,4, e a tirarli fuori è stato un altro magnate, Patrizio Bertelli, marito di Miuccia Prada, amministratore delegato dell’omonima casa di moda e patron di Luna Rossa: con il rogito, a fine settembre, le sorelle Sabina, Francesca e Antonella Vivarelli-Colonna gli hanno consegnato un lembo incantato di Maremma in cui ogni cosa è immutata dai tempi in cui i doganieri si arrampicavano sulle torri di avvistamento per proteggere le merci dalle incursioni saracene.
Si tratta di Cala di Forno, comune di Magliano in Toscana, nel grossetano, la più protetta delle aree protette di un’area benedetta da una politica ambientalista che, in beata solitudine e poco imitato rigore, ha precorso i tempi: il Parco regionale della Maremma, creato nel 1975, appena un lustro dopo la nascita delle Regioni stesse, ha risparmiato 9 mila ettari di natura dalla cementificazione del resto del paese, ma anche da stabilimenti, chiringuiti, apericena, musica dance all’ora del tramonto e molto altro ancora.
A Cala di Forno la geografia ha fatto il resto: inaccessibile dal litorale, raggiungibile unicamente via mare o inerpicandosi per sentieri a cavallo tra scogliere e boschi, l’insenatura è quello che le guide turistiche con poca fantasia ma molta aderenza al reale definiscono un paradiso in terra, in cui daini e volpi spadroneggiano tra la pineta e la spiaggia, al riparo da ripetitori telefonici, connessioni wi-fi e perfino dalla rete elettrica.
L'ascesa alle torri, erette dai Medici sui basamenti di precedenti costruzioni medievali, è riservata a chi ha buona volontà e molto fiato.
O, almeno, così è stato finora: nel futuro prossimo il paradiso potrebbe scomparire alla vista, diventando rifugio personale di chi può permettersi un conto in banca eccezionale.
A meno che lo Stato non decida di battere un colpo.
Cala di Forno, come buona parte del parco della Maremma, è in mano ai privati da tempo: ricchezze immense sono state tramandate di generazione in generazione, al più concesse in uso temporaneo - con un occhio al portafoglio e l’altro all’immagine - a turisti particolarmente ecosostenibili.
Il casato Vivarelli-Colonna vende la spiaggia, le torri in cui secondo la leggenda visse la giovane Margherita Marsili, destinata a essere rapita dai turchi per diventare consorte di Solimano e sovrana dell’impero Ottomano, i relativi insediamenti storici, l’Antica Dogana e le case coloniali che ha ricevuto in sorte.
Ma tra i signori con proprietà e interessi in zona ci sono gli eredi di Fulvia Ferragamo e la famiglia Petroni, il cui stemma nobiliare svetta sull’omonima tenuta.
Il destino insomma riserva ai nobili, per lignaggio o nuova capacità economica, il godimento esclusivo di questa bellezza?
Non esattamente, e soprattutto non per forza. In quanto area vincolata, naturalisticamente e per il patrimonio artistico, il passaggio di proprietà di Cala di Forno non può compiersi prima dei 60 giorni riservati all’ente parco e al ministero dei Beni culturali e del Turismo per esercitare la prelazione di acquisto, rispettivamente per le aree boschive e per le Torri: l’occasione unica di restituire al pubblico un’area di ricchezza ambientale e storica straordinaria, ma soprattutto di garantire la continuità di accesso alla cittadinanza.
Le scelte di Franceschini
Il compito, per capacità finanziaria e vocazione, tocca al dicastero di Dario Franceschini, cioè al ministero della Cultura. Il parco, che sta per cambiare gestione dopo gli anni della presidentessa Lucia Venturi, ha un bilancio che raggiunge appena i due milioni di euro, e nessun interesse ad appropriarsi di una zona la cui conservazione è comunque garantita da norme stringenti.
La legge quadro 394/91 che disciplina le aree protette consente unicamente “migliorie agricole-ambientali”, previa approvazione del parco stesso: una stalla che diventa cantina vinicola, o magari la creazione di un agriturismo ecosostenibile.
Bertelli, se anche volesse, non potrà insomma trasformare l’Antica Dogana in un resort di lusso. Potrà però - e contando l’esborso è difficile credere diversamente - evitare di avere intorno escursionisti e amanti del trekking, gente che si installa nella sua spiaggia dorata per giocare con daini e caprioli o per godere del paesaggio incontaminato immersa nella piscina naturale incassata tra i monti dell’Uccellina.
L’accesso ai sentieri che conducono all’insenatura va infatti negoziato tra l’ente parco e la proprietà, e al momento è bloccato: gli unici itinerari chiusi di tutta l’area sono quelli che conducono a Casa di Forno.
Formalmente a causa Covid; ma, adattando un vecchio adagio, come noto non c’è niente di più permanente di un’emergenza temporanea.
D’altronde, anche il cancello all’ingresso dello sterrato scosceso che dalla provinciale conduce alla proprietà non dovrebbe essere lì; o quantomeno non sempre chiuso.
L’area è privata, certo, ma la sentenza 15268 della Cassazione del febbraio 2001 stabilisce un precedente rilevante: a Sbarcatello, comune dell’Argentario, la suprema corte ha condannato l’amministratore di uno stabile che aveva impedito l’accesso alla strada ostacolando «l’uso pubblico del demanio marittimo».
L'intera collettività aveva a lungo rivendicato l'uso della strada che attraversava un tempo il podere, poi annessa a un condominio, consentendo l'accesso solo a proprietà immobiliari private. Dopo un decennio di controversie legali, i cittadini hanno viste riconosciute le loro ragioni.
Legambiente denuncia da anni - da ultimo con il report del giugno 2021 - come il 50 per cento delle aree costiere sabbiose italiane sia sottratto alla libera e gratuita fruizione.
A Cala di Forno, oltre alla spiaggia, la sottrazione riguarda anche un pezzo di storia: le torri e i relativi insediamenti. Quella cultura di cui tutti si riempiono la bocca, a partire dal ministro Franceschini, ormai tenutario sempiterno del Mibact: «La carta della competizione globale che abbiamo in natura: il nostro patrimonio di cultura e bellezza», diceva già nel 2014.
Ancora più convinto dopo il deserto di idee del Covid, aggiungeva qualche giorno fa, parlando con Il Foglio: «Guido il ministero economico più importante del Paese».
Ecco un’occasione per dimostrarlo: eserciti la prelazione sulle torri rinascimentali di Cala di Forno, restituendo al pubblico quello che gli appartiene. Non sarebbe, fortunatamente, la prima volta.
Nel 2019 il dicastero ha comprato la Torre del Cassero a Monticchiello, nel senese, in predicato di essere venduta ai privati per farne un agriturismo.
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