- Le difficoltà con il PNRR raccontano quanto sia complicato per il governo Meloni fare i conti con i propri fantasmi, dopo anni di battaglie contro l’Europa e di scetticismo climatico.
- Eppure la situazione è invidiabile, per rivedere le scelte di un piano fatto da un altro governo con evidenti difetti, e per gestire tre miliardi di euro aggiuntivi per nuovi interventi in ambito energetico.
- Invece di lamentarsi il governo dovrebbe puntare su progetti finanziati da Bruxelles da chiudere in tre anni. Come si può fare con il solare per ridurre la dipendenza dall’estero, con interventi sugli edifici pubblici per liberare la spesa dei Comuni, e sulle reti elettriche per ridurre i rischi black-out.
Le difficoltà con i progetti e le risorse del Pnrr raccontano quanto sia difficile per il Governo Meloni fare i conti con i propri fantasmi. Dopo anni di battaglie contro l’Europa e i suoi vincoli, di scetticismo climatico, trovarsi a dover scegliere tra progetti che accelerano la transizione energetica non è una sfida banale.
Il paradosso è che tutto questo avviene in una condizione assolutamente invidiabile, nella quale si potrebbero rivedere scelte di un piano fatto da un altro governo – con alcuni evidenti difetti – e, soprattutto, decidere come allocare i quasi 3 miliardi di euro aggiuntivi per nuovi interventi in ambito energetico per finanziare l’indipendenza dalla Russia.
Il problema è che quando non si ha una meta e una bussola, i soldi possono essere pochi, troppi, inutili se l’unico obiettivo diventa quello di far vedere che si è in grado di spenderli. A fronte di questa importante finestra di opportunità, le poche informazioni di cui si dispone è che non si rispetterà il termine del 30 aprile fissato dalla Commissione Ue per presentare la prima bozza di proposte, ma si andrà direttamente – e con evidenti rischi – alla scadenza finale di agosto.
Zero trasparenza
Dopo sei mesi da quando è in carica il nuovo governo fatica ancora a gestire uno dei dossier più importanti e continua sulla strada sbagliata dell’opacità, quando invece avrebbe tutto l’interesse a presentare un’analisi di cosa sta procedendo e cosa invece si è fermato, di quali progetti è meglio lasciare da parte perché ce ne sono altri che invece potrebbero essere terminati entro giugno 2026, il termine ad oggi fissato per la conclusione di tutti gli interventi del Pnrr.
Aiuterebbe anche a far capire quali sono gli obiettivi che si vogliono perseguire, in particolare sui temi ambientali ed energetici che sono quelli con maggiori risorse. Le indiscrezioni più recenti dicono che le nuove risorse di RepowerEu saranno affidate alle grandi imprese a controllo pubblico, da Enel a Terna da Eni a Leonardo, a cui è stato chiesto di presentare proposte e progetti. Non è certamente una novità, perché anche i premier Conte e Draghi hanno costruito i piani in questo modo, ma è una colpa in particolare per un governo nato in discontinuità con queste esperienze. E lo è soprattutto perché quello che è interesse delle imprese non lo è per forza per il Paese. Ma, prima bisognerebbe sapere dove sta questo interesse.
I conti con il clima
Cosa potrebbe fare di diverso il governo? Di sicuro, evitare il vittimismo e i rinvii perché peggiorano solo la sensazione di impreparazione e inadeguatezza da parte degli interlocutori di Bruxelles. In fondo la soluzione più semplice è quella della trasparenza, far capire che si ha un approccio pragmatico per recuperare i problemi e spendere bene le nuove risorse. Anche il vincolo di chiusura dei cantieri in tre anni va preso come un’opportunità, perché può diventare l’orizzonte per dimostrare che in questa legislatura si è capaci di produrre risultati visibili con benefici per tutti.
Una strategia che potrebbe ruotare intorno a tre obiettivi comprensibili a tutti. Il primo è ridurre la dipendenza energetica dall’estero, non solo dalla Russia, con un programma di realizzazione di diversi GW di fotovoltaico. Il vantaggio del solare è che in tre anni i cantieri sicuramente si chiudono e, con un lavoro coordinato con Terna, si può programmare l’installazione nei nodi della rete dove è più utile ed efficace, integrandolo con sistemi di accumulo. Un po' come fanno da tempo Germania e Spagna con aste che coinvolgono gli operatori privati.
Il secondo obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre la spesa energetica degli edifici pubblici, che vale diversi miliardi di euro, liberando così risorse per la spesa sociale e ambientale. Anche qui, in tre anni si possono solarizzare i tetti di scuole, ospedali, alloggi di edilizia sociale, uffici e integrarli con sistemi a pompe di calore per eliminare ovunque possibile le caldaie a gas. Che le città siano pronte lo dimostra il fatto che in questa direzione vanno le proposte fatte dai Sindaci Gualtieri e Sala per le due città più grandi d’Italia.
Infine, rendere la rete elettrica più sicura, flessibile e capace di ridurre i rischi di black-out in particolare nei periodi estivi. Con l’aumenta della domanda elettrica durante le sempre più frequenti giornate di intenso caldo estivo, con milioni di impianti di raffrescamento accesi è diventata più complessa la gestione della rete.
La novità è che la resilienza oggi può essere rafforzata attraverso interventi infrastrutturali e di digitalizzazione, ma anche coinvolgendo impianti da rinnovabili e batterie nei momenti di stress che, purtroppo, in uno scenario di cambiamenti climatici inevitabilmente aumenteranno.
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