Nel 1931 il Nemico pubblico in carica, per gli schermi mondiali, era James Cagney, l’efferato Tom Powers di William A.Wellman. Novantatrè anni dopo nell’Italia della siccità e delle alluvioni bibliche il nemico pubblico più universalmente vituperato sono gli attivisti di Ultima generazione, stando almeno alla mole e ai toni dello stigma istituzionale e mediatico.

Non c’è criminalità organizzata che in questi due anni abbia goduto di tanto discredito presso la nostra coalizione di maggioranza, di tanto accanimento nelle aule parlamentari, di tanti appelli al rigore da parte della stampa sintonizzata. Gli eco-imbrattatori sono un bersaglio ideale, perché organizzano blocchi stradali e fanno incazzare il cittadino votante.

Cito a caso dagli oratori parlamentari. «Tutti ci siamo scandalizzati davanti alla distruzione da parte dei Talebani di templi e opere d’arte: non c’è nessuna differenza» (Erika Stefani, Lega per Salvini premier). «Quello che alcuni vorrebbero chiamare pacifica dimostrazione di protesta non è altro che danneggiamento di un bene collettivo» (Michaela Biancofiore, Civici d'Italia-Noi Moderati-Maie). Il senatore Ivan Scalfarotto, Italia viva, esprime «il massimo biasimo per gli strumenti che questi ragazzi utilizzano». La senatrice Paola Ambrogio, Fratelli d’Italia: «E allora il governo Meloni proceda con coerenza per rispondere alla crescente sensibilità in materia di sicurezza, legalità e ordine pubblico».

Nessuno di loro cita – e forse nessuno conosce – un eloquente passaggio del rapporto dell’Ipcc (il gruppo Intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) dell’Onu, anno 2023: «La finestra di opportunità per rendere il futuro vivibile e sostenibile a tutti si sta rapidamente chiudendo».

Identikit di un gruppo

Sono stralci del sostanzioso corredo di annotazioni di Come se non ci fosse un domani, il documentario su Ultima generazione presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma e a breve in sala con Maestro Distribution.

Non è un manifesto e non è un proclama, quello girato (benissimo) da Riccardo Cremona e Matteo Keffer. È piuttosto l’identikit di un gruppo di attivisti climatici che in questi anni si è esposto in prima persona e, come si dice, “ha fatto notizia”, pagando prezzi pesanti. In questo film si riprendono la parola, non solo da militanti ma da ragazzi coi loro dubbi, le loro speranze e i loro scoramenti davanti al percorso non facile che hanno scelto.

Non è esattamente una passeggiata restare sdraiati sull’asfalto della Salaria davanti alle ruote dei camion, con la gente che ti prende a calci e ti insulta a sangue. «Andate a lavorare!» è l’invettiva più soft. Quando la polizia ti trascina via ha la mano pesante. Loro vogliono essere il megafono umano, il più rumoroso possibile, di quello che stiamo vivendo: 378 eventi metereologici estremi in Italia nel solo 2023, l’anno più caldo di sempre.

Non vogliono sconquassare governi, chiedono che non si trivelli ulteriore gas e che si usi il denaro pubblico per creare lavoro nell’economia circolare e nell’energia rinnovabile. Chiedono un fondo di stato per aiutare la gente che perde tutto. C’è poco di sovversivo. Non nascono perdigiorno e non nascono votati al martirio. Hanno alle spalle lauree, lavori da assistente sociale, concorsi per l’insegnamento.

C’è chi è stato folgorato dai video online dell’attivista britannico Roger Hallam, che in questo momento è in galera, e dalla sua rabbia civile. C’è chi ha buttato via un futuro da danzatrice, ma «era ingenuo sognare di contribuire al cambiamento sociale attraverso l’arte». C’è chi credeva di volere «la macchina, il cinema, la discoteca». Ma poi ha cambiato idea. C’è chi ha trovato ispirazione nel Vangelo.

Tra le iniziative più clamorose c’è il fango a palazzo Madama, dopo la disastrosa alluvione in Emilia-Romagna del maggio 2023. Le ragazze si spogliano e “il fango dell’Emilia-Romagna” cola sui loro corpi e sui muri. Le news ci vanno a nozze e la polizia ammucchia membra senza riguardo: nudità più vilipendio delle istituzioni?

A un valico di confine bloccano il traffico sotto la neve: trascinarli via è più difficile perché si sono incatenati a oggetti pesanti. Fare proseliti è complicato perché il loro è attivismo full time. Lo teorizzano: «Protestare una tantum non basta. È attraverso la ripetizione – gente arrestata e picchiata – che una nazione capisce che il problema è davvero serio». Nel loro piccolo hanno modelli alti, Martin Luther King e i nove anni di campagna che hanno cambiato la percezione del razzismo. Dicono che la resistenza civile è l’unica opzione «quando non ti puoi più permettere di perdere».

A tempo pieno

C’è un’overreaction per lo meno sospetta nella criminalizzazione di Ultima generazione. Ma lo penso da un pezzo. Il profilo del “sorvegliato speciale” Simone Fucicchia, nei rapporti di pubblica sicurezza, è degno di un boss mafioso: «Risulta sempre in prima linea nelle azioni delittuose perpetrate da questa organizzazione», «è foriero di grave e persistente pericolosità», rientra «tra i soggetti dediti alla commissione di reati che offendono e mettono in pericolo la sicurezza e la tranquillità politica».

C’è un cronista di Mediaset che processa in proprio il “fuorilegge” con piglio e incalzare da inquisitore, e i talk show dedicati sfoggiano titoli imparziali tipo: «Le follie green che ci rovinano la vita». Effetto domino: sui social gli hater vomitano minacce e oscenità contro gli eco-teppisti, «quelli che fanno casino per l’ambiente», nella vulgata.

Conta poco se, da segretario generale dell’Onu, António Guterres sembra uno di loro: «I veri pericolosi estremisti sono i paesi che stanno aumentando la produzione di carbon fossile». Quando profanano la fontana di piazza di Spagna o tingono di nero la fontana di Trevi, rischiano il linciaggio. Ma è roba che va via con l’acqua, come la vernice agli Uffizi.

Fanno anche altro però: lo scorso novembre erano a spalare il fango dalle case con gli alluvionati di Campi Bisenzio. Il nostro governo sembra agitarsi solo per loro: cambia le leggi ad hoc, inasprisce le sanzioni. Per gli ultimi dodici arresti, ancora per blocco stradale, l’imputazione era di violenza privata aggravata.

Paolo Virzi produttore

Paolo Virzì ha prodotto il film con la sua Motorino Amaranto, insieme alla figlia Ottavia e a GreenBoo Production. Il nostro futuro comune non è la sola ragione del progetto, con la dominante sordità dei governi che sanno solo reprimere e inasprire le pene.

«La cronaca ha sempre raccontato in modo polarizzante le loro azioni: o sono cretini o sono eroi», dice Virzì. «Qui ci sono due filmaker di talento che hanno avuto la sensibilità e la pazienza di creare un rapporto di fiducia e sono entrati in modo spiazzante dentro le loro discussioni, i loro dubbi e i loro conflitti familiari. L’altro grande tema è come questi giovani oggi si riavvicinano alla cosa pubblica, alla politica, dopo il bagno di sangue del terrorismo che alla fine del secolo scorso ha portato al riflusso, e come sono disposti a perdere tutto per l’urgenza che sentono. È la prima generazione della storia che non vede futuro, ma scommettono tutto su una possibilità minima di cambiare il corso delle cose. Su tutto questo Riccardo e Matteo hanno portato uno sguardo da narratori cinematografici, che esplora le ragioni e anche i torti, che non celebra e non si limita a documentare ma emoziona come un romanzo».

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