- Un anno e mezzo fa l’immagine di Vanessa Nakate veniva tagliata da una foto scattata a margine del Forum di Davos, insieme a quattro attiviste bianche, e diffusa da Associated Press.
- Oggi Nakate, attivista di Fridays for Future Uganda, è diventata il nuovo volto del movimento, che sta provando ad affrontare un problema antico dell’ambientalismo, il suo essere troppo bianco.
- Youth4Climate, l’evento in corso a Milano, difficilmente contribuirà all’ascolto politico dei contenuti di questa generazione di attivisti, ma sta avendo un altro effetto: sta facendo crescere la credibilità e la visibilità dei movimenti per il clima.
Un effetto interessante dei giorni milanesi di Youth4Climate è quanto i media italiani si stanno accorgendo della forza narrativa, retorica e politica dei movimenti giovanili per il clima, dopo averli in parte sottovalutati o ridotti a margine della biografia di Greta Thunberg.
L’impatto di Vanessa Nakate, ventiquattro anni, attivista per Fridays for Future Uganda, è stato la vera sorpresa di un incontro altrimenti scritto per essere innocuo e dimenticabile. Il suo viso è stato pubblicato sulle prime dei giornali, mostrato nei telegiornali, rilanciato nella conversazione social.
Durante la prima assemblea plenaria, Nakate ha parlato subito dopo il sindaco di Milano Beppe Sala, che aveva chiuso il giro “degli adulti”, e ha risvegliato una platea quasi assopita dopo i primi interventi di cauta, paternalistica e ottimistica diplomazia: la ragazza venuta da Kampala ha ricordato con la forza di leader d’altri tempi e altre generazioni lo squilibrio della crisi climatica, veniva da fare paragoni, fin troppo grandi per lei, con le voci che in altri decenni hanno denunciato il razzismo, il colonialismo, l’apartheid.
Nakate ha ricordato l’ingiustizia di un continente che non ha contribuito all’emergenza («solo l’Antartide ha meno emissioni dell’Africa») ma al quale è stato nel frattempo già presentato il conto, ha ricordato crisi dimenticate come quella del Madagascar, che l’Onu ha definito la prima carestia causata dai cambiamenti climatici.
Roberto Cingolani ha avuto modo di annuire durante quel discorso, il ministro della Transizione ecologica aveva appena menzionato – come fa giustamente spesso – il miliardo di persone che ancora non ha accesso all’energia che noi nel frattempo stiamo provando a cambiare, aveva rivendicato il diritto allo sviluppo per l’Africa. Nakate però ha ricordato l’altro lato della storia. Gli effetti immediati, presenti e già rimossi dal nostro immaginario del riscaldamento globale, ha scandito il lessico della crisi una parola alla volta: fame, dolore, agonia, morte. Ha invocato il fattore tempo, che è il vero senso esistenziale di eventi come Youth4Climate: 400 tra ventenni e adolescenti dentro il palazzo e migliaia al di fuori che implorano di fare presto. In un suo articolo su Euractiv di un anno fa sugli scioperi africani, Nakate aveva scritto: «Per noi non è Fridays for Future, per noi è già Fridays for now». Quello che ha colpito il pubblico italiano non erano solo i contenuti, ma soprattutto la forza immaginifica con la quale sono stati lanciati sulla platea, sulle tv, sui social. Sono stati pochi minuti di discorso viscerale, cadenzato, ritmato: «Non ci possiamo adattare all’estinzione», ha urlato. E ancora: «Fino a quando la Terra sarà in lutto?». In zona Portello a Milano abbiamo assistito alla nascita di una potenziale leader globale, non della stella di una girl band.
Un’immagine più grande
Vanessa Nakate ha un libro in uscita, che ha intitolato – con discreto senso dell’umorismo – A Bigger Picture. È un gioco di parole autobiografico, perché la “bigger picture” del titolo è ovviamente il disegno geopolitico più grande, quello che lei ha provato a farci vedere a Milano e che porterà fino alla Cop26 di Glasgow (il suo libro uscirà in lingua inglese opportunamente tre giorni prima dell’inizio dei negoziati). Ma “bigger picture” è anche un’immagine vera, una fotografia rimpicciolita e tagliata con Photoshop dalla Associated Press: era uno scatto a margine del Forum di Davos, nel 2020, poco prima della pandemia.
Nella foto c’erano Greta Thunberg, altre tre attiviste bianche provenienti da Svezia, Germania e Svizzera e poi lei, unica nera e unica a essere tagliata dall’immagine quando è stata diffusa sui canali di AP. Fu un errore distratto e razzista, seguito da molte scuse pubbliche e private: dissero che era stato causato dall’esigenza estetica di togliere di mezzo un palazzo che rovinava la vista delle montagne sullo sfondo e che per sfortuna era dal lato di Nakate.
Fu però un imbarazzo che ebbe una sua utilità: costrinse tutti ad avere una conversazione sul tema. È vero, come qualcuno ha scritto, che Vanessa Nakate è qui perché i movimenti per il clima – Fridays compresi – nascono come troppi bianchi ed europei, è un problema vecchio quanto l’ambientalismo. Ma è ingeneroso suggerire che Nakate sia stata messa lì da qualcuno come una correzione imposta dall’alto, come un contro-editing dopo l’editing di Davos.
Chiunque l’abbia ascoltata a Youth4Climate ha visto come la voce e lo spazio sa benissimo conquistarseli da sola. La sua storia parte da lontano, Nakate viene dall’élite del paese, è figlia di un politico locale, ha iniziato a manifestare a Kampala con i fratelli e le sorelle e poi ne ha fatto una missione: ha creato un movimento ambientalista locale, col progetto Vash Green Schools ha contribuito a installare migliaia di pannelli fotovoltaici sulle scuole ugandesi, si è occupata di foreste pluviali ed educazione ambientale, è stata in una lista sui giovani di Time e ha avuto un incarico dall’Onu.
Il suo percorso è simile a tante ragazzi e ragazzi incrociati a Youth4Climate. Però la sua voce è emersa con un vigore diverso, nel frattempo la sua forza politica ha incrociato il bisogno di Fridays for Future di uscire dalle strade delle città europee e parlare di problemi globali a nome di una generazione altrettanto globale. Due anni fa, quando il fenomeno Fridays è esploso, era un movimento più strettamente ecologista, il messaggio centrale era: ascoltate la scienza. Oggi è un movimento sociale e politico, il messaggio è la giustizia climatica, chi ha rotto il clima deve pagare di più. Questa è un’evoluzione figlia dell’inclusione e di persone come Vanessa Nakate.
L’evento milanese
Youth4Climate difficilmente servirà a qualcosa sul piano delle proposte intergenerazionali, perché la comunità globale non riesce a tenere fede nemmeno ai propri impegni solenni e vincolanti, figurarsi a un documento stilato in tre giorni da 400 attivisti. Però avrà almeno un altro effetto, analogo a quello dal quale siamo partiti: continuare a rafforzare la credibilità di una classe dirigente globale e ambientalista, solida e visibile, la cui voce sarà necessaria sia fuori che dentro palazzi come il centro Milano Congressi.
Dopo questa settimana, anche nell’immaginario italiano smette finalmente di esserci solo Greta Thunberg, scioperante solitaria, al suo fianco c’è almeno anche Vanessa Nakate, e nessuno si sognerà più di tagliare la ragazza africana dalla foto. Il processo in corso di moltiplicazione della leadership era per questa generazione un passaggio delicato, complicato, anche per l’odio che in questi due anni Thunberg ha dovuto reggere, ma politicamente vitale.
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