Nonostante i segni sempre più catastrofici del mutamento climatico, e in spregio alle disposizioni europee e del PNRR per la riconversione ecologica, diverse amministrazioni locali mettono in cantiere ulteriori manomissioni del territorio, con la scusa delle Olimpiadi 2026
Ghiacciai che si sciolgono come gelati al sole, trombe d’aria, bombe d’acqua, chicchi di grandine come limoni. L’aria che frigge oltre i 40 gradi. Sono i segni della catastrofe che secondo Jeremy Rifkin (Repubblica, 21 luglio) produrrà in Italia e nell’Europa meridionale il 40 per cento in meno di pioggia nella stagione invernale, senza risparmiare però a nessuno dei territori anche pedemontani il rischio di alluvioni spaventose come quella romagnola, che come tutti sanno sono tanto aggravate dal selvaggio consumo di suolo, quanto il mutamento climatico lo è dalle emissioni e dall’asfalto che s’arroventa a 70 gradi e srotola fiumane di automobili.
Per questo un gran respiro di sollievo, pur temporaneo, aveva accompagnato il 12 luglio scorso l’approvazione, da parte del parlamento europeo, della Legge sul ripristino della natura: che prende il nome dalla volontà di “riparare” l’80 per cento dei territori europei “devastati”.
Uno non crederebbe mai che un’amministrazione possa scegliere questo momento per le delibere che programmano nuove devastazioni. E invece.
Il referendum di Bormio
Vale la pena di raccontarne una, perché è l’immagine in sedicesimo del palcoscenico nazionale. Ma non solo. È l’immagine a grandezza naturale del destino che stanno subendo le località dell’arco alpino per loro disgrazia interessate dalle Olimpiadi invernali 2026.
Asfalto, cemento, consumo di suolo, ulteriore impermeabilizzazione di territori già fragili, già soggetti a uno sfruttamento di risorse naturali che dire rapina è ancora poco.
Impianti di risalita sempre più invasivi, innevamento artificiale che consuma riserve idriche immense, prosciugando i bacini locali e aggravando la siccità. Infine: la proiezione spietata di quello che “autonomia differenziata” vorrà dire, di quello che già significa. L’interesse pubblico generale – e qui si tratta di alcuni paesaggi fra i più famosi delle Alpi – vale meno di zero. Ma anche quello locale non vale di più.
È a Bormio, ben nota località sciistica e termale, che una giunta comunale presieduta dal sindaco Silvia Cavazzi delibera con un unico voto contrario e in assenza di un’opposizione l’inammissibilità del quesito di un referendum richiesto da un migliaio di persone contro le decisioni che stanno portando all’esecuzione dello scempio detto “tangenzialina”, che di diminutivo ha solo il nome.
Ci arriviamo: ma è il modo in cui si svolge la serata a rendere questa vicenda emblematica del concetto di democrazia che ha chi governa oggi l’Italia. La piccola sala del Castello de’ Simoni è piena fino all’orlo, ma la gente di Bormio si assiepa nei corridoi e sulle scale fino al portone, centinaia di persone, e molte altre seguono in streaming.
Sindaca, segretario e consiglieri procedono a illustrare le ragioni di inammissibilità: contestabilissime, ma ogni voce di dissenso viene brutalmente tacitata, perché «il dibattito si farà alla fine, qui si delibera». Si arriva al voto, scontato. E zac, lo streaming cessa, la registrazione è interrotta. E a quel punto anche per i consiglieri non val più la pena di ascoltare, la decisione è presa.
Inamissibile
Inammissibile opporsi a una colata d’asfalto attraverso la Piana dell’Alute, meglio nota come piana di Bormio: la sua cosa più bella oltre al centro storico, quella che guadagnò un tempo alla Contea di Bormio e alle convalli il nome di Magnifica Terra.
È un progetto di tangenziale già finanziato dalla regione Lombardia e inserito nel Piano di governo del territorio del comune di Bormio, insieme ad altre opere ad alto impatto ambientale: nonostante le fortissime riserve espresse dallo stesso team di lavoro che aveva curato l’iter di approvazione del progetto già una decina di anni fa, e lo aveva quindi fortemente sconsigliato.
Sono riserve che riguardano l’irreversibile danneggiamento della R.E.R. (Rete ecologica regionale), attraverso la separazione dalla piana agricola del suo torrente, il Frodolfo, nella sua parte ancora non antropizzata, per non parlare del consumo di suolo (9-12 metri di larghezza, una rotatoria del diametro di 50 metri) e dell’incentivazione senza limiti del traffico automobilistico – con la scusa risibile di alleviarlo in Bormio: cosa che nel migliore dei casi sarebbe vera per due settimane d’inverno e una d’estate, a Natale e Ferragosto.
Asfaltare il dissenso
Eppure questa volta, a Bormio, era successa una cosa mai vista. Un vasto, compatto movimento di cittadini, che comprende parecchi imprenditori locali e molta gioventù, si batte pacificamente da un anno contro questa ferita inutile e oscena: uno stupro del passato, della sua memoria – il paese si era ritirato quasi all’ombra dei suoi monti per lasciare alle coltivazioni le terre soleggiate della sua piana.
E un assassinio del futuro: non si va in montagna per trovare asfalto e traffico senza limite. I Bormini per l’Alute hanno al loro fianco Italia nostra, intervenuta anche sul Corriere della sera (21 settembre 2022) a firma del suo presidente per la sezione di Sondrio, Antonio Muraca; il WWF, la Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi (CIPRA). Hanno davanti possibili azioni legali – cosa resta da fare se le autorità locali, regionali, nazionali preferiscono dichiarare inammissibile l’esercizio della democrazia? C’è una raccolta di fondi ancora aperta per aiutarli.
A proposito di “tangenziale”: il solo punto di tangenza fra questa sciagura e Bormio è la pace del suo cimitero, dove dovrebbero riversarsi le truppe autotrasportate delle Olimpiadi. Neppure la quiete turbata degli avi insinua un dubbio nella coscienza dei bulldozer. Ma dovrebbe toccarci tutti nell’anima questa protervia – perché il paesaggio è un pezzo della nostra anima, e l’articolo 9 della Costituzione lo tutela, con la cultura e l’ambiente, “anche nell’interesse delle future generazioni”.
© Riproduzione riservata