Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo ampi stralci della sentenza in rito abbreviato dell’inchiesta Gotha del 2006, quando a Palermo finiscono in carcere vecchi boss e nuove leve due mesi dopo l’arresto di Provenzano Bernardo.


Gli “avvicinati” hanno svolto compiti di copertura per i massimi referenti della mafia, senza essere mai affiliati. Tra questi troviamo autisti, accompagnatori, guardaspalle, procacciatori di affari, soggetti disponibili a mettere a disposizione alloggi di emergenza per i latitanti, riciclatori di somme di danaro.

Pensavano, i capi di Cosa Nostra, di avere trovato un escamotage per intensificare la propria sicurezza e l’invisibilità. Sciolti da qualsiasi dovere di solidarietà e fratellanza verso queste nuove figure, ritenevano di poter limitare drasticamente le informazioni condivise, minimizzando i rischi in caso di tradimento.

Ma quelle convinzioni sono risultate illusorie. Una volta arrestati, gli “avvicinati” si sono rivelati un elemento di vulnerabilità per l’associazione.

La maggior parte di loro, infatti, ha immediatamente dichiarato la propria disponibilità a collaborare con la magistratura, fornendo indicazioni preziose sui nascondigli dei latitanti, sui loro arsenali e sui loro affari. E’ stato proprio grazie agli “avvicinati” che i due più autorevoli candidati alla successione di Riina – il fratello di sua moglie Leoluca Bagarella e il capo della famiglia di San Giuseppe Iato, Giovanni Brusca - sono stati arrestati nel giugno 1995 e nel maggio 1996. Decisive per la cattura sono state le informazioni offerte alla autorità giudiziaria dall’autista di Bagarella Antonio Calvaruso o da un personaggio come Tullio Cannella, più simile a un procacciatore di affari o mediatore che non a un vero e proprio imprenditore. O ancora, personaggi come Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo, senza i quali la cattura di Giovanni Brusca sarebbe stata molto più difficile.

Nell’ottica di Cosa Nostra, dunque, il comportamento degli “avvicinati” conferma l’importanza dei vincoli di sangue, da cui deriva la trasmissione del valore dell’omertà e del sentimento di comune appartenenza. Di fronte alla prospettiva di passare il resto della propria vita in carcere, nessun orientamento subculturale profondo, nessun vincolo emotivo ha impedito a queste persone di scegliere la soluzione più conveniente, tradire cioè il gruppo per cui avevano operato.

Ma il puntare di più sulle dinastie mafiose dipende anche da motivi squisitamente strutturali, legati alle dimensioni militari e affaristicoimprenditoriale della organizzazione. I gruppi costituiti intorno ad un individuo singolo –per quanto abile egli possa dimostrarsi nella costruzione delle “reti” di amicizia e clientela, o nell’esercizio delle funzioni mafiose e imprenditoriali- sono caratterizzati da una intrinseca fragilità che li porta a decadere e a scomparire piuttosto rapidamente.

Dal punto di vista delle ragioni di ordine “militare”, connesse alla possibilità di conflitti interni alla organizzazione, il numero dei figli maschi o dei fratelli vantati dal singolo mafioso rappresenta un dato di fatto conosciuto e valutato dai suoi avversari. Il numero dei membri validi dal

punto di vista militare presenti in una data cosca costituisce uno degli elementi presi in considerazione dalle altre cosche, ed è di cruciale rilevanza nella scelta della strategia di conflitto o di alleanza da parte dei gruppi che si trovano in posizione di contiguità settoriale e territoriale.

Basti pensare al numero dei componenti della famiglia Inzerillo e all’atteggiamento nei loro confronti di Totuccio Lo Piccolo, i cui sogni di espansione passano per l’eliminazione del rivale Nino Rotolo, come si è detto nel precedente capitolo.

Non vanno poi trascurate le esigenze di natura imprenditoriale delle cosche. Visti i pericoli da fronteggiare sotto il profilo del contrasto da parte dello Stato e le esigenze di natura finanziaria, molte delle attività di carattere economico, finalizzate al reimpiego dei proventi delle estorsioni e del narcotraffico, richiedono grande coesione e fiducia reciproca tra i protagonisti della impresa. Questo dato favorisce il maggiore coinvolgimento dei membri della comunità domestica nella gestione e nel coordinamento degli affari, soprattutto degli anziani e delle donne meno appariscenti dal punto di vista criminale. D’altronde la galassia mafiosa ha al suo interno individui talmente dotati di caratteristiche aggressive e predatorie che senza la controspinta dei vincoli di sangue possono scatenarsi conflitti in qualsiasi momento.

Alla perenne minaccia della disgregazione delle cosche, il gotha di Cosa Nostra risponde quindi con l’accrescimento del numero dei legami di parentela che intercorrono tra i propri membri, sulla scia di un esempio paradigmatico quanto eclatante che emerge già nelle carte del primo maxiprocesso alla mafia. È il caso delle famiglie mafiose Spatola-Inzerillo-Gambino-Di Maggio diventate nell’arco di un paio di generazioni un unico gruppo, le quali sono giunte persino a favorire matrimoni incrociati tra cugini di primo grado.

Si delineano, insomma, forme di vero e proprio “comunismo familiare” basato sulla proprietà e sulla gestione comune di gran parte dell’attività economica e dei beni detenuti dai membri del nucleo più interno alla cosca. Vale per le imprese mafiose facenti capo ai Lo Piccolo, agli Inzerillo, ai Sansone, ai Marcianò, ai Badagliacca, ai Parisi, ai Cancemi.

Soprattutto nell’edilizia i mafiosi fanno affari al loro interno. Gli appalti li ottengono anche grazie alla mediazione politica di parenti che ricoprono cariche pubblica (sulla internalizzazione della rappresentanza politica vedi infra). Molti materiali da costruzione li prendono dalle loro cave. Le macchine per fare i lavori di movimento terra e di altro tipo se le imprestano tra loro continuamente. E, talvolta, si prestano pure i soldi tra loro, senza interesse o con interessi molto bassi.

Tutto ciò, naturalmente, non significa rinunciare alle relazioni esterne. Attorno al nucleo fondamentale della cosca si sviluppano, comunque, i rapporti di parentela artificiale e di amicizia strumentale con uomini delle istituzioni, liberi professionisti, imprenditori o altri esponenti

della società civile provenienti da ogni ambiente. Peraltro, nelle stesse famiglie mafiose, da sempre, troviamo individui di ogni ceto e ogni classe sociale, professionisti e specialmente avvocati e medici. Medici come Antonino Cinà, il principale “consigliori” di Nino Rotolo, capo della famiglia di San Lorenzo. Medici come Giuseppe Guttadauro, leader della famiglia mafiosa di Brancaccio, nel cui salotto della abitazione, in cui scontava gli arresti domiciliari, sfilavano esponenti della borghesia cittadina, politici e avvocati con i quali si mettevano a punto strategie politiche di respiro regionale e nazionale con l’obiettivo di asservire le pubbliche istituzioni agli interessi predatori di Cosa Nostra

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