Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci di queste della sentenza della Corte d’appello sulla condanna del senatore Tonino D'Alì ex senatore ed ex sottosegretario agli interni di Forza Italia, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.


Va poi rimarcato come palesi anomalie della vicenda medesima appaiono dati indubbiamente significativi del fatto che il D'Alì abbia scientemente partecipato al progetto dei Messina Denaro e del Riina, funzionale non solo a far giungere a quest'ultimo, dietro diversi schermi (uno dei quali è stato offerto proprio dall'odierno imputato, per anni), la proprietà del fondo Zangara ma anche a far ottenere infine - a tali esponenti di primissimo piano di Cosa Nostra denaro contante privo di tracciabilità. Ed invero:
l'imputato trasferì a Geraci Francesco la proprietà del fondo Zangara il 28 dicembre 1992 e diede quietanza di £ 100.000.000, su un prezzo complessivo di £ 300.000.000, quantunque il Geraci nulla gli avesse versato;
l'imputato convenne di ricevere il saldo in due rate da £ 100.000.000 (da corrispondersi a cadenza semestrale, una il 30 giugno 1993, l'altra il 31 dicembre 1993) e, ciononostante. rinunziò all'ipoteca legale, pattuendo che il debito residuo non producesse interessi;
in seguito il D'Alì ricevette e negoziò un primo assegno bancario di £ 100.000.000 nonché un altro assegno del medesimo importo, emesso sempre dal Geraci (datato 10 gennaio 1994, ossia poco dopo l'ultima scadenza), ma restituì tutto il denaro ricevuto, in prima persona o per il tramite del fratello Giacomo, già a partire dell'incasso del primo assegno, in contanti e in tranche di circa £ 20.000.000;
Inoltre D'Alì Antonio non svolse alcuna contrattazione con Geraci Francesco, da lui incontrato per la prima volta all'atto della stipula della compravendita (a conferma che l'unico interlocutore dell'odierno imputato, nella complessa vicenda in esame, non poteva che essere il regista indiscusso dell'intera operazione: Messina Denaro Matteo, che operava nell'interesse di Riina Salvatore);
i fratelli Geraci agirono attenendosi esclusivamente alle istruzioni di Messina Denaro Matteo, non solo allorquando si presentarono presso il Notaio Barracco per l'acquisto ma anche ogniqualvolta si recarono presso gli uffici della Banca Sicula per ricevere indietro le somme incassate dal D'Alì (e ciò conferma che anche quest'ultimo aveva agito, nel restituire in contanti il denaro ricevuto tra il 1993 ed il 1994, su indicazioni di Messina Denaro Matteo, al quale peraltro il denaro fu restituito, posto che quanto dato in pagamento al D'Alì non era in realtà stato sborsato dai fratelli Geraci).
In altri termini, il D'Alì aveva, in modo cosciente e volontario, alienato, negli anni '80 del secolo scorso, un suo fondo in favore di un prestanome di Riina Salvatore, tra l'altro rimanendo lui (sempre il D'Alì) formalmente intestatario per anni del fondo medesimo (così interponendo un ulteriore filtro, un ulteriore schermo in favore del Riina e dei Messina Denaro -Francesco e Matteo- che orchestravano nel trapanese dette operazioni), finchè il terreno non è stato formalmente alienato nel 1992 (questa "seconda" alienazione era sostanzialmente fittizia, in quanto il D'Alì aveva già in precedenza dismesso la disponibilità del bene, incassando il relativo prezzo negli anni '80 del secolo scorso, pur rimanendo formalmente proprietario del fondo Zangara) ad altro prestanome del Riina - Geraci Francesco sempre su richiesta di Messina Denaro Matteo ed in quest'ultimo caso lo stesso D'Alì ha provveduto a restituire il denaro (tutto il prezzo, in diverse soluzioni, come in diverse soluzioni era stato pagato) della "seconda alienazione" a Cosa Nostra (lo riconsegnava al prestanome di Riina Salvatore – Geraci Francesco poi lo stesso Geraci lo girava a Messina Denaro Matteo).
Va inoltre rimarcata la massima fiducia che Cosa Nostra riponeva nel D'Alì, posto che il fondo in oggetto fu alienato dal medesimo D'Alì nei primi anni '80, tra l'altro per una somma allora assai ingente (circa 500 milioni di lire), e lui stesso ne mantenne la formale proprietà addirittura fino alla fine del 1992.
Nel 1992, poi, il D'Alì stipulò la compravendita e restituì quanto ricevuto, consentendo al Messina Denaro di avere disponibilità di somme non tracciabili. Il fatto che il D'Alì fosse consapevole di agevolare Cosa Nostra ed i suoi massimi esponenti lo si desume chiaramente da una serie di elementi:
patente anomalia dell'operazione (pagamento, negli anni '80, del corrispettivo del fondo Zangara al D'Alì, che però ne rimane titolare per circa un decennio, con successiva alienazione ad un prestanome di Riina Salvatore, con restituzione del prezzo corrisposto secondo le modalità sopra descritte);
il fatto che i Geraci fossero assolutamente disinteressati alla vicenda, con la conseguenza che la stessa non poteva che interessare esclusivamente al Messina Denaro ed al Riina, laddove costoro non potevano che affidare il loro fondo e le loro liquidità, che a loro stessi dovevano tornare (secondo il meccanismo sopra descritto), a persona di assoluta fiducia (quale doveva certamente essere l'odierno imputato);
l'assoluta fiducia che necessariamente doveva animare i rapporti tra i soggetti coinvolti sicuramente imponeva che tutti i medesimi (individui coinvolti) avessero consapevolezza del loro reciproco coinvolgimento e ciò anche perché l'operazione stessa ed i suoi termini doveva essere garantita da assoluta segretezza e tale segretezza e l'importanza di mantenerla non poteva che passare dalla conoscenza comune dell'importanza degli interessi coinvolti ed in gioco e della levatura delle medesime persone coinvolte;
il D'Alì era ritenuto da Cosa Nostra uomo di assoluta fiducia (per come si è visto e per come si vedrà ulteriormente) ed, inoltre, aveva un rapporto diretto e di estrema vicinanza con Messina Denaro Matteo (ma anche con suo padre Francesco), per cui è assolutamente inverosimile che fosse stato inconsapevolmente coinvolto nella vicenda e tenuto all'oscuro della reale portata dell'operazione.
In definitiva, gli stretti rapporti tra i D'Alì ed i Messina Denaro (di seguito meglio precisati) nonché la notevole fiducia tra le parti che doveva necessariamente animare l'operazione in oggetto (in cui il D'Alì è stato prima prestanome di mafiosi di assoluto rilievo, peraltro dopo aver incamerato ingenti somme di denaro a titolo di corrispettivo del fondo "occultamente" alienato - negli anni '80 -, e poi - negli anni '90 - ha restituito nel tempo ingenti somme di denaro ulteriormente percepite per la creazione di altro schermo sempre in favore del Riina e su regia di Messina Denaro Matteo), in uno agli stretti rapporti tra l'imputato e diversi esponenti di Cosa Nostra di seguito esposti, lasciano chiaramente ritenere che il medesimo D'Alì fosse perfettamente consapevole di agire nell'ambito di un'operazione orchestrata da Matteo Messina Denaro al fine di beneficiare un esponente di vertice di Cosa Nostra (Riina Salvatore). D'altra parte, se cosi non fosse stato e se Cosa Nostra non avesse avuto - nei suoi massimi esponenti – assoluta fiducia nel D'Alì, assai difficilmente il Messina Denaro ed il Riina avrebbero fatto pervenire al medesimo imputato, negli anni '80 del secolo scorso, l'ingente somma di 500 milioni di lire circa senza ottenere per decenni un formale trasferimento di proprietà, così come non gli avrebbero fatto pervenire, negli anni '90 del secolo scorso, altri 300 milioni di lire, che un contratto di compravendita faceva apparire come assolutamente dovuti al medesimo D'Alì, mentre dovuti non erano in quanto il prezzo dell'immobile era già stato occultamente corrisposto all'odierno imputato; in altri termini, i massimi esponenti di Cosa Nostra hanno consegnato al D'Alì detta ultima somma nell'assoluta certezza che quest'ultimo l'avrebbe loro restituita, nella consapevolezza - dello stesso imputato - che quel denaro non gli spettava e nella consapevolezza che così facendo avrebbe comunque apportato a Cosa Nostra l'ulteriore contributo consistente nel fatto di garantire al medesimo sodalizio la disponibilità di una significativa somma di denaro contante assolutamente non tracciabile.
Peraltro, il fatto che il D'Alì abbia agito nella vicenda in esame con la coscienza e la volontà di agevolare Cosa Nostra e con la piena consapevolezza dei vari snodi della vicenda medesima, tutti funzionali a beneficiare esponenti di assoluto rilievo del sodalizio, è confermato da quanto affermato da Treppiedi Antonino, sacerdote per lungo tempo in strettissimi rapporti con il D'Alì, il quale ha riferito che nel corso di una serata, nel novembre 2009, il D'Alì aveva commentato le vicende relative al feudo di contrada Zangara, sostenendo che "rispetto alle imputazioni formulate dalla Procura della Repubblica con riferimento alle operazioni connesse alla compravendita di contrada Zangara, era evidente che la magistratura avesse compreso, a quel momento, solo una parte della vicenda. In realtà, per quanto il Bosco (l'allora legale del D'Alì) affermava, assentendo il D'Alì, la vicenda era molto più ampia ed anzi avrebbe potuto condurre, se fosse stata compresa in tutte le sue implicazioni, a più rilevanti accuse. In altre parole, i due interlocutori affermavano che una parte della vicenda era stata parzialmente compresa dagli investigatori e storpiata mentre l'intera operazione era più ampia e ben più rilevante usando un'espressione volgare del tipo: "Se avessero ben capito noi la prenderemo nel ...” Orbene, tali dichiarazioni del Treppiedi si pongono in linea di piena logica con tutti gli elementi fin qui esposti e confermano che il D'Alì fosse perfettamente consapevole nell'ambito della "vicenda Zangara", di agire nell'interesse di Cosa Nostra, tanto da sostenere a posteriori (fuor di metafora e traducendo in termini meno triviali il linguaggio "conviviale" allora utilizzato) che, se gli inquirenti avessero sviscerato appieno (come in effetti poi hanno fatto) quella stessa vicenda le conseguenze penali per lui avrebbero potuto essere gravi e pesanti. Peraltro, sul punto appaiono condivisibili le considerazioni svolte dalla Corte d'Appello nella sentenza poi annullata dalla Corte di Cassazione, relativamente al fatto che "Non vi è ragione di considerare errata la indicazione temporale data dal Treppiedi I in relazione allo svolgimento dell'incontro, atteso che appare scontato che il D'Alì fosse a conoscenza delle accuse mosse nei suoi confronti dal collaboratore di giustizia Geraci Francesco in quanto rese in altro giudizio instaurato dal di lui cugino D'Alì Giacomo, svoltosi in epoca antecedente rispetto all'acquisizione dei verbali nel presente procedimento.

Alla stregua di ciò non appare condivisibile la conclusione cui è pervenuto il primo giudice che ha ritenuto incomprensibile e, quindi, inverosimile che l'imputato e il suo difensore potessero riferirsi, all'epoca, proprio con riguardo al presente procedimento, ad un tema che non vi aveva ancora fatto ingresso, essendo ciò facilmente spiegabile, trattandosi, comunque, di un fatto illecito addebitabili al D'Alì emerso nell'ambito di altro procedimento” (altro procedimento peraltro che interessava un parente dell'odierno imputato, per cui è probabile che le informazioni acquisite in quella sede fossero ben presto entrate -proprio in ragione dei rapporti di parentela- nel patrimonio di conoscenza dell'odierno imputato -al quale verosimilmente il cugino le aveva riferite-, con la conseguenza che, quindi, D'Alì Antonio poteva tranquillamente effettuare, nel novembre 2009, i commenti riferiti dal Treppiedi).
È pertanto condivisibile la seguente conclusione del gup: «D'Alì consentì al sodalizio (sia) di porre al riparo da atti ablativi... un terreno produttivo molto esteso e di grandissimo valore ... sia di ottenere la disponibilità di una somma molto elevata pronta per qualsiasi impiego, ivi compresi gli illeciti propri della societas. Il che, è evidente, rafforza senza dubbio l'organizzazione, consentendole di mettere al riparo un ingente patrimonio e di disporre di denaro con cui operare».
Tale condotta è stata correttamente ritenuta, sia in primo che in secondo grado, tanto grave da essere evidentemente suggestiva di disponibilità, da parte dell'imputato, nei riguardi del sodalizio, il quale dalla medesima condotta ha ottenuto un indubbio beneficio.
La medesima vicenda delinea già strette connessioni del D'Alì con Cosa Nostra nonché una incondizionata disponibilità dell'imputato verso il sodalizio, confermate da numerosi altri elementi, i quali lasciano chiaramente intendere come detta disponibilità sia stata protratta nel tempo -per decenni […] - e generalizzata (cioè afferente sia ad attività di natura personale -come l'alienazione del fondo Zangara- sia ad attività di natura imprenditoriale -come l'attività bancaria- sia ad attività di natura politica -quando lo stesso D'Alì ha deciso di candidarsi per il Senato della Repubblica-).

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