Il premier israeliano Benjamin Netanyahu è ufficialmente ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi a Gaza. Il suo nome, insieme a quello dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant e del comandante militare di Hamas, Mohammed Deif (che Israele sostiene di aver ucciso in un raid), sono nella stessa lista dove un anno fa circa è stato inciso il nome di Vladimir Putin, accusato anche lui di crimini di guerra ma in Ucraina. I mandati di cattura non sono stati resi pubblici, ma la Corte ha detto che, tra le altre cose, Netanyahu e Gallant sono accusati di utilizzo della fame come arma di guerra e di «intenzionale attacco diretto contro la popolazione civile».

«Sussistono fondati motivi per ritenere che la mancanza di cibo, acqua, elettricità e carburante, nonché di specifiche forniture mediche, abbia creato condizioni di vita tali da provocare la distruzione di parte della popolazione civile di Gaza, con conseguente morte di civili, compresi bambini, a causa di malnutrizione e disidratazione», ha detto la corte. Tante le prove raccolte dal procuratore della Corte penale internazionale in oltre un anno di guerra il cui bollettino è brutale: ci vorranno decenni solo per bonificare il terreno dalle macerie. Deif è accusato di altrettanti delitti atroci: crimini l’umanità, omicidio, presa di ostaggi e violenza sessuale.

Reazioni

Come prevedibile il governo israeliano ha detto che si tratta di «accuse assurde e false». Per Netanyahu è il «frutto di una decisione antisemita. Equivale a un moderno processo Dreyfus e rischia di finire nello stresso modo». Il premier israeliano ha attaccato il procuratore Karim Khan: «La decisione è stata presa da un procuratore capo corrotto che sta tentando di salvarsi da serie accuse di molestie sessuali e da giudici di parte mossi da odio antisemita contro Israele».

Secondo Gallant, licenziato dal premier a inizio mese dopo le divergenze a livello militare, «il tentativo di impedire a Israele di raggiungere i suoi obiettivi nella sua giusta guerra fallirà». Anche il portavoce del Consiglio della Sicurezza degli Stati Uniti ha respinto le accuse: «Restiamo profondamente preoccupati dalla fretta del procuratore di cercare mandati di arresto e dagli inquietanti errori di processo che hanno portato a questa decisione». Secondo Washington la Corte non ha giurisdizione sulla guerra tra Israele e Hamas e ha fatto intendere che faranno leva su questo punto nei «prossimi passi» da fare insieme agli alleati israeliani.

Anche i leader dell'opposizione israeliana hanno criticato i mandati di arresto. Benny Gantz ha detto che questa decisione dimostra «cecità morale» ed è una «macchia vergognosa di proporzioni storiche che non sarà mai dimenticata». L’ex premier Yair Lapid ha definito i mandati di arresto come un «premio per il terrorismo».

Il Centro di informazione israeliano per i diritti umani B'tselem ha detto che i crimini commessi sono frutto dell’apartheid israeliana e che la vicenda legale «è uno dei punti più bassi nella storia israeliana». Al momento diversi stati tra cui Olanda e Spagna si sono detti favorevoli ad arrestare Netanyahu e Gallant nel momento in cui mettano piede sul loro stato. Il requisito per l’arresto, infatti, è che questo venga eseguito in uno dei 124 stati aderenti allo statuto della Corte penale internazionale.

Tra questi c’è anche l’Italia, ma la premier Giorgia Meloni non si è ancora espressa. Lo ha fatto invece il ministro degli Esteri Antonio Tajani: «Noi sosteniamo la Cpi ricordando sempre che la Corte deve svolgere un ruolo giuridico e non un ruolo politico. Valuteremo insieme ai nostri alleati cosa fare e come interpretare questa decisione e come comportarci insieme su questa vicenda». Secondo fonti della Lega si tratta di una «richiesta assurda, una sentenza politica filo-islamica, che allontana una pace necessaria». Nonostante le divisioni il procuratore capo della Cpi ha fatto appello a tutti gli stati «affinché rispettino il loro impegno nei confronti dello Statuto di Roma ottemperando ai mandati di arresto».

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