Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà alcuni stralci del suo libro, “C'era una volta il pool antimafia”, edito da Zolfo Editore


Ripensando adesso al periodo iniziale, mi sovviene l’impatto che ha avuto su di me. Fin dal primo giorno ho capito che avrei dovuto cambiare completamente il modo di lavorare, e così i primi tempi non furono affatto facili, era necessario che mi adattassi, al più presto, al metodo di lavoro dei compagni della mia nuova esperienza.

Nei primi venti anni della mia carriera avevo quasi sempre svolto le funzioni di giudice monocratico, assumendo gli incarichi di giudice istruttore a Milano, Pretore del Mandamento di Niscemi prima e del Mandamento di Termini Imerese dopo, nonché di giudice istruttore penale presso quel Tribunale.

Queste funzioni mi consentivano di svolgere indagini e accertamenti e di adottare i provvedimenti conseguenti in piena e assoluta autonomia.

Nel pool invece ho scoperto un diverso approccio, quel metodo che poi è stato il segreto di una strategia vincente.

La nostra forza stava nel saper lavorare insieme, nella capacità del leader di tenere unito il gruppo, motivarlo e spronarlo. Elementi determinanti e affinati nel tempo.

La costruzione del pool avvenne per fasi successive. Rocco Chinnici ebbe due geniali intuizioni. Innanzitutto quando disse che “un magistrato non è un uomo separato dalla società”. Affermazione che si traduceva concretamente nella sua costante partecipazione a dibattiti, convegni e incontri con gli studenti.

Chinnici voleva parlare di mafia in tutti i luoghi e le maniere possibili, convinto che l’azione repressiva non potesse essere l’unica risposta dello Stato. Occorreva coinvolgere scuole, società civile, associazioni, perché alla fine prevalesse la cultura della legalità, fondamentale per prosciugare le sorgenti che alimentavano Cosa nostra.

Rocco Chinnici è stato il primo magistrato a uscire dal Palazzo di Giustizia e dall’ambito del suo lavoro per cercare di spiegare alla gente che la lotta alla mafia doveva essere un impegno di tutti, non solo di pochi poliziotti, carabinieri e magistrati.

La seconda intuizione è stata considerare la mafia un’organizzazione verticistica e unitaria. Non una congrega di bande in perenne competizione fra loro, ma un’organizzazione che potremmo definire “federale” e dotata di una certa unità.

Per questo motivo le indagini non potevano riguardare il singolo omicidio o la singola famiglia, ma dovevano essere improntate a una visione generale del “problema”, perché, come era successo, un fatto che per un magistrato non aveva un particolare significato poteva assumerlo per un altro. Importante era che le informazioni circolassero all’interno di un gruppo ristretto che si occupava solo di mafia.

Fare parte di quella squadra voleva dire anche di più.

Io, l’ultimo arrivato, venivo soppesato dai colleghi e soprattutto dovevo offrire piena disponibilità. La dedizione doveva essere totale, non c’erano feste o week-end. E se improvvisamente bisognava partire, ad esempio per il Canada, come è successo a me, si faceva la valigia e si andava, dopo avere ottenuto in fretta e furia da mia moglie il “benestare” per l’espatrio, essendo i nostri figli ancora

minorenni.

E poi, quanti giorni prefestivi e, spesso, festivi trascorsi in ufficio per decidere sulle numerose istanze di libertà provvisoria inoltrate dagli imputati, o per adottare con urgenza altri provvedimenti. Al riguardo, essendomi stato affidato anche il compito di curare la gestione dei beni sequestrati ad alcuni imputati, nei momenti e nei giorni più impensati, di domenica o nei giorni di festa, mi è toccato occuparmi, insieme all’amministratore giudiziario, dei problemi più eterogenei, come ad esempio reperire un idraulico per una infiltrazione d’acqua da un appartamento a quello sottostante di uno stabile, al fine di evitarne l’allagamento.

© Riproduzione riservata