Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro–tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza di primo grado che ha assolto l’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti. La sentenza di secondo grado, confermata in Cassazione, ha accertato invece che – fino alla primavera del 1980 – Andreotti aveva avuto rapporti con i boss Cosa Nostra


L’on. Lima tenne indubbiamente comportamenti idonei ad agevolare l’organizzazione mafiosa in occasione delle elezioni regionali del 1991, attivandosi per ottenere la candidatura nella lista della Democrazia Cristiana, per la circoscrizione elettorale di Enna, di un soggetto affiliato all’illecito sodalizio: l’avv. Raffaele Bevilacqua.

L’organico inserimento dell’avv. Bevilacqua nella struttura associativa di "Cosa Nostra" è univocamente desumibile dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Leonardo Messina,

Paolo Severino ed Angelo Siino.

Il Messina, esaminato all’udienza del 12 marzo 1997, ha affermato che l’avv. Bevilacqua era “uomo d’onore”, rivestiva la carica di “sottocapo” della “provincia” mafiosa di Enna, militava nella Democrazia Cristiana ed aderiva alla corrente andreottiana.

Il Siino, nella deposizione resa all’udienza del 18 dicembre 1997, ha precisato di avere appreso che, dopo il suo arresto, l’avv. Bevilacqua era stato nominato “vicerappresentante provinciale della mafia di Enna”; ciò gli fu riferito da Gaetano Leonardo (il quale per un determinato periodo assunse la carica di “rappresentante” della medesima “provincia”), nel corso di una traduzione.

Il Severino, escusso all’udienza del 24 aprile 1997, ha riferito che l’avv. Bevilacqua era “consigliere” della “provincia” di Enna e capo della "famiglia" di Barrafranca.

Sulla credibilità soggettiva dei predetti collaboranti possono formularsi valutazioni positive. Per quanto attiene al Siino, è sufficiente richiamare le osservazioni svolte nel capitolo relativo ai rapporti tra il sen. Andreotti e Michele Sindona.

L’importanza della collaborazione offerta dal Messina all’autorità giudiziaria è stata sottolineata dal teste dott. Antonio Manganelli, esaminato all’udienza del 27 marzo 1997.

Il dott. Manganelli, nel periodo in cui svolgeva le funzioni di Vice Direttore del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, assistette al primo interrogatorio reso dal Messina – dopo la manifestazione del suo proposito di collaborare con la giustizia - in data 30 giugno 1992, davanti al Procuratore Aggiunto della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, dott. Paolo Borsellino.

Dalla deposizione del teste Manganelli si desume che grazie alle informazioni fornite dal Messina fu possibile procedere alla cattura dei latitanti nisseni Giuseppe (detto “Piddu”) Madonia (arrestato in provincia di Vicenza) e Salvatore Ferraro (arrestato in Canada), succedutisi nella carica di “rappresentante” provinciale di "Cosa Nostra" per Caltanissetta; che il Messina fornì un quadro assolutamente completo della struttura di "Cosa Nostra" in provincia di Caltanissetta, ma molto parziale in ordine all’articolazione dell’organizzazione mafiosa nelle altre province; che il Messina indicò alcuni soggetti che fungevano da “cerniera” tra "Cosa Nostra" e la ‘ndrangheta nell’Italia settentrionale, alcuni dei quali (tra cui Calogero Marcianò) in seguito resero ampie confessioni, confermando le accuse loro mosse dal predetto collaborante; che, a seguito delle dichiarazioni rese dal Messina e della relativa attività investigativa, furono emessi dall’autorità giudiziaria di Caltanissetta e da quella di Milano provvedimenti restrittivi della libertà personale a carico di un elevato numero di persone.

L’inserimento di Leonardo Messina nella "famiglia" di San Cataldo trova puntuale riscontro nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Paolo Severino, esaminato all’udienza del 24 aprile 1997, e nelle frequentazioni menzionate dal teste M.llo Vincenzo Licitra all’udienza del 26 marzo 1997.

Tenuto conto del profondo radicamento del Messina nella realtà criminale nissena e della particolare rilevanza del contributo conoscitivo da lui offerto all’autorità giudiziaria, deve certamente riconoscersi la sua credibilità per quanto attiene alla ricostruzione della struttura e delle attività illecite di "Cosa Nostra" nella provincia di Caltanissetta e nelle zone vicine, ben note al collaboratore di giustizia per la sua diretta esperienza di vita.

Sulla base del generale criterio della frazionabilità delle dichiarazioni accusatorie, questa positiva valutazione non può essere inficiata dalle discrasie presenti nelle dichiarazioni de relato del Messina relative a soggetti e vicende riconducibili ad altri contesti territoriali ed ambientali.

Per quanto attiene al collaboratore di giustizia Paolo Severino, va osservato che dalla deposizione testimoniale resa all’udienza del 25 marzo 1997 dall’isp. Francesco Paolo Longi (in servizio presso il Centro Operativo della D.I.A. di Caltanissetta) emergono con chiarezza i suoi pregressi rapporti con esponenti mafiosi della provincia di Enna. In particolare, già nel 1990 era stato rilevato che il Severino svolgeva il compito di autista in favore di Gaetano Leonardo, divenuto “vice rappresentante” della “provincia” di Enna dopo la morte di Liborio Miccichè e “rappresentante” della stessa “provincia” nel 1992, alla morte di Salvatore Saitta. Nella notte tra l'8 e il 9 Settembre 1992 il Severino fu arrestato nel territorio di Enna, in un luogo in cui erano state depositate varie armi da caccia e da guerra. Subito dopo l’arresto, il Severino iniziò a collaborare con la giustizia, ammettendo la propria appartenenza a "Cosa Nostra" e indicando numerosi associati operanti nella provincia di Enna.

Nel corso dell’esame dibattimentale, il Severino ha spiegato che la propria decisione di collaborare con l’autorità giudiziaria fu motivata dal convincimento di essere stato tradito dai suoi stessi complici (in considerazione delle modalità dell’arresto), dall’intento di non andare incontro al rischio di essere condannato all’ergastolo, e dall’aspirazione a “cambiare vita subito”.

Anche in ordine alla credibilità soggettiva del Severino può esprimersi un giudizio favorevole, tenuto conto della sua diretta conoscenza della struttura organizzativa dell’associazione mafiosa nella provincia di Enna e della serietà della sua scelta collaborativa.

Va altresì osservato che dagli elementi di convincimento raccolti non emerge alcuno specifico movente che possa avere indotto i predetti collaboratori di giustizia ad accusare falsamente i soggetti cui attengono le loro dichiarazioni prese in esame nella presente pronunzia.

Ciò posto, deve rilevarsi che appaiono assai significative le vicende che resero possibile la presentazione della candidatura dell’avv. Bevilacqua per le elezioni regionali del 1991.

L’avv. Raffaele Bevilacqua nel 1990 era stato eletto Consigliere Provinciale di Enna (cfr. la deposizione resa dal teste Longi).

Il teste Giuseppe Abbate (il quale ha ricoperto le cariche di segretario provinciale della Democrazia Cristiana di Enna dal marzo 1983 al giugno 1991, di deputato regionale e di Assessore regionale), esaminato all’udienza del 26 novembre 1996, ha riferito di essersi rivolto, prima delle elezioni regionali del 1991, al Prefetto di Enna, segnalandogli che aveva ricevuto dalla segreteria nazionale del partito l’invito a vigilare sulle possibili infiltrazioni delinquenziali, e che correvano voci allarmanti sull’avv. Bevilacqua, il quale aveva notorie frequentazioni con ambienti mafiosi ed aspirava ad essere candidato.

A seguito di ciò, il Prefetto di Enna mostrò all’Abbate un fascicolo nel quale – a suo dire – erano indicate “le accertate frequentazioni malavitose del Bevilacqua e del Miccichè con gli ambienti della mafia della provincia”, ed aggiunse “che avrebbe cercato di avere elementi di certezza per trasferire il tutto alla sede competente che era la sede di partito”. L’Abbate chiese al Prefetto di trasferire gli elementi conoscitivi in suo possesso alla Direzione Nazionale della Democrazia Cristiana.

L’on. D’Angelo, che era stato nominato Presidente della commissione elettorale del partito, si dimise da tale incarico e non presentò all’approvazione del Comitato provinciale di Enna della Democrazia Cristiana la lista per le elezioni regionali, perchè si rifiutò di inserirvi l’avv. Bevilacqua.

Nel Comitato provinciale si votò sui nominativi dei possibili candidati; tra essi, i primi quattro (che avrebbero dovuto essere inseriti nella lista) risultarono l’Abbate, l’on. Salvatore Plumari, l’on. Antonino Rizzo, il dott. Filippo Sammarco; al quinto e sesto posto vi erano, rispettivamente, l’avv. Grippaldi e l’avv. Bevilacqua (i quali, pertanto, non avrebbero dovuto essere inclusi nella lista elettorale, che poteva comprendere soltanto quattro candidati).

In seguito l’on. Rizzo rinunziò a presentare la propria candidatura, sicchè occorreva inserire nella lista, in sostituzione di lui, un altro candidato. Tale decisione era di competenza della Direzione Nazionale del partito.

L’Abbate chiese all’on. Sergio Mattarella un autorevole intervento in ordine al problema delle frequentazioni mafiose dell’avv. Bevilacqua.

In seguito il Prefetto di Enna comunicò all’Abbate: “Sergio mi ha parlato, ora vediamo quello che si può fare”.

La Direzione Nazionale della Democrazia Cristiana, tuttavia, inserì nella lista dei candidati, in sostituzione dell’on. Rizzo, l’avv. Bevilacqua.

Il teste Abbate ha specificato che l’avv. Bevilacqua militava nella corrente andreottiana ed era sostenuto dal dott. Alerci, il quale rappresentava le posizioni politiche dell’on. Lima nella provincia di Enna. Nel Novembre del 1990 si era tenuto a Barrafranca un convegno con la partecipazione dei massimi esponenti siciliani della corrente andreottiana, tra cui l’on. Lima, il quale aveva assicurato che l’avv. Bevilacqua sarebbe stato candidato nelle successive elezioni regionali.

L’on. Sergio Mattarella, esaminato in qualità di teste all’udienza dell’11 luglio 1996, ha riferito che la candidatura dell’avv. Bevilacqua fu propugnata con insistenza, all’interno della Direzione Nazionale della Democrazia Cristiana, dall’on. Lima, benché altri esponenti del partito (come l’on. Abbate o l’on. Lo Giudice) avessero suggerito allo stesso Mattarella di non includerlo nella lista ipotizzando che il medesimo soggetto “avesse frequentazioni mafiose”. L’on. Mattarella ed altri dirigenti del partito si adoperarono per evitare questa candidatura, ma non furono in grado di addurre elementi concreti a sostegno delle loro preoccupazioni circa le frequentazioni del Bevilacqua con ambienti mafiosi. Gli esponenti andreottiani che facevano parte della Direzione Nazionale del partito, indotti a ciò dall’on. Lima, insistettero molto per la candidatura dell’avv. Bevilacqua ed ottennero il risultato voluto. […].

Aperto e visibile fu il sostegno offerto dai massimi esponenti mafiosi della provincia di Enna all’avv. Bevilacqua nel corso della campagna elettorale per il rinnovo dell’Assemblea Regionale Siciliana.

Il teste Abbate ha riferito che prima delle consultazioni regionali si tenne a Pietraperzia in data 14 giugno 1991 il comizio di chiusura della campagna elettorale; in questa occasione l’avv. Bevilacqua giunse sul luogo in compagnia di Liborio Miccichè e di Salvatore Saitta, salì sul palco, ed ebbe la possibilità di tenere un discorso, nel quale affermò che avrebbe conseguito un numero di voti maggiore di quello dello stesso Abbate (che era il capolista).

Dopo il comizio, vennero danneggiate le autovetture di molti sostenitori dell’Abbate.

Il collaboratore di giustizia Leonardo Messina, nella sua deposizione, ha chiarito che Salvatore Saitta era il “rappresentante” provinciale di Enna di "Cosa Nostra", e che Liborio Miccichè era “consigliere” della stessa “provincia” mafiosa, oltre che “rappresentante” della "famiglia" di Pietraperzia.

Anche il collaboratore di giustizia Paolo Severino ha evidenziato che il Saitta era il “rappresentante” provinciale di "Cosa Nostra" ed il Miccichè era “consigliere” della “provincia” mafiosa di Enna e capo della "famiglia" di Pietraperzia.

Il Messina ha inoltre riferito che l’avv. Bevilacqua, in occasione delle elezioni regionali del 1991, ricevette «l'appoggio di tutta la provincia di "COSA NOSTRA"».

Secondo il collaboratore di giustizia Angelo Siino, nel corso della campagna elettorale, l’avv. Bevilacqua sarebbe stato sostenuto dall’on. Lima anche sul piano economico. Il Siino, infatti, ha affermato di avere consegnato prima della campagna elettorale, su incarico dell’on. Lima, la somma di £. 100.000.000 (costituente provento di tangenti relative ad appalti pubblici della Provincia di Palermo) a Gaetano Leonardo (rappresentante della “provincia” mafiosa di Enna) perché costui la facesse pervenire all’avv. Bevilacqua.

[…] Le suindicate dichiarazioni rese dal Siino appaiono intrinsecamente attendibili, presentando i caratteri della spontaneità, della genuinità, della specificità, della coerenza, della univocità, del disinteresse, e traendo origine dal personale coinvolgimento del soggetto nei fatti narrati.

Quanto al sostegno economico offerto dalla corrente andreottiana all’avv. Bevilacqua, diverse indicazioni sono state fornite dal collaboratore di giustizia Leonardo Messina, il quale ha riferito di avere appreso in epoca successiva alle elezioni dall’avv. Bevilacqua, e già in precedenza dal Miccichè, che il sen. Andreotti aveva “fatto avere” allo stesso Bevilacqua un contributo di £.300.000.000 per le spese elettorali.

Il Messina ha specificato che, nella medesima occasione, l’avv. Bevilacqua riferì a lui ed al Miccichè di essere in partenza per Roma, dove avrebbe incontrato il sen. Andreotti per discutere di argomenti politici legati alla sua mancata elezione. […].

Per quanto attiene alla descrizione dell’incontro tra i predetti esponenti mafiosi e l’avv. Bevilacqua, e delle affermazioni compiute da quest’ultimo circa il suo prossimo appuntamento a Roma con il sen. Andreotti, le suesposte dichiarazioni del Messina risultano intrinsecamente attendibili per la coerenza logica interna del racconto, la puntualità specifica nella narrazione dei vari fatti, l’assoluta mancanza di animosità.

La circostanza che, dopo le elezioni regionali del 16 giugno 1991, il sen. Andreotti abbia incontrato l’avv. Bevilacqua, trova univoco riscontro nel contenuto di una conversazione telefonica di Liborio Miccichè, che ha formato oggetto delle intercettazioni eseguite, su disposizione dell’Autorità Giudiziaria di Enna, in ordine all’utenza telefonica della I.C.E.L.C. s.r.l. Calcestruzzi (doc. n. 88 bis, prodotto all’udienza del 9 giugno 1997).

[…] Nella parte iniziale della suesposta conversazione il Miccichè ed il suo interlocutore parlavano di un candidato, da loro appoggiato, che, pur ottenendo una valida affermazione elettorale (quantificata in 19.000 voti di preferenza), non era stato eletto ed aveva quindi mantenuto la carica di consigliere provinciale. Il Miccichè specificava che il candidato in questione era direttamente in contatto con l’on. Lima ed il sen. Andreotti, i quali gli avevano assicurato che avrebbero fatto il possibile per garantire l’adempimento delle promesse da lui fatte; il sen. Andreotti, in particolare, lo aveva convocato dopo le elezioni e lo aveva invitato a non preoccuparsi.

Le ulteriori risultanze processuali consentono di identificare il predetto candidato nell’avv. Raffaele Bevilacqua, il quale nel 1990 era stato eletto consigliere provinciale, nelle elezioni regionali del 16 giugno 1991 era risultato il primo dei non eletti, aveva riportato 18.916 voti di preferenza, ed era stato sostenuto apertamente dall’on. Lima e dal Miccichè.

L’effettivo svolgimento dell’incontro dell’avv. Bevilacqua con il sen. Andreotti è dunque inequivocabilmente desumibile dalle suesposte affermazioni compiute – in modo del tutto spontaneo e genuino - dal Miccichè nella conversazione telefonica del 4 luglio 1991.

Va, tuttavia, osservato che dall’istruttoria dibattimentale non emergono elementi di prova che confermino specificamente la corresponsione, da parte del sen. Andreotti, della somma di £.300.000.000 all’avv. Bevilacqua.

Per le suesposte ragioni, deve riconoscersi che le diverse indicazioni offerte dal Siino e dal Messina in ordine al contributo economico ricevuto dal predetto candidato sono rimaste sfornite di adeguati riscontri estrinseci.

Il collaboratore di giustizia Leonardo Messina ha, poi, riferito su un ulteriore comportamento suscettibile di avvantaggiare l’associazione mafiosa, realizzato dall’on. Lima su richiesta dell’avv. Bevilacqua.

Si trattò di un intervento in favore della cooperativa “La Pietrina”, cui erano interessati (come “soci palesi”, secondo il collaborante) il Miccichè e l’avv. Bevilacqua. Su richiesta di quest’ultimo, l’on. Lima prese contatto con l’avv. Francesco Morgante al fine di evitare che la predetta cooperativa fosse esclusa dall’affidamento di lavori presso la miniera di Pasquasia. […] Queste dichiarazioni del Messina sono corroborate da una pluralità di riscontri estrinseci che ne confermano inequivocabilmente il nucleo significativo essenziale.

Dalla deposizione resa dal teste M.llo Emanuele Licata all’udienza del 26 marzo 1997 si desume che della cooperativa “La Pietrina”, costituita nel 1989, facevano parte Liborio Miccichè (che ne era il Presidente), alcuni esponenti di spicco della criminalità organizzata della zona di Pietraperzia, ed il nipote dell’avv. Raffaele Bevilacqua. Tale società nell’ottobre del 1991 ottenne dall’Italkali S.p.A. commesse per £. 1.443.933.594 presso la miniera di Pasquasia. In precedenza altre commesse erano state affidate dall’Italkali S.p.A. alla cooperativa a r.l. “CO. P. e L. Pietrina”, costituita in data 25 settembre 1984, della quale erano soci alcuni parenti del Miccichè (v. l’atto costitutivo della società, acquisito al fascicolo per il dibattimento: doc. n. 158).

La circostanza che l’avv. Bevilacqua si sia adoperato per ottenere un interessamento dell’on. Lima in favore della suddetta cooperativa trova riscontro nel contenuto di due conversazioni svoltesi tra il Miccichè ed il Bevilacqua (come si evince inequivocabilmente dai riferimenti in esse compiuti), che hanno formato oggetto delle intercettazioni eseguite, su disposizione dell’Autorità Giudiziaria di Enna, in ordine all’utenza telefonica della I.C.E.L.C. s.r.l. Calcestruzzi (doc. n. 88 bis, prodotto all’udienza del 9 giugno 1997).

In particolare, nella conversazione telefonica svoltasi in data 3 settembre 1991 alle ore 19.15 tra il Miccichè e l’avv. Bevilacqua, si faceva riferimento, in un medesimo contesto di discorso, alla miniera di Pasquasia e ad un successivo incontro con l’on. Lima. […].

Dalla deposizione testimoniale resa all’udienza del 26 marzo 1997 dall’isp. Brigida Mangiaracina si desume, inoltre, che l’avv. Francesco Morgante assunse la carica di amministratore delegato della Italkali S.p.A., e nel dicembre del 1995 fu tratto in arresto in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. del Tribunale di Palermo, unitamente all'ex Presidente della Regione siciliana Rino Nicolosi ed all'ex Assessore Luigi Granata, per concorso in abuso di ufficio, falso in bilancio ed altri delitti. Gli accertamenti svolti dal Nucleo Regionale di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza portarono alla conclusione che molte forniture apparentemente effettuate nei confronti della Italkali S.p.A. da alcune ditte come la cooperativa “Pietrina” erano in parte inesistenti; dalle indagini emerse, altresì, che l’avv. Morgante riusciva ad ottenere dalla Regione Siciliana finanziamenti per queste forniture attraverso i rapporti che egli intratteneva con i vertici regionali della Democrazia Cristiana.

La comunanza di interessi economici tra il Bevilacqua ed il Miccichè è confermata dalla circostanza (riferita dal teste Longi) che i medesimi soggetti ebbero ad acquistare insieme (unitamente alle rispettive mogli) alcuni beni immobili.

Del tutto marginali sono le imprecisioni riscontrabili nelle dichiarazioni del Messina in ordine alla posizione formalmente rivestita dal Bevilacqua rispetto alla suddetta cooperativa; è, infatti, perfettamente comprensibile che il collaborante sia stato indotto in errore dalla evidente cointeressenza del Bevilacqua, ed abbia quindi ritenuto che costui avesse assunto la qualifica di socio palese.

E’, infine, significativa la circostanza che, dopo le suindicate conversazioni telefoniche svoltesi nel Settembre 1991, il Miccichè abbia continuato a sostenere la corrente andreottiana, tanto che egli, al momento in cui venne ucciso in data 4 aprile 1992 nella piazza principale di Pietraperzia, era intento a distribuire volantini dell’on. Luigi Foti, appartenente al medesimo gruppo politico.

Dalle risultanze probatorie sopra esaminate emerge, dunque, con chiarezza la rilevanza e la continuità del rapporto di fattiva collaborazione dell’on. Lima con "Cosa Nostra".

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