Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna, il Blog mafie pubblica una seconda serie che si concentra sul ruolo dei mandanti


Federico Umberto D’Amato, come si è visto nel terzo capitolo di questa parte, è risultato destinatario di erogazione di ingenti fondi, provenienti dalle casse del banco Ambrosiano, da parte di Gelli e del socio Umberto Ortolani.

Su questa base se ne profila una partecipazione ai fatti del 2 agosto. Le concrete modalità di tale partecipazione sono legate al ruolo che ha avuto nell’azione esecutiva Paolo Bellini, militante di Avanguardia Nazionale, legato a Stefano Delle Chiaie, a sua volta considerato in questo processo e in generale dalle fonti storiche e dalle indagini sugli eventi della “strategia della tensione” come “uomo di D’Amato”.

La tesi di fondo della Procura generale, sulla base di un quadro indiziario tanto vasto quanto di complessa descrizione, è che D’Amato sia stato il cuore occulto ma onnipresente, in tutte le vicende che hanno segnato i rapporti tra eversione interna e servizi segreti, oltre ad essere l’uomo di riferimento in Italia dei servizi segreti della Nato, coinvolto nella strategia della tensione e nelle vicende sviluppatesi dalla metà degli anni Sessanta fino al 2 agosto e oltre.

La tesi della pubblica accusa si sintetizza nella seguente proposizione, a p. 50 della memoria:

«Federico Umberto D’Amato era la persona più adatta ed affidabile, agli occhi di Licio Gelli, per mettere a frutto l’oneroso investimento strategico di 850.000 dollari effettuato dal capo della loggia massonica P2 in vista del progetto “Bologna”, finanziariamente documentato nell’omonimo appunto.

Tale progetto prevedeva ab origine, necessariamente, anche l’appoggio di apparati infedeli dei servizi segreti dell’epoca, in seno ai quali l’esponente più influente, qualificato e di maggior potere era, senza dubbio, il piduista Federico Umberto D’Amato, che si avvaleva di relazioni amministrative, politiche, massoniche e di intelligence (anche sul versante atlantico) di altissimo livello e poteva contare sull’appoggio dei “colleghi” piduisti Grassini e Santovito posti ai vertici, rispettivamente, del servizio segreto civile e militare.

Lo sviluppo della condotta deviante attuata dal Sisde e dal Sismi con le citate informative del 9/10/1980 (Sisde) e del 14/10/1980 (Sismi) spiega, infine, la ragione per cui nell’appunto Bologna, a fianco del nominativo Zaff. e della cifra di ingaggio di 850.000 (dollari), figurino la data del 7/10/1980, coeva all’avvio delle informative depistanti, e la menzione Relaz., riferibile alle influenti relazioni personali e di potere che il D’Amato era in grado di attivare per garantire la messa in pratica della condotta di depistaggio, ovvero alle stesse relazioni informative prodotte dai Servizi per depistare; condotta che fu effettivamente realizzata, come risulta acclaralo dalle già citate sentenze definitive di condanna.

A ciò si aggiunga che la data del 7/10/1980 non corrisponde ad alcuna operazione riferibile al citato conto N. 525779 di Licio Gelli, il cui sviluppo integrale risulta documentato nell’allegato n. 1 (pag. 28 e seguenti) dell’informativa in data 15/7/1987 della Guardia di Finanza».

D’Amato, in questa prospettiva, partecipa alla strage in forme non definite, ma ragionevolmente riconducibili alla messa a disposizione, nella protezione del commando operativo da interferenze impeditive dell’azione, in una sorta di studiato lassaiz faire che attraverso non definite mediazioni hanno permesso il coordinamento dei diversi partecipanti e l’assunzione di ruoli precisi nella fase esecutiva. Vi partecipa poi ex post, lavorando ai depistaggi.

Bisogna chiedersi: poteva D’Amato svolgere questo ruolo? Aveva la disponibilità di mezzi relazioni, conoscenze per fornire impulsi e svolgere una silente azione di coordinamento in favore del gruppo che aveva assunto l’iniziativa e di coloro che agli stessi prestarono man forte?

D’Amato nell’ultima fase della sua vita si vantava di essere stato il solo uomo dei vertici dei servizi segreti, estraneo alle inchieste per le stragi e la cui attività era rimasta sostanzialmente occulta.

L’incidente di percorso della scoperta della sua iscrizione alla P2 era stato brillantemente superato e non sono pochi coloro che rilevano come il suo interrogatorio avanti alla Commissione sia un esempio di arroganza, disprezzo e di capacità di ricatto.

La documentazione che la Procura generale ha prodotto in giudizio conferma la potenza del personaggio, la sua invulnerabilità, sancita dal successo del suo lavoro, dopo l’uscita dal servizio, di critico gastronomico al servizio di uno dei più potenti gruppi editoriali del Paese, attività svolta in parallelo a quella di consulente esterno di capi della polizia e potenti uomini politici, secondo il racconto di Claudio Gallo, una sorta di segretario factotum degli ultimi anni di vita.

Una capacità di ricatto che si evidenzia in alcuni dei documenti sequestrati dall’autorità giudiziaria di Venezia e in definitiva dalla mancanza di inchieste penali a suo carico, non diversamente da Gelli, a proposito del quale – non può essere dimenticato – l’Avvocatura dello Stato nella sua memoria ha scritto: «Nonostante le sentenze di condanna, Gelli non ha mai scontato in Italia un sol giorno di detenzione ed è rientrato nel nostro Paese in sicurezza, mediante l’“Operazione Artigli”, incentrata sulla efficacia ricattatoria del “Documento Bologna”, ed è stato posto al riparo da ogni pericolosa attenzione della magistratura italiana».

Solo negli ultimi anni, indagini giudiziarie e storiche aprono squarci di luce sul personaggio, ai quali accenneremo per dimostrare come dietro l’apparenza, il ruolo che la Procura Generale assegna al D’Amato rispetto alla strage del 2 agosto è tutt’altro che implausibile oltre che fondato sulle massicce evidenze del Documento Bologna.

La deposizione del prof. Aldo Giannuli

Il prof. Giannuli è stato incaricato di svolgere una consulenza di carattere storico sulla figura di Federico Umberto D’Amato. È stato esaminato sui risultati dell’indagine nelle udienze del 26 maggio e del 9 giugno 2021: vita, opere, relazioni pericolose, collegamenti con Gelli e l’eversione neofascista.

Giannuli racconta le vicende della ricostituzione della polizia politica alla caduta del fascismo, per cui tutti i vecchi funzionari di tale polizia, in particolare di quel nucleo specificamente addetto alle indagini sui militanti politici antifascisti, cui si aggiunsero poi i gerarchi di regime, l’Ovra, vennero riassorbiti nell’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno.

D’Amato emerge sin dagli inizi come funzionario di polizia non apertamente fascista, che si mette a disposizione degli americani nel momento in cui questi occupano Roma; si distinse raccogliendo informazioni che portarono allo smantellamento della rete spionistica allestita dai nazisti nell’imminenza dell’occupazione.

Questo il quadro di sintesi che emerge dalla ricerca del consulente e dalla sua deposizione a pag. 14 del verbale. «… mentre il padre era liberale, anche se ha servito dei fascisti, D’Amato non è mai stato né liberale né niente. D’Amato è sempre stato un uomo geniale, ma assolutamente amorale e privo di principi di qualsiasi sorta, non si può dire, come dimostra la sua biografia, che abbia mai avuto un particolare senso dello Stato, ha sempre giocato una partita molto personale, in accordo con chi gli conveniva, momento per momento.

Non si può dire che sia stato fascista, come vedremo dopo anche delle vicende della Strategia della Tensione, lui ha sempre mantenuto un piede verso l’eversione di destra, un po’ per controllarla, un po’ perché non si sa mai, dovesse riuscire il colpo di Stato, nel caso Borghese lui ha questa posizione ambigua, però in realtà l’uomo non è lai stato organico, ha sempre giocato un ruolo totalmente personale, arrivando addirittura a contrastarsi con il Ministero dell’Interno, al quale giocò uno scherzo poco simpatico, perché indagò sulla sua amante che era una nota attrice del tempo.»

Questa vicenda è per il consulente emblematica di ciò che sarà l’atteggiamento costante di D’Amato, di giocare una partita in proprio e non al servizio di altri, strumentalizzando i rapporti con i politici, manipolando le informazioni, filtrandole sia rispetto ai superiori nell’Amministrazione, sia rispetto ai capi politici.

Anche nel caso del conflitto con il ministro Tambroni fu sì provvisoriamente allontanato da Roma ma collocato in un altro Ufficio strategico, l’Ufficio Vigilanza Stranieri di Firenze, preposto al controllo delle spie dell’est, da dove rientrò appena ritenne fosse giunto il momento e cioè alla caduta di Tambroni nel 1960. L’indagine sull’amante del ministro aveva lo scopo di disporre di informazioni a fini di ricatto dei politici del tempo.

In sostanza D’Amato raccoglieva dossier sui politici e li teneva in scacco. La sua cultura “francesizzante” Io portò ad avere come modello di riferimento il Ministro dell’Interno di Napoleone Bonaparte Fouchè e il capo della polizia fascista Bocchini. Da entrambi trasse l’ispirazione a sostenere il proprio potere con la costituzione di un archivio di dossier su tutti i principali esponenti politici di governo e di opposizione, costituendo così un’autentica “polveriera”.

Sostiene il consulente che la polizia politica italiana si sia formata nel c.d. territorio libero di Trieste occupato dagli americani, dove i nostri funzionari appresero dalla Cia le tecniche dello spionaggio a tutto campo nei confronti di tutti gli uomini di interesse pubblico.

«Non è solo una questione di imitazione – sostiene il consulente – è che la Cia vuole ricevere informazioni e quindi in qualche modo ... cerchi di procurarti informazioni appetibili che poi magari ti ricambieranno con qualche informazione, con qualche azione, magari anche aiutandoti nel finanziamento. E sono cose che in qualche modo trovano la loro spiegazione nella convenienza, ecco perché la Polizia di periodo repubblicano cambia pelle» (pag. 18).

Il consulente ha spiegato come nel sistema italiano gli apparati di sicurezza avessero una fondamentale fedeltà ai politici di riferimento, per cui all’interno del servizio si delineavano cordate di funzionari identificati attraverso i loro legami con il protettore politico. D’Amato finì con l’appartenere a diverse cordate e, a differenza di molti, seppe emergere e mettersi in proprio.

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