Il tribunale dell’Onu impone a Israele di disporre misure per evitare la pulizia etnica. Il caso presentato dal Sudafrica accolto nella sostanza. Ma nella Striscia si combatte
Ieri gli occhi del mondo erano puntati sull’Aia. Nella città olandese, la Corte internazionale di giustizia era chiamata a rispondere sulla causa intentata dal Sudafrica contro Israele, accusato di commettere un genocidio a danno dei palestinesi a Gaza con la sua operazione militare iniziata lo scorso 7 ottobre. Da una prima analisi, la decisione, pronunciata dalla presidente statunitense della Corte Joan Donoghue, ha seguito il percorso della diplomazia. Se da una parte la Corte ha asserito che ha giurisdizione sul caso e ha chiesto a Israele di «prendere tutte le misure in suo potere» per prevenire atti che violino la convenzione sul genocidio del 1948, dall’altra, invece, non ha chiesto il cessate il fuoco immediato, come invece auspicato dal Sudafrica.
Cosa ha deciso la Corte
A distanza di due settimane dalle udienze dell’11 e del 12 gennaio la Corte si è espressa con grande rapidità sul caso, vista la pesante accusa arrivata sul suo tavolo e il conflitto ancora in corso. Esprimendo preoccupazione per le vittime civili, Donoghue ha detto che «il 93 per cento della popolazione nella Striscia di Gaza rischia la fame e centinaia di migliaia di bambini non hanno accesso all’istruzione». Il rischio che la situazioni diventi «catastrofica» è molto alto. Inoltre, secondo i giudici «ci vorranno anni per risollevare un’intera generazione di bambini traumatizzati». Da qui la necessità di far entrare aiuti umanitari per la popolazione il prima possibile e garantire la fornitura dei servizi essenziali. Aiuti che erano entrati nella Striscia attraverso il valico di Rafah dall’Egitto con le brevi pause umanitarie di dicembre. Ma da settimane la fila di camion in attesa di entrare a Gaza è sempre più lunga.
Leggendo il dispositivo la giudice americana ha chiesto anche alle autorità israeliane di adottare misure «per prevenire e punire l’incitamento pubblico e diretto a commettere un genocidio nei confronti dei membri dei gruppi palestinesi nella Striscia di Gaza». Un chiaro riferimento ai leader politici di estrema destra del governo di Benjamin Netanyahu, che più volte secondo le accuse del Sudafrica hanno utilizzato un linguaggio disumanizzante nei confronti del popolo palestinese. La Corte ha citato come esempio le dichiarazioni del ministro della Difesa Yoav Gallant che il 9 ottobre scorso «ha ordinato un “assedio completo” a Gaza» affermando: «Stiamo combattendo animali umani e ci comporteremo di conseguenza». Donoghue ha anche detto che la corte è «gravemente preoccupata» per la sorte degli ostaggi rapiti in Israele il 7 ottobre e ha chiesto «il loro rilascio immediato e incondizionato».
Le reazioni
Esultano il Sudafrica e l’Autorità nazionale palestinese. La decisione è «una vittoria del diritto internazionale», dicono da Pretoria. «Una sentenza a favore dell’umanità», dicono gli uomini di Abu Mazen. Il dispositivo «isola Israele» è la lettura di Hamas. L’Unione europea, invece, ha chiesto a Israele di attenersi alle decisioni dell’Aia. Silenzio da parte di Stati Uniti, Russia e i più importanti paesi arabi. La prima reazione avversa è del ministro della Sicurezza nazionale israeliano, l’estremista Itamar Ben Gvir. «La decisione del tribunale antisemita dell'Aia dimostra ciò che si sapeva in anticipo: questo tribunale non cerca giustizia, ma la persecuzione del popolo ebraico», ha detto. Sulla stessa onda anche il ministro Yitzhak Wasserlauf. Per evitare tensioni con l’organo giudiziario, il premier Benjamin Netanyahu avrebbe chiesto ai suoi ministri di astenersi da dichiarazioni pubbliche, visti i precedenti.
Per Netanyahu: «La stessa affermazione che Israele sta commettendo un genocidio contro i palestinesi non è solo falsa, è oltraggiosa, e la volontà della Corte di discuterne è un segno di vergogna che non sarà cancellato per generazioni». Resta da capire se il prossimo giudizio della Corte, che ha dato a Israele un mese di tempo per dimostrare che non stia compiendo un genocidio con i suoi bombardamenti e l’isolamento di Gaza, prendi una direzione diversa dato che cambierà la composizione di 5 dei 15 giudici che la compongono. Infatti, il 6 febbraio scadrà anche il mandato della stessa presidente Donoghue. Forse anche per questo la decisione più importante, quella su il cessate il fuoco, è stata procrastinata.
Intanto, i bombardamenti su Gaza da parte dell’esercito israeliano continuano. Per Udine Rony Brauman, medico francese e direttore della ricerca della fondazione Medici senza frontiere, la situazione è «catastrofica». «Gaza sta diventando un cimitero dei bambini. Il quadro è destinato ad aggravarsi: ci sono state altre situazioni terribili, come in Yemen, Cecenia, Afghanistan, ma mai si era verificata una tale intensità di bombardamenti su una popolazione concentrata in un territorio dal quale non può scappare».
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