La sentenza della Corte costituzionale ha cancellato il blocco deciso dalle autorità della capitale: così il rincaro del canone diventa uno dei temi principali al centro della campagna elettorale per l’elezione del Bundestag e del prossimo borgomastro, entrambe il prossimo 26 settembre
- Una crescita senza controllo. Negli ultimi anni gli affitti hanno raggiunto livelli preoccupanti a Berlino, dove i prezzi delle case sono cresciuti del 27 per cento tra il 2013 e il 2019.
- Per questo nel 2020 la città di Berlino è intervenuta bloccando gli affitti in tutta la capitale per almeno 5 anni.
- Un intervento che però non è piaciuto al governo federale, che era già intervenuto sul tema nel 2015. La Corte di Karlsruhe ha così bloccato la legge locale.
Capitale contro governo federale. Proteste in piazza e giudici che annullano provvedimenti. Il caso degli affitti a Berlino è uno dei temi che più ha interessato la politica locale e nazionale nelle ultime settimane e che rimarrà al centro della scena anche durante la campagna elettorale della capitale e del Bundestag, le cui elezioni sono previste entrambe per il prossimo 26 settembre. Gli interessi sono molti e le posizioni tendenti al conflitto ma il problema sembra chiaro. «Il mercato immobiliare dell’area metropolitana è in difficoltà, servono appartamenti economici. Il settore va regolamentato visto che le nuove costruzioni residenziali non porteranno alcun sollievo nel prossimo futuro», spiega Wibke Werner, vicedirettrice generale di Berliner Mieterverein, la più grande organizzazione di inquilini della capitale, con oltre 180 mila membri.
Il problema
Tutto inizia nel 2015 quando, per rispondere a un aumento degli affitti in tutto il paese, il governo federale ha approvato una legge per istituire un tetto massimo ai canoni. La legge, nota come Mietpreisbremse («freno agli affitti», nda), prevedeva che i proprietari non potessero aumentare il prezzo oltre un certo limite deciso a seconda del quartiere e della città.
Da sempre la questione casa in Germania è particolarmente complicata: molti tedeschi, infatti, preferiscono vivere in affitto e un esempio è proprio Berlino, dove si raggiunge addirittura quasi l’80 per cento di affittuari. La legge federale però non era perfetta: erano escluse tutte le case affittate dopo il 2014, coloro che avevano rinnovato da poco e soprattutto non erano previste sanzioni per gli eventuali trasgressori. Un problema vero, soprattutto per la capitale: infatti a Berlino l’aumento degli affitti ha inciso maggiormente rispetto ad altre città tedesche, come Amburgo o Monaco, dove sono cresciuti contemporaneamente anche gli stipendi.
Nasce così la tempesta perfetta, con una domanda in rapida crescita (come stimava Politico Europe, nell'ultimo decennio la popolazione di Berlino è cresciuta del 12 per cento e ha raggiunto i 3,75 milioni mentre la quota di stranieri è cresciuta addirittura del 65 per cento, arrivando a 759mila persone) e un’offerta sempre più ridotta e costosa, come testimoniato dalla ricerca della German Property Foundation che ha evidenziato un’impennata del 27 per cento degli affitti tra il 2013 e il 2019. Come risolverlo? Nel 2020 i deputati della Spd, Linke e Grünen, la maggioranza dell’Abgeordnetenhaus, l’Assemblea monocamerale della città di Berlino, hanno rotto gli indugi e approvato un provvedimento che istituiva un blocco degli affitti per circa 1,5 milioni di appartamenti, per i quali non sarebbe stato più possibile superare il livello di giugno 2019 per almeno 5 anni.
Una legge che ha però da subito incontrato l’opposizione dei proprietari e che ha trovato sponda in parlamento tra i liberali della Fdp e il blocco Cdu/Csu. Sono stati loro i primi a promuovere il ricorso alla Corte costituzionale di Karlsruhe che alla fine ha dato ragione al governo federale.
«Il tetto degli affitti è ormai storia. Questo è un bene, perché è stata anche la strada sbagliata in termini di politica edilizia. Ha creato incertezza nei mercati immobiliari, rallentato gli investimenti e non ha creato un solo nuovo appartamento. Solo creando nuovi appartamenti possiamo proteggere gli inquilini», ha dichiarato pochi minuti dopo la sentenza il ministro dell’Interno Horst Seehofer, che ha anche la delega ai lavori pubblici.
Una reazione diversa è invece arrivata da Berlino. «Ora è compito del governo federale creare un'efficace legge sui prezzi degli affitti che garantisca il mix sociale nelle città o trasferire la competenza per questo agli stati federali», ha dichiarato il senatore (la carica corrispondente a un assessore regionale) responsabile per lo sviluppo urbano, Sebastian Scheel. Risolvere il bandolo della matassa sarà compito del prossimo cancelliere.
Lo stallo
La situazione infatti ha raggiunto i livelli di guardia. «Il canone medio è di 6,79 euro al metro quadro ma per i nuovi contratti si arriva addirittura a 13 euro al metro quadro. Potrebbe non sembrare alto rispetto ad altre metropoli ma bisogna tener conto del livello di reddito che è molto basso, intorno ai 1.800 euro netti per nucleo familiare», dice Werner.
Il problema quindi qual è? «Mancano appartamenti nella fascia più economica: le nuove costruzioni sono ancora principalmente nel segmento costoso. Così le famiglie a basso reddito sono costrette a dover lasciare gli ambiti quartieri del centro città», conclude la vicedirettrice generale di Berliner Mieterverein.
Una fuga che rischia di diventare un vero e proprio esodo: dopo la sentenza della Corte costituzionale molti temono che i proprietari possano chiedere l’affitto arretrato, secondo una clausola presente in molti contratti stipulati tra la legge della città di Berlino e la decisione dei giudici di Karlsruhe.
Un intervento del governo federale si prospetta perciò come necessario anche se non sarà facile superare veti ed interessi divergenti. «Sicuramente ad alcuni politici spaventa l’idea di giocarsi i rapporti con un gruppo d’interesse influente come quello dei proprietari di immobili. Un divieto di aumento dei canoni di locazione avrebbe un’incidenza negativa sulle loro rendite. Sarebbe soprattutto importante mettere mano all’edilizia popolare, trascurata sin dall’inizio degli anni Duemila. Il passaggio sarà fondamentale per il futuro della città, visto che negli ultimi anni non sono arrivati soltanto stranieri ma anche giovani dalle campagne attratti dalle possibilità che dà la città», ha dichiarato Claus Michelsen, esperto di mercati immobiliari presso il Diw, l’Istituto tedesco di Ricerca economica di Berlino, in un’intervista sul sito del Goethe Institut.
La fusione e il futuro
La storia non finisce qui. A fine maggio, infatti, le società immobiliari Vonovia e Deutsches Wohnen, il primo e il secondo gruppo edile di Berlino, hanno deciso di fondersi. Per il settore una vera e propria bomba, come raccontano i numeri.
Il soggetto che nascerà sarà in grado di controllare 550mila appartamenti in Germania e quasi 150mila nella sola Berlino, dove rappresenterebbe il 9 per cento degli 1,67 milioni di case in affitto in città. La potenza economica è indubbia visto che parliamo di una fusione in grado di mettere assieme due società per un valore di 80 miliardi di euro di proprietà residenziali e 48 miliardi di quotazione di Borsa.
Nel tentativo di ingraziarsi le autorità cittadine il nuovo soggetto ha proposto al Comune di comprare 20mila appartamenti, dando così una mano ad ampliare il patrimonio immobiliare municipale attualmente fermo a 340mila unità abitative, a un costo stimato intorno ai 2,1 miliardi di euro. Anche se dovesse andare in porto l’operazione il nuovo soggetto resterebbe di gran lunga il primo attore privato nel settore. Per questo l’operazione non rende tutti contenti.
«La fusione creerà un gigante immobiliare che avrà un notevole potere di mercato in alcune parti di Berlino e quindi avrà un'influenza crescente sulla politica. Vonovia ha promesso sconti per gli inquilini, ma è una regola che finora non ha mai rispettato. In questo senso l'acquisto di 20mila appartamenti da parte della città di Berlino è persino nocivo: questo vuol dire finanziare la fusione, dopo aver perso un miliardo da questa unione che non comporterà alcuna tassa di trasferimento immobiliare», sottolinea Werner.
E non è un caso che sia ancora in pedi il referendum, voluto da molte associazioni di inquilini per chiedere l’esproprio degli appartamenti per le società che possiedono più di 3mila unità. «Nulla cambia, l’obiettivo è sempre quello di raggiungere le 175mila firme», ha dichiarato la portavoce dell’iniziativa Jenny Stupka alla tv berlinese Rbb24. Finora sono state raccolte 130mila firme e la deadline è fissata per il prossimo 25 giugno. La storia rischia di complicarsi ancora di più.
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