- I club berlinesi erano in crisi già prima del Covid: affitti, gentrificazione e assenza della politica sono la vera radice del Clubsterben.
- La pandemia ha precipitato la situazione, costringendo la città a recuperare in fretta il terreno perduto
- Chiunque vinca le prossime elezioni dovrà farsi carico di rilanciare il settore culturale simbolo della capitale
Sedici mesi dopo l’inizio della pandemia, mentre la vita pubblica inizia lentamente a riemergere da dietro gli schermi, i governi di tutto il mondo hanno iniziato a raccogliere i cocci delle misure anti-Covid.
In Germania le restrizioni sono state quasi fino all’ultima competenza dei Land, riservando a ogni stato federale un momento di forzata introspezione: «Dimmi cos’hai salvato della vita di prima e ti dirò chi sei». E mentre nel Nordrhein-Westfalen di Armin Laschet la politica ha lottato per la riapertura degli outlet per mobili, la città-stato di Berlino ha dovuto gestire la drammatica situazione di club e discoteche.
La natura dell’infezione ha fatto sì che locali notturni e sale da ballo fossero fra i primi potenziali focolai a essere chiusi a inizio 2020, condannandoli a una lunga letargia. I gestori sperano che la lunga attesa finirà presto, e la maggior parte conta su un’apertura a fine estate, quarta ondata permettendo. Solo i pochi fortunati dotati di uno spazio all’aria aperta, come il leggendario Berghain, hanno intanto potuto ricominciare a ospitare serate, pur contingentando gli accessi.
Conseguenze sul settore
Questo piccolo conforto, pur concedendo un po’ di ossigeno alle finanze dei locali, farà ben poco per rassicurare il settore culturale più colpito dalla pandemia. Trattandosi di Berlino è infatti lecito parlare di “settore culturale”, una definizione riconosciuta ormai anche da politici locali della Cdu (politicamente non proprio alfieri di libertinaggio e disinibizione).
Sono ormai decenni che la vita notturna di Berlino è legata indissolubile dalla sua identità da capitale moderna, perfetta per una nuova repubblica tollerante. La forza liberatoria della musica già dava fastidio a Walter Ulbricht, il leader della Germania Est che si lamentava dello «Je Je Je» che imperversava a pochi metri dalla cortina di ferro (la sua esclamazione sarebbe un’onomatopea dello «Yeah Yeah Yeah» dei Beatles, che per altro a Berlino non hanno mai suonato).
Oggi come allora, i club della città rappresentano la Mecca della musica elettronica, della tecno e in generale di artisti alternativi o scomodi per le loro patrie. Jennifer Cardini, una leggendaria dj francese, ama raccontare come si sia finalmente sentita accettata come artista Lgbt solo dopo essersi esibita la prima volta nella città del dopomuro. La città dà vita a un’elettrizzante fusione fra studi musicali a basso costo, città multietnica e libertà sessuale che si rovescia sulle piste dei locali.
Un problema pre-Covid
Ma la città che fu di David Bowie ci ha messo anni a regalare la giusta considerazione ai propri club: la lunghezza del processo ha provocato un torpore politico che il Covid-19 rischia di tramutare in catastrofe artistica. Già prima del 2020, molti osservatori avevano segnalato una preoccupante moria di club meno affermati (in tedesco Clubsterben). Le cause di questo fenomeno sono diverse: l’aumento precipitosi degli affitti, la “gentrificazione” dei quartieri, ma anche un quadro normativo datato e l’assenza della politica.
La progressiva riqualificazione dell’ex est e lo sgombero di occupazioni abusive hanno reso sempre più necessaria una mediazione fra i residenti e i rumorosi locali notturni. L’arrivo di famiglie e residenti più “tranquilli” nei vecchi quartieri della città, costruiti in epoca guglielmina e abbastanza difficili da isolare acusticamente, ha portato a una progressiva migrazione dei club.
Prenzlauer Berg, dove negli anni Novanta si esibì per la prima volta la band metal Rammstein, è oggi un calmo quartiere residenziale molto poco metallaro. I club oggi più famosi, come il citato Berghain, il Sysyphos o :// About Blank, sono tutti concentrati nei distretti di Neukölln e Friedrichshain. I locali in quest’ultimo quartiere devono oggi affrontare lo spettro degli sfratti.
Poche settimane fa è stata annunciata la chiusura di Nuke Club, uno storico locale i cui locali saranno occupati da un co-working. Un altro club, il Griessmühle, è stato salvato da un simile destino solo dopo il diretto intervento dell’assessore alla Cultura. Ai problemi di affitto si aggiunge un piano regolatore che pone i club e locali notturni alla stregua dei bordelli e sale da gioco, rendendo molto difficile ottenere nuove autorizzazioni e licenze.
Il problema, quindi, va ben oltre la pandemia. Lo si capisce anche nel tipo di protesta lanciata da dj e proprietari di club rispetto agli artisti di altri settori culturali. Non ci sono state campagne polemiche come la controversa #allesdichtmachen (“chiudere tutto”, ndr), con cui attori di cinema e teatro hanno protestato contro le misure del governo, ma è stato piuttosto organizzato United We Stream, un’iniziativa con cui diversi dj e musicisti hanno provato a colmare al vuoto lasciato dalle chiusure.
Si è anche attivata la Clubcommission, l’associazione di rappresentanza dei locali che da anni si impegna per affrontare assieme alla politica i problemi della categoria. In tempi normali l’organizzazione può contare sul grande potere economico dei suoi associati: nel 2018 i club membri hanno generato circa 1,5 miliardi di euro per le casse cittadine impiegando quasi 10mila persone.
La Clubcommission ha avuto un ruolo fondamentale nello spingere il governo federale e il Land a fare di più durante la pandemia: i 30 milioni previsti per il settore a novembre, infatti, sono stati assegnati in maniera abbastanza eterogenea. Alcuni locali sono stati addirittura penalizzati per aver chiesto nel frattempo prestiti privati alle banche a causa della lentezza della città nella ripartizione delle risorse, costringendo molti ad appellarsi ai loro fan (il Watergate, ad esempio, è riuscito a ottenere ben 100.000 euro di donazioni dai suoi habitué).
Ancora non è prevista una data per la riapertura completa dei club. In Baviera, variante delta permettendo, il governatore Markus Söder ha fissato la scadenza per la fine di settembre. A complicare la questione nella capitale saranno le elezioni di settembre, dove non è certo che l’attuale coalizione Spd-Verdi-Linke possa essere confermata al governo. Un cambio di maggioranza al municipio rosso rallenterebbe anche le negoziazioni per dichiarare i club “Luoghi di cultura”, una mossa che porterebbe diverse facilitazioni.
Maggioranza o meno, è comunque improbabile che la prossima giunta non provi a cercare la quadra per questa crisi strutturale. Alla mediazione fra il diritto al silenzio dei residenti e la l’industria culturale si è ormai aggiunta l’urgenza di far tornare Berlino a essere la città delle libertà e della convivenza musicale. Nell’attesa, il servizio di trasporto pubblico Bvg ha introdotto un nuovo biglietto per i mezzi, il cui sovrapprezzo serve a sostenere i Kulturmacher, i “produttori di cultura” della città, club inclusi. Dove manca il riconoscimento politico, esiste già quello dei cittadini.
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