Merkel ha deciso sull’onda del disastro di Fukushima del 2011 di anticipare l’addio al nucleare della Germania: il risultato sono stati lauti risarcimenti alle aziende energetiche e un difficoltoso riassestamento dell’equilibrio delle forniture energetiche di un paese che ancora oggi, a un anno dallo stop, rischia di doversi rivolgere in misura maggiore al carbone
- Dopo 10 anni, la contesa è finita: la Germania pagherà 2,4 miliardi di euro a 4 società per l’uscita anticipata dal programma nucleare decisa nel 2011.
- La scelta del governo tedesco fu dettata dal disastro di Fukushima in Giappone, che ebbe una grande eco nel paese.
- Delle 17 centrali attive nel 2011 ne sono rimaste soltanto 6 e l’ultima chiuderà nel 2022. Questo porterà la Germania a produrre più energia dal carbone.
Una storia lunga quasi dieci anni. L’8 marzo 2021 il governo federale ha raggiunto un accordo con le quattro compagnie che detenevano la proprietà delle centrali nucleari tedesche, Rwe, Vattenfall, EnBW e Eon/PreussenElektra, per risolvere il contenzioso sulla chiusura anticipata decisa nel 2011, dopo l’incidente nella centrale di Fukushima in Giappone. Un evento che costrinse l’allora governo di Angela Merkel, un’alleanza tra Cdu e partito liberale (Fdp), a fare marcia indietro e ad anticipare al 2022 la chiusura inizialmente prevista nel 2036 soltanto pochi mesi prima. In questi dieci anni le compagnie che si sono viste espropriare le centrali hanno intentato numerose cause contro Berlino, arrivando a chiedere fino a 19 miliardi di euro. Sebbene diversi tribunali abbiano legittimato la decisione del governo, la Corte costituzionale ha però stabilito con le sentenze del 2016 e del 2020 che alle imprese fosse dovuto un risarcimento per compensare le perdite legate ai mancati profitti e agli investimenti inutili.
La svolta politica
I dubbi sull’impiego del nucleare in Germania sono diffusi fin dal 2000 quando il governo rossoverde del socialdemocratico Gerhard Schröder decise di eliminare gradualmente questa fonte di energia, fissando lo spegnimento dell’ultima centrale nel 2025 e portando avanti un programma di rafforzamento della produzione di energie rinnovabili. La prima parte del phase out non durò molto: nel 2010 il governo giallonero guidato da Angela Merkel decise di ridisegnare il piano e chiudere l’ultima centrale soltanto nel 2036. Una scelta che sposava le convinte posizioni di molti leader conservatori locali presenti soprattutto in Baviera e nel Baden-Württemberg, dove il governatore era Stefan Mappus, fervente sostenitore del nucleare e in corsa per la rielezione nel 2011.
Il disastro in Giappone cambiò però la percezione dell’opinione pubblica tedesca. Tra l’11 e il 12 marzo 2011 a Fukushima la combinazione terremoto più maremoto provocò la distruzione dei sistemi di raffreddamento dei tre reattori della centrale, con conseguente scioglimento dei noccioli. Un evento che ebbe un incredibile eco anche a 9mila chilometri di distanza, sia all’interno del governo che nella società tedesca. Nel Baden-Württemberg, 60mila manifestanti formarono una catena umana di 45 chilometri tra Stoccarda e il reattore Neckarwestheim, di cui chiedevano lo spegnimento. Il tabloid Bild dedicò uno speciale di cinque pagine raccontando «l’orrore atomico» di Fukushima. Sondaggi e opinione pubblica evidenziarono lo sconcerto dei tedeschi e la prova finale arrivò il 27 marzo, quando la presa di posizione della popolazione portò alla vittoria nel Baden-Württemberg, Land tradizionalmente conservatore, la coalizione rossoverde e Winfried Kretschmann diventò il primo governatore Verde nella storia della reepubblica federale. Una sconfitta incredibile per la cancelliera che però si concluse con una retromarcia. «Fukushima ha cambiato il mio atteggiamento nei confronti dell'energia nucleare», dichiarò Merkel al Bundestag presentando un emendamento al piano per il nucleare che prevedeva la chiusura immediata per otto centrali e la proroga per le restanti nove fino al 2022. «La cancelliera atomica è diventata la cancelliera dell’Ausstieg» (dell’addio al nucleare, ndr), titolerà la Süddeutsche Zeitung il giorno seguente.
La transizione
La svolta decisa a livello federale fu una sorpresa per molti. Le centrali nucleari tedesche erano infatti considerate sicure e dotate di buoni protocolli. Inoltre, producevano un’importante quantità di energia elettrica che aveva permesso ad alcuni territori di attrarre investitori come nel caso di Stade, cittadina della bassa Sassonia dove erano arrivate la finlandese Norsk Hydro e l’olandese AkzoNobel per sfruttare la presenza della centrale nucleare. «Dopo l’incidente di Fukushima ci aspettavamo che ci sarebbero state pressioni per aumentare i controlli, non di uscire dal nucleare», commenta alla Frankfurter Allgemeine Zeitung Wilfried Müchler, oggi presidente del cda di Preussen Elektra, che gestisce la centrale di Unterweser, sempre in Bassa Sassonia. Il graduale spegnimento degli impianti è stato il primo problema in questi dieci anni, con un occhio alla questione energetica. «La fornitura energetica nel nord della Germania potrebbe diventare un problema: abbiamo bisogno di un approvvigionamento affidabile, a prescindere dalla fonte. La leadership della Germania nel settore è sempre stata legata a questo», sostiene il portavoce della Dow Chemical sempre alla Faz. Un problema rilevato anche in Baviera, quando venne annunciata la chiusura nel 2022 della centrale di Gundremmingen, nel distretto bavarese di Günzburg. La scelta ancora oggi scatena accese discussioni. «Nel nostro paese le centrali nucleari vengono chiuse prima di quelle a carbone: un vero controsenso visto il cambiamento climatico», commenta Alfred Sauter, membro della Csu, il partito gemello della Cdu di Merke, nel Landtag bavarese, il parlamento regionale.
Il carbone
La scelta di abbandonare il nucleare non è stata infatti indolore per la Germania, soprattutto a livello energetico: l’Ufficio federale di statistica ha stimato che il 12 per cento dell’energia prodotta nel 2020 arrivasse dalle centrali ancora aperte. La chiusura definitiva di tutti i siti nel 2022 dovrà perciò essere rimpiazzata oltre che dalle rinnovabili anche da nuove centrali di carbone e lignite, che già coprono il 24 per cento del fabbisogno energetico. Un problema però per la neutralità climatica, che in Germania viene prospettata entro il 2050. Per questa ragione a inizio 2021 Berlino ha elaborato un piano di eliminazione delle centrali elettriche a carbone, come ultima grande economia europea a farlo, che prevede la chiusura di tutti gli 84 impianti soltanto nel 2038, quando per esempio Regno Unito e Italia lo faranno già nel 2025. «La chiusura di tutti i reattori nucleari in Germania entro il 2022 significa che la Germania potrebbe aver bisogno di trattenere metà della sua produzione di energia a carbone fino al 2030 per compensare l'eliminazione graduale del nucleare», ha commentato il ministro dell'economia Peter Altmaier. Il paese ha ormai voltato pagina. «A questo punto possiamo considerare l’energia nucleare morta in Germania. Molti però si sono ricreduti rispetto al 2011, ma non si torna indietro: da un eventuale nuovo dibattito potremmo uscire solo sconfitti», sostiene Sauter.
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