Il 5 maggio del 2020 il Bundesverfassungsgericht, la Corte costituzionale tedesca, aveva per la prima volta disatteso una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, considerandola non sufficientemente motivata, palesemente contraddittoria e, dunque, da non applicare nell’ordinamento tedesco. Oggetto della sentenza erano i piani della Bce di acquisti di titoli di stato avviati da Mario Draghi. Per la Corte tedesca i piani violavano i trattati europei, considerati invece compatibili dalla Corte del Lussemburgo.

La sentenza aveva scatenato polemiche in tutta Europa, si era persino parlato di avviare una procedura d’infrazione contro la Germania per aver disatteso il diritto dell’Unione europea. Da subito governo federale e Bundesbank si erano attivati, seguendo le indicazioni del Bundesverfassungsgericht e avevano chiesto alla Bce una serie di documenti. Poche settimane dopo al Bundestag, il parlamento tedesco, veniva approvata una mozione che considerava soddisfatte le richieste del Bundesverfassungsgericht. Una parte di questi documenti era rimasta secretata su richiesta proprio degli organismi europei. Nonostante il clamore suscitato dalla sentenza, il gioco tra le istituzioni tedesche aveva permesso alla Bundesbank di continuare a partecipare ai programmi della Bce. La vicenda era, almeno in apparenza, conclusa.

L’evoluzione

Non era bastato, però, ai ricorrenti che hanno chiesto al Bundesverfassungsgericht un provvedimento esecutivo della sentenza, valutando negativamente e tutto sommato inefficace l’azione del Bundestag e del governo federale. Da Karlsruhe è arrivato, però, martedì scorso l’ennesimo stop: la loro richiesta è stata respinta, con una serie di valutazioni. Innanzitutto, la sentenza del maggio 2020 chiedeva agli organi tedeschi di attivarsi per «correggere» i programmi avviati dalla Bce.

Le iniziative messe in campo da parlamento e governo federale vanno, ad avviso dei giudici costituzionali, nella direzione di quanto stabilito dalla sentenza. La loro valutazione deve essere rispettata e può, al massimo, essere oggetto di un nuovo ricorso costituzionale. Ma, al momento, i ricorrenti devono accettare il giudizio espresso dalla «rappresentanza popolare» nel corso del dibattito in commissione e in aula, concretizzato poi in una mozione approvata a larghissima maggioranza. Persino altre richieste dei ricorrenti (ad esempio quella di accedere direttamente ai documenti che non andrebbero quindi secretati) richiederebbero innanzitutto l’indispensabile valutazione della Corte di giustizia dell’Unione europea.

Nessun automatismo

Si tratta di un’ordinanza interessante perché chiarisce ulteriormente senso e limiti della sentenza dello scorso maggio. Qualcuno, non ultimo la parte più reazionaria della destra tedesca, ci aveva visto una sorta di cavallo di Troia nel diritto europeo, che sarebbe così sempre ostacolato o messo in discussione dalle Corti nazionali. Non c’è, invece, nessun automatismo tra una valutazione negativa del ragionamento realizzato dalla Corte del Lussemburgo e una sospensione del diritto dell’Ue.  

Per i ricorrenti si tratta di una pessima notizia: se un anno fa avevano (frettolosamente) festeggiato perché credevano di aver fatto breccia nel diritto europeo, Karlsruhe conferma da un lato la responsabilità all’integrazione delle istituzioni tedesche e dall’altro il coinvolgimento del Bundestag e del governo federale nel correggere atti prodotti in violazione dei trattati.

I quali, nel perseguire l’integrazione, possono (verrebbe quasi da dire “ovviamente”) valutare autonomamente modo e misura della loro partecipazione ai programmi dell’Ue. Dunque, a meno di una palese inerzia della istituzioni costituzionali tedesche (e la Corte ritiene appunto che non sia questo il caso), la responsabilità resta, dunque, politica, sebbene il Bundesverfassungsgericht non abbia mai smesso di affermare la propria competenza quando sono messi in discussioni elementi fondamentali dell’identità costituzionale tedesca. Competenza che certamente continuerà ad essere esercitata in futuro ma privilegiando il dialogo con la Corte europea e senza dimenticare, ovviamente, la centralità che il parlamento riveste in un sistema democratico.

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