- Gli Spätaussiedler (circa 4,5 milioni dal 1950, di cui 2,3 da fine secolo) siano riapparsi così improvvisamente nella percezione politica tedesca. Soprattutto, sorprende che il loro ritorno sulle scene avvenga a ruoli drammaticamente invertiti rispetto al passato.
- Alle ultime elezioni la minoranza era stato particolarmente corteggiata dall’Afd, alimentando il mito di un gruppo etnico reazionario e alleato di Putin.
- Negli ultimi quattro anni sono bastati un giornalismo più preciso e una mobilitazione contro le repressioni nei paesi d’origini per limitare la deriva a destra
«Diciamocelo, il Terzo Reich non è stato il momento peggiore per il popolo tedesco». Cos’è più agghiacciante di questa frase: che sia stata realmente detta da un esponente del Afd, Heinrich Groth, o che l’intervistato in questione sia un noto esponente della diaspora post-sovietica in Germania?
È impossibile non simpatizzare con il giornalista della trasmissione Monitor che ha dovuto sentire questa frase in prima persona. Incredulo, l’inviato chiede a Groth come possa il nipote di un russo-tedesco veterano della Grande guerra patriottica liquidare così la lotta genocida che ha insanguinato l’Unione Sovietica. Groth, con l’espressione annoiata, respinge la domanda con un gesto della mano.
Di ritorno dal passato
Correva l’anno 2017, e i media tedeschi scoprivano una minoranza fino ad allora piuttosto ignorata, gli Spätaussiedler (emigranti tardivi). Si tratta di gruppo eterogeneo di persone con antenati tedeschi, radicatisi nel corso dei secoli sui territori dell’Impero russo su invito degli Zar in lotta con le popolazioni tatare, cosacche, circasse che popolavano le rive del Volga.
Il loro ritorno in Germania – se di “ritorno” si può parlare, dopo così tante generazioni – è dovuto in gran parte dalle agevolazioni previste dalla legge tedesca per immigrati appartenenti alla “nazione” tedesca.
Il Bundesvertriebenengesetz fu in realtà creato in realtà per quegli ex cittadini del Reich che dopo il 1945 si erano ritrovati a vivere in territori dove non erano più necessariamente visti di buon occhio. Con la caduta dell’Unione Sovietica, la legge venne anche applicata a tutti i discendenti dei coloni del Volga, che sotto Stalin prima e la gerontocrazia di Leonid Breznev poi erano stati russificati, declassati a cittadini di serie B e quindi deportati in giro per il territorio sovietico.
È dunque tanto più bizzarro che gli Spätaussiedler (circa 2,3 milioni dalla caduta del muro) siano riapparsi così improvvisamente nella percezione politica tedesca. Soprattutto, sorprende che il loro ritorno sulle scene avvenga a ruoli drammaticamente invertiti rispetto al passato.
Fino alle ultime elezioni, molti avevano ancora in mente l’omicidio di Kajirat Batesow, ammazzato nel 2002 perché colpevole di essere “un russo di merda”. È a partire dal 2009, quando il russo-tedesco Alex W. ha pugnalato una donna egiziana incinta, che l’intero gruppo inizia a essere percepito in maniera differente.
La fiammata di interesse mediatico che segue il delitto dipinge una minoranza, una volta considerata “modello”, sempre più preda di tendenze eversive. Si inizia a parlare del fenomeno di Überintegration, ovvero un’integrazione esagerata e che si rifà a un modello di teutonicità vivo nella memoria storica della diaspora ma incompatibile con la nuova Germania.
Il resto lo fanno i tratti comuni a tutte le comunità di migranti relativamente recenti: il 42 per cento degli Spätsaussiedler parla russo a casa, tende a evitare matrimoni al di fuori del proprio gruppo sociale ed è spesso fortemente religiosa.
Il nemico interno?
Con lo scoppio della guerra in Ucraina, il sospetto si trasforma nella muta paura di aver aperto la porta al nuovo avversario russo. Nel gennaio 2016, la propaganda mediatica del Cremlino prova ad alimentare le fiamme del radicalismo di destra e monta ad arte il cosiddetto “Caso Lisa F.”, il presunto episodio di rapimento e stupro di una tredicenne russo-tedesca da parte di tre rifugiati arabi.
Questa sarebbe già di per sé una ricetta pericolosa in un contesto politico teso. La storia diventa però esplosiva in una comunità che si sente esclusa dal paese che pure le ha regalato la cittadinanza in base a criteri etnici.
Il caso si rivelò poi più banale di quanto non dipinto dai media di stato russi, molto seguiti dagli Spätaussiedler. Canali come Russia Today (oggi RT) e Sputnik avevano trasformato il rapporto (comunque inopportuno) fra la minorenne e un ventenne in uno dei “numerosi” casi di predazione sessuale causati dai “confini aperti” concessi da Angela Merkel.
Per quanto falsa, la formula si rivela magica per l’Afd, che a partire da questo momento tenterà di irretire la comunità russa creando associazioni russofone vicine al partito e attirando personaggi come Groth. Un grande aiuto è di sicuro stata anche la linea pro-Cremlino ed euroscettica del partito, attraente per una popolazione che ha vissuto la frattura con la sua vecchia patria come un trauma.
Populismo? No grazie
Ma nonostante le grandi manifestazioni per il caso Lisa, sembrerebbe che il partito abbia perso la propria presa sulla comunità. Che cosa è cambiato ora che ci avviciniamo a nuove elezioni? Il sospetto nei confronti degli Spätaussiedler sembra essere diminuito. L’ondata no-vax emersa nella prima metà dell’anno appare non aver toccato i russo-tedeschi, come invece prevedevano in molti.
Difficile dire se ciò sia dovuto da un cambiamento di attitudini da parte della comunità o da una copertura mediatica meno allarmista rispetto ai giorni della Crimea. Giornali e Tv sembrano di sicuro essere più consci delle diversità all’interno di questo gruppo demografico: molti sembrano essersi ad esempio accorti che una buona porzione dei migranti dall’ex Unione Sovietica sono di religione ebraica.
Non che non lo fossero anche prima, sia chiaro, ma la loro fede li aveva posti all’interno di una narrazione storica diversa: non quella dei coloni in arrivo dal passato zarista, bensì quella della “sostituzione degli ebrei morti” durante la guerra, come scrive il poeta Max Czollek.
Di sicuro ha anche aiutato la mobilitazione lanciata contro le repressioni in Bielorussia e Federazione Russa, che ha portato molti espatriati a manifestare apertamente contro le autocrazie che si sono lasciati dietro. Nell’inverno del 2020-21 sono state lanciate diverse iniziative da parte della diaspora bielorussa, che da Berlino e Amburgo sostiene il governo in esilio di Svaitlana Tikhanovskaja.
Alcuni rappresentanti del movimento hanno anche funzioni di rilievo nei partiti liberaldemocratici, contraddicendo la tesi della deriva a destra. Stesso discorso per chi ha le radici in Russia: organizzazioni critiche come Memorial hanno ormai uffici abbastanza affermati in Germania, da dove provano a continuare il proprio lavoro politico.
L’attivismo degli émigré politici si sommano infine ai buoni, vecchi dati elettorali. Studi sulle elezioni del 2017 dimostrano che i russo-tedeschi sono stati complessivamente più scettici rispetto all’Afd rispetto ai loro concittadini “Bio-deutsch”. Con buona pace di chi ha provato a scatenare una battaglia etnica fra immigrati.
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