- Per uscire dalla pandemia la Germania ha abbracciato il debito, congelando rigide regole fiscali. Ma il prossimo cancelliere abbandonerà la flessibilità.
- Durante la crisi pandemica Olaf Scholz, il candidato socialdemocratico e ministro delle Finanze uscente, si è potuto intestare l’apertura sull’indebitamento nazionale e sul debito comune europeo.
- Anche il taglio dell’Iva per le imprese, deciso per la prima volta nella storia della repubblica, ha dato risultati soddisfacenti: prezzi sono calati anche se non quanto immaginava la Bundesbank.
Le elezioni federali in Germania che indicheranno il successore di Angela Merkel si avvicinano. È complicato immaginare un vincitore visto che le preferenze degli elettori hanno modificato già tre volte il candidato favorito. Mentre i gusti politici cercano conferme, anche se una coalizione tra partiti sembra inevitabile, alcuni indizi possono arrivare dalle condizioni in cui l’economia tedesca raggiunge le elezioni.
La crisi legata alla pandemia ha colpito fortemente l’economia della Germania, seppur in modo più contenuto rispetto ad altri paesi europei. Il Pil tedesco nel 2020 è diminuito del 5 per cento, mentre Italia e Francia hanno registrato un calo dell’8 per cento, che nel Regno Unito ha superato la soglia del 10. La traiettoria, negativa ma moderata, è simile a quella del numero delle vittime dovute al Covid-19. Tra le 115 e le 133mila in Italia, Francia e Regno Unito, mentre in Germania sono morte meno persone, circa 92mila.
Nuovo Approccio
Il contenimento dei danni economici è anche merito del governo, che si è rivelato capace – in un momento di fortissima difficoltà – di allontanarsi dal suo tipico rigore fiscale e di ricorrere al debito, tradizionalmente considerato una cosa da evitare. Un cambiamento netto di posizione che molte volte i tedeschi in passato non hanno mostrato, ma che nel corso del 2020 hanno esibito ben due volte: prima internamente e poi a Bruxelles, dove hanno avvallato un accordo per emettere debito comune.
L’economia è stata sostenuta con un piano di aiuti da 130 miliardi di euro nel mese di maggio 2020. Le famiglie hanno così ricevuto 300 euro per figlio e alle imprese è stato concesso di rinviare il pagamento di alcune tasse. L’intervento, che seguiva un primo supporto statale stanziato a marzo, mostra tutta la sua portata se confrontato con le misure adottate da altri governi. Sommando i due decreti del governo Conte II, Cura Italia e Rilancio (rispettivamente di marzo e maggio 2020), sono stati stanziate risorse complessive per 80 miliardi di euro.
Imprigionata nella crisi pandemica la Germania non ha esitato a indebitarsi perché aveva la possibilità di farlo, avendo tenuto sotto controlli i propri conti negli anni scorsi. Questa opportunità emerge con un certo autocompiacimento nel report annuale 2020 della Bundesbank. Vi si legge che «le finanze pubbliche tedesche appaiono in una buona posizione per superare l’incremento del debito grazie, in a parte, alle favorevoli condizioni all’inizio della crisi. Per esempio, prima della pandemia, si era registrato un surplus di bilancio che aveva portato il debito governativo al 60 per cento dell’output economico tedesco».
Nel corso del 2020 il governo ha contratto un deficit del 4 per cento (primo anno in deficit dal 2011) e ha aumentato il debito pubblico al 70 per cento del proprio Pil. Il report interviene a rassicurare, ricordando che «il rapporto debito/Pil rimane significativamente sotto al suo livello massimo, 82 per cento, raggiunto durante la crisi del 2008». Per avere un termine di paragone, il debito pubblico in Italia sarà al 160 per cento a fine 2021.
Freno sui debiti
Intorno al debito tedesco ruota buona parte del dibattito economico tedesco. Il “freno sui debiti”, traduzione letterale di Schuldenbremse, è la norma presente nella costituzione tedesca che limita l’indebitamento annuale del governo federale a non più del 0,35 per cento del Pil. La reintroduzione della norma, che è stata sospesa per via della pandemia fino al 2023, è uno dei punti su cui si confrontano i candidati alla cancelleria. Sia Laschet, sia Scholz si sono detti favorevoli alla reintroduzione di questo vincolo poiché, come dice un detto popolare, ripreso anche dall’Economist, la Germania è l’unica nazione in cui si vincono le elezioni promettendo una riduzione della spesa e non più soldi pubblici agli elettori.
Tra i due, Scholz è quello che ha più beneficiato dalle circostanze create dall’emergenza pandemica. Da ministro delle Finanze ha guidato l’abbandono dell’equilibrio di bilancio, portando la nuova filosofia anche nelle trattative europee per il Recovery Fund; si è fatto apprezzare nel suo partito quando ha preferito il bonus per l’acquisto di veicoli elettrici a quello per le auto a benzina e diesel, resistendo alla pressione delle case automobilistiche tedesche; ha spinto per la riduzione temporanea dell’Iva.
Iva ridotta per la ripresa
A sorpresa il governo ha inserito nel pacchetto di aiuti da 130 miliardi anche un taglio di tre punti percentuali dell’Iva. Per la prima volta nella storia della repubblica federale, l’imposta sui consumi è stata ridotta per sei mesi, fino al 31 dicembre 2020. Un contribuito importante per la ripartenza dell’economia tedesca, che lo stesso Scholz ha definito «ka-boom» imitando il suono di una esplosione.
Inizialmente, però, la novità presentava grossi rischi, sia per l’alto costo della manovra (20 miliardi) sia per l’incertezza sui suoi effetti.
Lo stimolo fiscale di questo tipo è efficace solo se vengono raggiunti i consumatori attraverso una riduzione dei prezzi finali. Dunque, il ruolo delle imprese – sulle quali il governo non può intervenire – è cruciale: esse possono sia abbassare i prezzi di vendita propagando gli effetti positivi ai consumatori e al sistema economico oppure conservare i prezzi fissi, aumentando i propri margini di ricavo. Starbucks, per esempio, ha optato per questa seconda strada, dichiarando che però avrebbe utilizzato una parte dei maggiori ricavi per aumentare gli stipendi dei dipendenti.
Tuttavia il taglio dell’Iva sembra aver funzionato: i prezzi sono calati anche se non quanto immaginava la Bundesbank. Ma, soprattutto, diversi studi hanno confermato che la riduzione dell’Iva si è trasmessa sui prezzi dei beni nel 60 e il 70 per cento dei casi. Un effetto positivo sull’economia per una misura usata raramente e solo in circostanze di crisi. Il Regno Unito l’aveva utilizzata tra il 2008 e il 2009 e l’ha introdotta di nuovo durante la pandemia, ma limitandola al settore dell’ospitalità.
Destino europeo
Un secondo aspetto del taglio dell’Iva è l’aumento dell’inflazione dopo il ripristino delle aliquote iniziali. Come il debito, anche l’inflazione è un argomento poco piacevole in Germania. Ma il nuovo approccio tedesco ha mostrato che, in una situazione particolare come quella post pandemica, a Berlino riescono a sopportare anche un livello di inflazione del 3,4 per cento, come successo ad agosto. Su questo dato il taglio dell’Iva pesa relativamente poco poiché l’inflazione è stata influenzata da altri fattori, come la progressiva riapertura dell’economia e le difficoltà di una catena dell’approvvigionamento globale ancora acciaccata.
L’ultimo governo Merkel ha vissuto un netto congedo dalle tradizionali idee economiche e di gestione dei conti pubblici, contribuendo ad accelerare la ripresa della vita economica. Chiunque sarà il prossimo cancelliere sembra pronto a riportare rigore e le vecchie abitudini. I modi e i tempi con cui lo farà determineranno anche il futuro dell’Unione europea, che aspetta le elezioni tedesche per decidere come affrontare il ritorno del patto di stabilità e crescita: l’elemento che permette di mantenere in ordine i bilanci ma che per altri è un blocco della crescita.
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