Il dado è tratto. Olaf Scholz è stato sfiduciato e a fine febbraio la Germania va al voto. Non che a qualcuno fossero rimasti dubbi, ma lunedì al Bundestag è stata votata la sfiducia al cancelliere uscente, secondo i desideri dello stesso Scholz. Non è la prima volta che un cancelliere fa i conti con il parlamento, è già successo altre cinque volte e in quattro casi ha riguardato leader socialdemocratici. 

La fine

L’ultima seduta del governo Scholz si è chiusa con la votazione che l’ha deposto: su 717 votanti, solo 207 hanno votato per lui, 394 contro e 116 – sicuramente i Verdi, ma non solo – si sono astenuti. Di fatto è stato il primo dibattito in campagna elettorale, e i quattro aspiranti cancellieri – lo stesso Scholz, il favorito Friedrich Merz, Robert Habeck, distaccato in seconda fila e la polemica Alice Weidel – hanno sfruttato l’occasione per impostare la loro corsa: vi raccontiamo tutto qua. Per avere più scontri diretti, basterà guardare la tv tedesca il 9 e il 16 febbraio prossimi, quando sono già in programma due duelli tv tra Merz e Scholz, uno sulla tv pubblica, uno ospitato da Rtl. Esclusi invece Robert Habeck e Alice Weidel: non si ripete l’esperimento a più candidati che era stato proposto nel 2021, ovviamente con tutte le critiche del caso, anche se per il momento solo da parte dei Verdi. In risposta all’annuncio dei due appuntamenti, però, anche BSW vuole nominare una candidata cancelliera, ovviamente Sahra Wagenknecht, per non «essere penalizzato rispetto ai concorrenti».

Un po’ di storia

Non è la prima volta che si usa il sistema della sfiducia pilotata per concludere un’esperienza di governo in stallo. Il primo a utilizzare questo strumento è stato Willy Brandt, nel 1972, con un esecutivo in grande difficoltà dopo che alcuni deputati della sua coalizione avevano lasciato la maggioranza. In quell’occasione si andò a elezioni anticipate e il cancelliere riuscì a farsi rieleggere. Esattamente dieci anni dopo si ritrovò nella stessa condizione Helmut Schmidt. Il cancelliere amburghese – come Scholz – si trovò a governare durante la crisi petrolifera: la Germania ne uscì ammaccata, ma non devastata. Il cancelliere, nonostante ciò, fu accusato dall’opposizione di aver peggiorato le cose. A un contesto internazionale difficile andò ad aggiungersi il Nato-Doppelbeschluss, il via libera al programma di deterrenza in termini di militarizzazione atomica della Nato, un progetto che la sua base non poteva sostenere. Schmidt provò a uscirne ponendo la questione di fiducia, che lo mantenne in sella ma solo per altri sei mesi, quando la Fdp – come sarebbe accaduto oltre quarant’anni dopo – lasciò la coalizione giallorossa. 

Seguì una sfiducia costruttiva: la legislatura continuò, ma con un governo guidato da Helmut Kohl. Che però aveva bisogno di una conferma elettorale e pose un’altra questione di fiducia: perso il voto, le elezioni anticipate di marzo 1983 lo confermarono cancelliere. Si tratta fino ad oggi dell’unico cancelliere cristianodemocratico che abbia posto una questione di fiducia. Angela Merkel in sedici anni non ne ha mai avuto bisogno. Anzi, deve in parte la sua elezione a un altro voto di quel tipo. 

L’ultimo a porre la questione di fiducia per ben due volte è stato Gerhard Schröder. Nel 2001 il cancelliere-Brioni scelse di abbinarlo alla votazione sull’intervento della Bundeswehr in Afghanistan dopo gli attentati dell’undici settembre. Una combinazione che fu vissuta da tanti deputati della coalizione rossoverde come un ricatto visti i numerosi dissensi sulla missione, ma permise a Schröder di rimanere al governo. Tutt’altra storia nel 2005, quando le riforme liberiste del cancelliere avevano provocato parecchia insofferenza nel partito pur in parte bilanciata dall’entusiasmo degli imprenditori. Dopo una sconfitta alle elezioni in Renania settentrionale-Westfalia, Land d’origine di Schröder, il cancelliere pone la questione di fiducia. Che viene a mancare: si va a elezioni anticipate, un azzardo che Schröder vuole utilizzare per compattare la sua elezione. Ma perde la scommessa, e vince Merkel. 

Fare campagna elettorale è pericoloso?

Uno dei timori principali dei partiti che si trovano ad affrontare una campagna elettorale brevissima è la sicurezza. Già alle ultime elezioni, quelle europee e le regionali, ci sono stati episodi di violenza nei confronti di chi appendeva manifesti, soprattutto di sinistra. E allora, complice la stagione “buia”, in cui il sole tramonta presto, si ragiona su come garantire chi lavorerà per i candidati: la Spd metterà in piedi un numero di emergenza e corsi per gestire situazioni pericolose e odio anche virtuale. Per le operazioni sul territorio si raccomanda di agire sempre in gruppo e informando le forze dell’ordine. Sabato scorso a Berlino due persone che facevano campagna elettorale con un banchetto sono state aggredite da diversi neonazisti che a loro volta erano arrivati appositamente dalla Sassonia-Anhalt per recarsi a una marcia organizzata dall’estrema destra. Tre di loro sono stati arrestati per aver picchiato violentemente i due militanti socialdemocratici. Quando due poliziotti sono intervenire, i neonazisti li hanno insultati e aggrediti a loro volta. 

Anche la Cdu ha inserito la sicurezza di chi fa campagna elettorale per Merz tra le priorità, e – così come accade dai Verdi – si stanno organizzando corsi di specializzazione per la gestione di situazioni pericolose. I partiti di sinistra sono d’accordo che attacchi sui loro militanti sono un segnale pericoloso e vanno valutato come un rischio per la democrazia nel suo complesso: anche la polizia si sta preparando a far fronte a eventuali aggressioni in campagna elettorale, spesso chiamata in causa dai partiti stessi che cercano protezione. 

Cosa salvare 

Uno degli ultimi atti della legislatura sarà il prolungamento del Deutschlandticket: i rossoverdi hanno trovato in parlamento l’accordo con la Cdu per procedere a un rinnovo dell’abbonamento valido per tutti i mezzi pubblici per tutto il 2025. La parte rimasta della coalizione semaforo avrebbe voluto una soluzione più a lungo termine, ma la Cdu ha chiuso l’accordo su un patto annuale che prevede anche un aumento del prezzo da 49 a 58 euro mensili. 

In realtà, la Cdu aveva giurato di non scendere a nessun patto con i rossoverdi, ma sembra possano aprirsi vie anche per quanto riguarda una serie di stanziamenti a favore di Deutsche Bahn, che ne ha bisogno per alcune riparazioni. 

Per il resto, ogni partito è pronto con il proprio programma: la Spd punta sulla protezione dei redditi mediobassi e dei pensionati, i Verdi puntano sul benessere quotidiano della popolazione mentre la Cdu vuole più merito e meno reddito sociale. Il partito di Scholz vuole mantenere stabili le pensioni e allungare le tempistiche del bonus per i figli, tutto per «mettere al centro della politica lavoratori e famiglie» tutto da finanziare con tasse più alte per i più abbienti, che bilancino anche un abbassamento dell’Iva sugli alimenti. I Verdi, invece, puntano a rendere «più a buon mercato» la vita in Germania, per esempio con il Deutschlandticket, il tetto agli affitti e un salario minimo a 15 euro l’ora (che però chiede anche la Spd) oltre che un «sostegno climatico» che serva a sgravare la popolazione dall’aumento dei prezzi energetici. I cristianodemocratici, invece, promettono di spingere sulla competitività dell’economia tedesca e sgravare la classe media abbassando le tasse. Merz e i suoi chiedono anche più sicurezza e ordine nelle città e ribadiscono all’elettorato che AfD non è una vera alternativa: troppo imprevedibile, mentre sulla tradizionale fermezza della Cdu non ci sarebbero dubbi. 

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