Gennaio è stato un mese di piccole gioie per la politica estera tedesca. In primo luogo, la Cdu ha scelto come nuovo segretario il candidato che più incarna lo spirito pluralista del partito.

L’internazionalismo impenitente di Norbert Röttgen preoccupava i conservatori, il mercantilismo di Friedrich Merz trovava le resistenze di chi sa quanto pesi la dimensione morale nei rapporti con l’Unione europea.

Al contrario degli altri, il nuovo leader del partito, Armin Laschet, è  un rodato disseminatore di ambiguità: pro-sanzioni ma non antagonista di Putin, umanitario ma critico della politica americana in Siria al punto di dare fiato a teorie del complotto sul sostegno degli Stati Uniti all’Isis. Insomma, i democristiani continueranno sulla strada del prevedibile centrismo che tanto ha rassicurato l’Europa all’indomani della riunificazione. Atlantismo sì, ma un po’ intorpidito.

Il gasdotto

La seconda piccola gioia è stato il progresso fatto sulla costruzione del gasdotto North Stream 2. Il progetto è sopravvissuto a qualsiasi cosa: le feroci critiche di Polonia e paesi baltici, le perplessità della Commissione europea, la guerra in Ucraina, perfino crimini commessi dal regime russo sul suolo tedesco come l’omicidio di un ex guerrigliero georgiano a due passi dalla cancelleria e un attacco ai sistemi informatici del Bundestag.

Solo l’avvelenamento di Aleksej Navalny aveva costretto il governo federale a minacciare una moratoria sul progetto, che fornirà gas russo alla Germania aggirando i paesi dell’est Europa che oggi fanno da intermediari. Non se n’è fatto nulla, e il tratto tedesco dell’opera è stato completato nel dicembre 2020.

Il gasdotto rappresentava l’apice della strategia verso la Russia del dopo-muro, il Wandel durch Handel («trasformazione attraverso il commercio») con cui si sperava di foraggiare la democrazia russa. Oggi, per quanto i rapporti con Mosca siano ormai alienati, manca la volontà – o la capacità – di rinunciare a politiche commerciali dal dubbio valore. La continuazione del progetto è stata sempre giustificata come la persecuzione di un puro accordo fra privati, un assunto comunque criticabile data l’appartenenza organica del gigante russo Gazprom all’apparato repressivo russo.

Per i suoi sostenitori, North Stream 2 rappresenterebbe anche un’iniziativa utile per supportare la transizione energetica, favorendo l’utilizzo del gas rispetto al più inquinante petrolio o addirittura al carbone. Questa argomentazione è tuttavia rigettata sia da analisti energetici, che ritengono la domanda energetica già soddisfatta, da attivisti ambientali, dai Verdi e anche da parti della Cdu/Csu (quali il leader europeo Manfred Weber e lo sconfitto Röttgen).

I sostenitori

Eppure sono solo i vertici a vocazione europeista a opporsi fermamente al progetto. Per il resto, il gasdotto gode ancora di sostenitori sia fra i democristiani che nella Spd. Dove i primi tendono però a fare silenziosamente l’occhiolino a tutto quel mondo vicino all’Ostauschuss, l’associazione degli esportatori in Europa orientale interessati a uno stretto rapporto fra Berlino e Mosca, i socialdemocratici rimangono stoicamente chiassosi nella loro difesa di North Stream 2.

I Genossen, i compagninon perdono occasione di rispondere per le rime ai critici dell’iniziativa, da ultima la leader Verde Annalena Baerbock, e a rifarsi ai cimeli della vecchia Ostpolitik di Willy Brandt, affermando come anche all’apice della Guerra fredda la Germania occidentale continuasse a fare affari coi russi.

È quindi l’ultima gioia di gennaio, che poi tanto piccola non è, che rischia di lasciare un certo amaro in bocca. Il nuovo inquilino della Casa Bianca è infatti tutto ciò che la Germania potesse desiderare in un presidente americano: entusiasta del multilateralismo, privo di quelle velleità moraliste che tanto disturbavano di George W. Bush e Barack Obama, legato a doppio filo a quei meccanismi di Washington che i tedeschi hanno imparato a gestire decenni fa.

Ma proprio per questo Berlino è consapevole che molte contese esplose sotto Donald Trump – e North Stream 2 è quella più evidente – non potranno più essere sdoganate come aberrazioni causate da una Casa Bianca a dir poco anormale.

E non è che i tedeschi non siano preoccupati della Russia di Putin. Secondo uno studio della fondazione Körber piú del 25 per cento dei tedeschi considera la Russia «la sfida più grande della politica estera tedesca», mentre per il Pew Research Center solo il 35 per cento dei tedeschi ha un’opinione positiva del paese.

Il gasdotto è però un dossier che pesa molto di più nei rapporti con gli Stati Uniti che non con la Russia. L’imposizione a partire da gennaio 2021 di sanzioni americane sulle aziende coinvolte nel progetto ha spinto molti, anche fra gli introversi atlantisti del Spd, a reclamare il diritto tedesco a intraprendere relazioni commerciali con chi vuole, anche a costo di giocarsi l’autonomia energetica.

D’altra parte, i media tedeschi tendono sempre a descrivere la contesa citando certo le preoccupazioni americane per la situazione energetica europea, ma anche il desiderio americano di rifornire l’Ue con il proprio gas liquefatto (Lng). La polemica antiamericana è insomma sempre dietro l’angolo.

I tedeschi, come di consueto, sembrano intenzionati a smorzare la diatriba opponendo ai grandi gesti americani soluzioni amministrative – noiose, certo, ma altrettanto efficaci. Dopo i clamorosi tentativi del ministro delle Finanze e candidato cancelliere Olaf Scholz di rabbonire gli americani offrendosi di investire in strutture per lo smistamento di Lng sulla costa del Mare del Nord, sono state prese nuove misure per rendere perlomeno inefficaci le sanzioni.

Il Land in cui North Stream 2 dovrebbe toccar terra, il Mecklenburgo Pomerania anteriore, governato dalla Spd, ha creato una fondazione “per la protezione ambientale” e che faccia da parafulmine, gestendo le operazioni finanziarie legate all’opera attraverso un proprio braccio operativo. Berlino non è stata particolarmente entusiasta del gesto, ma ha accettato il fatto compiuto.

La costruzione va quindi avanti, ed entro la fine dell’anno il gasdotto dovrebbe finalmente uscire dalle acque del Baltico e collegare, probabilmente operando a capacità ridotta, Germania e Russia. Rimarrà uno dei totem della politica estera tedesca e un capitolo importante della campagna elettorale.

Al contrario della Guerra fredda, in cui l’appartenenza al campo occidentale era talmente scontata da permettere scorribande commerciali oltrecortina, la Germania si trova oggi a dover decidere quanto strettamente voglia aderire alla linea atlantista.

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