Le effigi dell’aquila del Terzo Reich, le ali spiegate in trionfo sopra una svastica, sono soltanto uno dei tanti souvenir che alcuni commando amano collezionare, assieme a ritratti di Hitler, insegne delle Ss, libri estremisti e altra paccottiglia nazista. Il turbinio di indagini e casi che affliggono l’unità va avanti dal 2017, creando sempre nuovi imbarazzi
- Il continuo scandalo del Ksk, oltre a infangarne la reputazione, getta ombre sull’intera gerarchia militare, fino alla punta del ministero della Difesa.
- Le interpretazioni più caritatevoli delle campagne di sensibilizzazione e le baldanzose dichiarazioni di pulizia avviate da entrambe le ministre suggeriscono che queste iniziative siano rimaste lettera morta. Letture più severe accusano invece la leadership militare di incapacità organizzativa, o peggio, connivenza implicita.
- La fine della leva e la transizione verso un esercito di soli professionisti ha scavato un solco fra la Bundeswehr e la società civile. La distanza fisica fra i soldati e i loro concittadini – ancora più evidente nei commando, addestrati separatamente e in una caserma nel mezzo al nulla – tende a creare comunità refrattarie e a danneggiare la fiducia che dovrebbe esistere fra difensori dello stato e difesi.
Un’aquila dorata in picchiata, pronta a carpire la propria preda. Il simbolo del Kommando Spezialkräfte (Ksk), il reparto d’élite delle forze speciali, è sicuramente evocativo. È anche adeguato per la formazione delle forze armate tedesche che è stato più attivo dalla riunificazione. Incarna, in un certo senso, la direzione presa dalla politica di difesa tedesca ha dopo la scomparsa dei grandi eserciti sovietici – specializzazione, riduzione del personale, dispiegamento fuori dai confini nazionali e sotto l’egida di mandati internazionali. Non a caso il Ksk è sempre in prima linea nelle missioni che la Bundeswehr, ma anche gli altri eserciti Nato, hanno difficoltà a svolgere: la caccia ai criminali di guerra nell’ex Jugoslavia, l’inseguimento di Osama Bin Laden nelle caverne di Tora Bora, l’evacuazione di civili tedeschi dalla Libia.
Echi del passato
È tuttavia un altro il rapace che continua a emergere dai tristi casermoni di Calw, Baden-Württemberg, quartiere generale del Ksk. Le effigi dell’aquila del Terzo Reich, le ali spiegate in trionfo sopra una svastica, sono soltanto uno dei tanti souvenir che alcuni commando amano collezionare, assieme a ritratti di Hitler, insegne delle Ss, libri estremisti e altra paccottiglia nazista. Il turbinio di indagini e casi che affliggono l’unità va avanti dal 2017, quando alcuni soldati organizzano una festa d’addio per il loro comandante di compagna a base di saluti nazisti e palleggiamenti con teste di maiali. Le inchieste sono poi continuate nel 2018, quando le autorità hanno scoperto una rete clandestina gestita dall’ex appartenente al commando André S. (nome in codice “Hannibal”) per prepararsi al giorno in cui la Germania sarebbe stata travolta dagli immigrati. Per allora, la cellula paramilitare avrebbe dovuto essere pronta a “difendersi” dai presunti invasori. Nel maggio del 2020 i servizi segreti arrestavano Philip S., un appartenente alle forze in servizio attivo che aveva seppellito esplosivi al plastico e fucili d’assalto nel giardinetto di casa assieme a un libretto di canzoni delle Ss.
Ma il continuo scandalo del Ksk, oltre a infangarne la reputazione, getta ombre sull’intera gerarchia militare, fino alla punta del ministero della Difesa. All’atroce certezza di un’infiltrazione neonazista non possono che seguire accuse di incompetenza alla leadership civile del ministro Annagret Kramp-Karrenbauer e la sua predecessora Ursula von der Leyen. Le interpretazioni più caritatevoli delle campagne di sensibilizzazione e le baldanzose dichiarazioni di pulizia avviate da entrambe le ministre suggeriscono che queste iniziative siano rimaste lettera morta. Letture più severe accusano invece la leadership militare di incapacità organizzativa, o peggio, connivenza implicita.
La scorsa settimana è stato svelato che l’ispettore generale della Bundeswehr, il comandante delle forze armate, ha approvato la creazione di diversi depositi in cui i soldati colpevoli di aver sottratto munizioni e materiali da guerra possono riconsegnare la refurtiva senza temere procedure disciplinari. Il tutto senza informare la commissione parlamentare per la Difesa, né tantomeno il ministro.
Bisognerà attendere per vedere se questo nuovo sviluppo porterà alle dimissioni dell’ispettore generale. La verità è che il problema di estremismo della Bundeswehr va ben oltre i 1.400 soldati del Ksk. I numerosi casi di neonazismo scovati nell’esercito mettono in crisi l’identità di uno stato costruito sull’idea che le forze armate debbano essere composte da “cittadini in uniforme” consacrati alla difesa dei valori costituzionali della repubblica federale.
La fine della leva e la transizione verso un esercito di soli professionisti ha scavato un solco fra la Bundeswehr e la società civile. La distanza fisica fra i soldati e i loro concittadini – ancora più evidente nei commando, addestrati separatamente e in una caserma nel mezzo al nulla – tende a creare comunità refrattarie e a danneggiare la fiducia che dovrebbe esistere fra difensori dello stato e difesi. Dopotutto, pur essendo il fascismo più diffuso per ragioni storiche, l’esercito sembra offrire terreno fertile anche per altri estremismi: nel 2020 dallo stesso Ksk è stato espulso un islamista radicale. Si può solo immaginare le conversazioni con i suoi commilitoni all’ora del rancio.
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