- Donna, figlia di apolidi e musulmana: la socialdemocratica Sawsan Chebli, segretario di Stato e rappresentante di Berlino presso il governo, è da sempre nell’occhio del ciclone.
- Dopo una carriera tutta in ascesa ad ottobre è arrivato il primo stop: è stata infatti sconfitta dal sindaco di Berlino Müller nelle primarie per il collegio di Charlottenburg.
- Le sue battaglie per l’integrazione non andranno però perse. Questioni che Chebli ha vissuto sulla sua pelle sin da bambina.
Diventare cancelliere per far sì che tutte le religioni possano vivere in pace. È questo l’obiettivo di Sabah Hussein, candidata musulmana per il partito ecologico e protagonista del romanzo Il candidato, scritto dal giornalista del corrispondente tedesco del Tg1, la Tagesschau, Constantin Schreiber e uscito lo scorso maggio.
Toni cupi, quasi apocalittici, come nel romanzo Sottomissione di Michel Houllebecq, ma non lontani dal vero: come racconta l’autore, «molti temi affrontati sono uguali agli argomenti oggetto di discussione in Germania».
Lo stesso vale per i protagonisti: molti organi di stampa hanno infatti trovato dei punti in comune tra la candidata cancelliera e la politica della Spd Sawsan Chebli, dal dicembre 2016 segretario di Stato per l’impegno civico e gli affari internazionali e rappresentante dello stato di Berlino presso il governo federale. Un personaggio fuori dagli schemi, in grado di polarizzare le critiche, vista le sue origini mediorientali e la sua fede musulmana.
Le polemiche
Classe 1978 e figlia di apolidi palestinesi giunti a Berlino ovest dal Libano, Chebli ha sempre attratto una coda infinita di polemiche. Gli odiatori sono tanti e le minacce, anche di morte, pure (non è un caso, infatti, che viva sotto scorta dal 2019) ma lei non ha mai rinunciato al suo stile, spesso diretto e senza fronzoli e molto lontano da quello di altre figure politiche.
C’è chi ha messo in dubbio la sua professionalità, come il giornalista Roland Tichy che ha commentato: «Quali sono i vantaggi di Sawsan? Solo gli amici giornalisti hanno potuto indicare soltanto il (suo, ndr) punto G come aggiunta positiva per il partito socialdemocratico, ormai composto solo da vecchi». Si è beccato una denuncia a settembre 2020.
C’è anche chi invece ha insistito sul suo aspetto fisico, come il presidente della Società indo-tedesca, l’ex ambasciatore Hans-Joachim Kiderlen che, a un incontro pubblico nel 2017, prima non si era reso conto di avere davanti un segretario di Stato, pensando fosse un uomo, e poi aveva cercato di uscire dall’imbarazzo con un complimento inopportuno.
E chi invece è riuscito addirittura a farla franca. Il caso è quello dello youtuber di estrema destra Tim Kellner, 348mila iscritti al suo canale, che è riuscito a farsi assolvere dalle accuse di diffamazione dal tribunale distrettuale di Berlino dopo aver definito Chebli «quota migrante della Spd» e addirittura «bambola islamica parlante». Per il tribunale le sue parole costituiscono «una libera forma di espressione».
Battaglie e cadute
In una carriera che avanza a ritmi vertiginosi spesso anche le battute d’arresto possono essere salutari. A questa categoria si può forse ascrivere anche la sconfitta patita da Chebli alle primarie di ottobre contro il sindaco di Berlino Michael Müller che, alle prossime elezioni federali, sarà il candidato della socialdemocrazia per il Bundestag nel collegio di Charlottenburg-Wilmersdorf, zona situata a ovest della capitale.
«Sosterrò pienamente Michael Müller affinché il nostro distretto sia nuovamente rappresentato nel Bundestag da un politico della Spd. Continuerò a lavorare per garantire che i socialdemocratici nel distretto, a Berlino e anche a livello federale mettano più giovani, più donne e più persone con un’”origine migratoria” (Migrationshintergrund, ndr) al vertice e come candidati alle elezioni», ha dichiarato Chebli, congratulandosi con il vincitore.
Le battaglie politiche da sostenere, anche da sconfitta, di sicuro non le mancano. «Se mi chiedi di cosa ha bisogno la Spd, in questo momento, ti dico che andando avanti così non otterrà più del 17 per cento. Deve essere chiaro a tutti: dobbiamo fare qualcosa di diverso. Dobbiamo comunicare meglio le nostre politiche», ha dichiarato in un’intervista alla Berliner Zeitung lo scorso autunno prima della tornata elettorale.
È però un tema a emergere su tutti: la convivenza tra persone con origini diverse. Un approdo quasi naturale per una politica che in passato è stata consulente politico per gli affari interculturali di un senatore locale e viceportavoce del ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, oggi presidente della Repubblica.
«Se fossi eletta al Bundestag uno degli argomenti centrali che seguirei sarebbe la convivenza pacifica nel distretto, con l’obiettivo di prevenire l’aumento della polarizzazione della società a causa dell’aumento degli affitti, della gentrificazione, della segregazione nelle scuole e dell’agitazione dei movimenti di destra».
Un’integrazione difficile
Tutti questi temi Chebli li ha vissuti sin dalla sua infanzia. Dodicesima di tredici figli, da piccola Sawsan è stata la prima della famiglia a nascere e a crescere a Moabit, quartiere allora di Berlino ovest.
La vita in una famiglia apolide non è mai semplice, come evidenziano i tre tentativi delle autorità tedesche, sempre falliti, di cacciare il padre e la mancanza di permessi di lavoro e tutele legali a casa Chebli: non è un caso, infatti, che i loro visti dovessero essere sempre rinnovati dopo pochi mesi.
Per lungo tempo l’integrazione è stata un affare complicato: all’inizio in famiglia si parlava solo l’arabo e Sawsan ha imparato il tedesco soltanto quando ha cominciato ad andare a scuola. Ed è proprio qui che è accaduto un episodio che l’ha turbata particolarmente: quando aveva 12 anni, la classe di Sawsan aveva organizzato una gita scolastica e serviva portare la carta d’identità a scuola.
La ragazza non l’aveva e spiegò all’insegnante che è una palestinese apolide e lei di tutta risposta le chiese di portare il passaporto palestinese. Una storia che Chebli ricorda concludersi con le sue lacrime e che evidenziano il problema dell’integrazione presente allora in Germania, dove le autorità facevano grandi sforzi per ridurre la quota dei richiedenti asilo e rendere la vita difficile a quelli che c’erano, facendo tutto il possibile per non farli integrare.
A tenere banco tra chi parla di lei è però soprattutto la religione, uno dei temi che più divide sull’attuale segretario di Stato. Musulmana praticante, Chebli proviene da una famiglia diventata col tempo molto osservante. Se in Libano, dove avevano vissuto prima di arrivare in Germania, si interessavano a malapena alla religione, i Chebli, una volta arrivati in Europa, si sono avvicinati all’islam e hanno iniziato una ricca vita comunitaria, diventando un riferimento per molti palestinesi del quartiere.
Un cammino che anche lei ha proseguito, rinunciando al velo ma non a cercare di spiegare alcuni dei precetti più importanti dell’islam. Nel 2016 a un intervistatore che le chiese perché alcuni giovani musulmani preferissero la sharia all’osservanza della Costituzione tedesca lei rispose: «Tutti parlano della sharia, ma nessuno sa cosa significhi. Si occupa principalmente della relazione personale tra Dio e gli uomini. Regola cose come la preghiera, il digiuno e le elemosine. Per questo è assolutamente compatibile con la democrazia».
Un episodio che alcuni hanno interpretato come una dichiarazione di osservanza della sharia, nonostante abbia più volte cercato di correggersi. Questo, probabilmente, rimane uno dei pochi tentativi in cui ha cercato di fare marcia indietro rispetto alle proprie idee e convinzioni che, in un modo o in un altro, hanno sempre marchiato in maniera molto netta le sue dichiarazioni.
Un altro esempio controverso per la società tedesca è la sua posizione su Israele: da sempre Chebli si oppone a qualunque forma di odio, compreso l’antisemitismo, ma spesso ha dovuto ribattere ad alcuni che sostenevano come il suo pensiero sul caso palestinese fosse in contrasto con l’esistenza dello Stato ebraico. «Sono stanca di dovermi giustificare da entrambe le parti per le mie posizioni. Non devo dimostrare a nessuno di essere sincera nella mia lotta contro l’antisemitismo o nel mio desiderio di conciliazione tra israeliani e palestinesi».
Chissà che in futuro una mediazione tra popoli diversi che convivono sullo stesso territorio, pur nel suo piccolo, non possa riuscire anche a Chebli, così come è riuscita al suo alter ego Sabah Hussein.
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