Probabilmente ci stiamo avviando verso (o siamo già dentro, a seconda dei punti di vista) a una delle campagne elettorali più spettacolari della storia politica tedesca. La ragione sta nei dettagli sempre più improbabili che stanno uscendo sulla fine del governo Semaforo. Nelle ultime ore, poi, lo Spiegel ha lanciato una campagna per chiedere al governo di presentare una mozione per vietare AfD, che nei sondaggi è ancora secondo partito. Intanto, l’economia è in caduta libera e i sindacati stanno lanciando scioperi nelle principali aziende del paese. 

Al fianco di Kiev

Dopo parecchi mesi Olaf Scholz è tornato a Kiev. Il cancelliere uscente ha viaggiato con il treno notturno e ha assicurato a Volodymyr Zelensky che sulla Germania c’è da fare affidamento. Per dare corpo alle sue promesse, ha portato con sé 650 milioni di aiuti militari che confermano la posizione di primo contribuente dopo gli Stati Uniti alla causa ucraina. Resta però il “no” alla consegna dei missili Taurus, che aiuterebbero Kiev a colpire in maniera ancora più efficace gli obiettivi in terra russa. 

Il cancelliere ha fatto arrivare un messaggio anche al Cremlino, sottolineando che «abbiamo la forza di resistere». Appena qualche settimana fa la sua telefonata a Vladimir Putin aveva mandato su tutte le furie il presidente ucraino, ma da Kiev Scholz ha ribadito anche che «la Russia non può imporre una pace diktat all’Ucraina». 

Durante l’incontro Zelensky ha comunque sottolineato l’ulteriore bisogno di sostegno oltre a spiegare anche in conferenza stampa che si sta lavorando su un’intesa sui Taurus. Quel che preoccupa di più il presidente ucraino è che il cambio di potere alla Casa bianca limiti il sostegno americano a Kiev. Che la Germania mantenga questo volume di forniture è anche utile per dare il giusto segnale agli alleati, anche se la linea di Washington dovesse cambiare. 

Secondo il BR, invece, Scholz sta seguendo sull’Ucraina una strategia dei due forni: da un lato fornisce aiuti militari di portata immensa a Kiev, dall’altra insiste per evitare che la Germania sia considerata parte attiva nel conflitto. Dal punto di vista delle opposizioni, invece, è tutta campagna elettorale: Sahra Wagenknecht sostiene che quelli spesi in armi siano soldi sottratti ai contribuenti, Friedrich Merz critica la Spd per puntare sulla paura della guerra come argomentazione che porti le persone alle urne. 

Il D-Day della Fdp

Sembra un titolo a effetto, ma è tutto vero. Un funzionario molto vicino a Christian Lindner – che però non solo sostiene di non saperne niente, ma cerca anche di dipingersi come vittima collaterale della caduta del governo Semaforo – ha steso un documento interno che avrebbe preparato da tempo la caduta dell’esecutivo Scholz. Ora, il testo è stato diffuso proprio dalla Fdp, una sorta di fuga in avanti che però si sta trasformando in un boomerang.

Il titolo, per l’appunto, nientemeno che D-Day: il riferimento a un evento così rilevante della Seconda guerra mondiale non gli è stato perdonato, mentre la rete ha punito i liberali per il linguaggio di guerra ridicolo che compare nello schema che illustra la strategia del partito, incluso il «timing» e «il momento ideale» per un’«uscita programmata». Il documento riguarda anche le fasi comunicative, che culminano nella «battaglia campestre aperta», che è già diventata un meme rilevante nella campagna elettorale. 

A proposito di boomerang, a subirne le conseguenze peggiori è stato il segretario generale Bijan Djir-Sarai, che con una breve dichiarazione – «ho involontariamente dato informazioni sbagliate su un documento interno», nel senso che aveva detto che il pezzo di carta non era mai esistito – si è dimesso. Il suo sostituto è già stato trovato in Marco Buschmann, ministro della Giustizia-dj-astro nascente dei liberali, o di quel che ne resta, visto che i sondaggi continuano a dare la Fdp sotto la soglia di sbarramento.

Intanto, c’è attesa per capire quanto siano davvero concrete le possibilità di votare un divieto di AfD prima della fine della legislatura. In un editoriale di Dietmar Hipp, lo Spiegel chiede al governo di prendere in mano la situazione e proporre lui stesso la mozione: si eviterebbe un’estenuante ricerca dei voti necessari in parlamento a differenza di quanto sta succedendo per l’iniziativa promossa da un gruppo di deputati. E poi l’esecutivo potrebbe attingere alle informazioni in possesso del ministero dell’Interno che sta lavorando su AfD e riformulare la richiesta circoscrivendo il divieto alle regioni in cui c’è più materiale, in modo da ridurre l’alibi che l’estrema destra utilizzerebbe comunque in campagna elettorale, dove da sempre si presenta come vittima. 

In attesa di vedere cosa succede al Bundestag o nel governo rossoverde senza Fdp – che poi era il partito più scettico sul divieto – l’AfD sta procedendo a sciogliere la sua organizzazione giovanile Junge Alternative, che negli ultimi tempi si è segnalata per atteggiamenti eccessivamente di destra perfino per i membri del partito e per non aver espulso immediatamente due persone sospettate di terrorismo. L’obiettivo del partito è creare una nuova associazione giovanile che sia legata più strettamente al partito madre, in modo da togliere terreno a un eventuale procedura di divieto e tutelare un’organizzazione che per sua natura è più facile vietare di un intero partito. 

Disastro Vw

Le ultime settimane del governo uscente (e i primi mesi della nuova legislatura) saranno nel segno della crisi economica. Ieri è cominciato il primo sciopero di avvertimento da due ore nelle fabbriche di Volkswagen. Il sindacato ha mobilitato ieri oltre 60mila lavoratori pronti a scendere in piazza contro i piani dell’azienda di ridurre i dipendenti in modo drastico e chiudere diversi impianti produttivi a causa del drastico calo della domanda nel mercato cinese. 

La produzione si è fermata in nove delle dieci sedi di Vw in Germania: il corteo è arrivato fin sotto la sede dell’azienda per chiedere che, al contrario del taglio degli stipendi che chiede l’azienda venga garantito il futuro di tutti gli impianti produttivi. Il sindacato si è mostrato agguerrito e promette ulteriori mobilitazioni qualora la dirigenza dell’azienda insista sulle proprie richieste. La prossima settimana ripartono le contrattazioni, ma non è detto che plachino il malessere dei dipendenti: tanti si sentono umiliati di fronte a dividendi generosi e stipendi altissimi per i piani alti di Vw. L’azienda ha comunicato di mirare a un «dialogo costruttivo» per raggiungere una «soluzione duratura».

Il rischio contagio, però, è dietro l’angolo. A soffrire sono già anche giganti di altri settori come Thyssenkrupp, ma la crisi di Vw mette a rischio anche tutto l’indotto dell’automotive: Mercedes ha annunciato tagli ai costi per diversi miliardi di euro, il produttore di pneumatici Continental licenzierà oltre 7mila dipendenti, mentre Bosch, che fornisce tanti elementi elettrici, vorrebbe ridurre i dipendenti di 5.550 unità.

Crisi sulla Parigi-Berlino

Chiudiamo la newsletter segnalandovi un pezzo di Domani che prende spunto da un appuntamento nell’agenda della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Per giovedì, infatti, è in programma un incontro con il premier francese Michel Barnier: sarebbe il primo viaggio all’estero del primo ministro, minacciato in parlamento da un voto di sfiducia. Ma, sempre che si tenga, misura anche il raffreddamento sotto i livelli di guardia della temperatura della relazione, una volta preferenziale, tra Germania e Francia. 

Peggio ancora, dal punto di vista tedesco, Barnier ha esplicitato il desiderio di aprire il tandem francotedesco a Roma, facendo tramontare decenni di rapporti di buon vicinato che hanno a lungo determinato i destini dell’Europa. Trovate tutto qui

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