Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza della Corte d'Assise di Milano che ha condannato all'ergastolo Michele Sindona per l'omicidio dell'avvocato Giorgio Ambrosoli


Pienamente dimostrato è anche il concorso di Magnoni, il quale, appena apprese da Sindona che Cuccia era disponibile a trattare, gli telefonò concordando l'incontro a Londra, e nei mesi successivi ebbe ripetuti colloqui con lo stesso per discutere sui progetti di sistemazione che stavano a cuore a Sindona.

Che Magnoni fosse pienamente a conoscenza dell'intera operazione intimidatoria e si fosse ugualmente prestato a raccoglierne i frutti è dimostrato in modo evidente dal suo incontro a Londra con Cavallo e con Navarra subito dopo il colloquio con Cuccia, al quale due giorni prima, mentendo, aveva per telefono offerto ampie garanzie assicurando che non vi sarebbero state interferenze di estranei, e, particolarmente, di questi due personaggi.

Qui si rileva, per la prima volta, l'atteggiamento di doppiezza di Magnoni il quale, da un lato, trattava con Cuccia nella veste di persona corretta e affidabile, e, dall'altro, agiva invece in pieno accordo con Sindona sulle pressioni intimidatorie da esercitare nei confronti dell'interlocutore, dal quale si riprometteva di conseguire i risultati di tali pressioni.

Questo atteggiamento di doppiezza di Magnoni nei rapporti con Cuccia, come si vedrà in seguito, continuò anche negli anni successivi - nei quali il presidente di Mediobanca venne sottoposto a ulteriori e continue azioni intimidatorie - e di esso emersero altre prove evidenti, una delle quali consacrata addirittura in uno scritto redatto nel settembre 1979 da Sindona, con il quale lo stesso informava il genero sulle attività minatorie in corso ai danni di Cuccia e gli dava istruzioni in ordine alle richieste da rivolgere al medesimo.

Italo Castaldi, facendo pervenire a Cuccia, nel corso di ripetuti colloqui, il messaggio intimidatorio di Sindona, e comunicando poi a Navarra - il quale ne informò immediatamente gli altri compartecipi - che Cuccia era disposto ad incontrarsi ed a trattare con un emissario di Sindona, fece esattamente ciò che Sindona, Cavallo e Navarra si aspettavano da lui, e diede con il proprio comportamento un contributo decisivo alla consumazione del piano criminoso. Castaldi peraltro, sia in istruttoria che al dibattimento, ha sempre sostenuto una versione tendente ad escludere, sotto il profilo soggettivo, il suo concorso nel reato commesso dagli altri responsabili.

Ha dichiarato che nella primavera del 1977 il suo cliente Walter Navarra - buon conoscente di Sindona con il quale si era ripetutamente incontrato a New York - gli aveva riferito di avere ricevuto da Luigi Cavallo la proposta di partecipare al progetto di sequestrare un figlio di Cuccia per incarico di Sindona, e gli aveva chiesto consiglio sul da farsi, affermando di essere contrario a prendere parte all'operazione.

Egli aveva ritenuto suo dovere informare Cuccia del pericolo, nel corso di un primo colloquio avvenuto a Milano Cuccia gli aveva chiesto di seguire gli sviluppi della situazione, attraverso il Navarra, e di tenerlo informato. Egli così aveva fatto, ed a tal fine si era portato altre due volte a Milano per riferire a Cuccia quanto aveva appreso da Navarra, e per questa sua attività il presidente di Mediobanca gli aveva liquidato la parcella di circa 12 milioni di lire, sequestrata in seguito nel suo studio.

Ora, posto che la fonte di prova fondamentale per ricostruire l'atteggiamento psicologico del Castaldi e per comprendere la finalità per le quali egli svolse la sua azione nei confronti di Cuccia è costituita dalla trascrizione dei colloqui del 6 e del 24 giugno 1977, si rileva che dall'esame di tali trascrizioni emergono elementi difficilmente conciliabili con la versione del prevenuto. In primo luogo infatti, se veramente il solo fine del Castaldi fosse stato quello di informare Cuccia del pericolo, e poi di riferirgli gli ulteriori sviluppi della situazione, il suo discorso avrebbe dovuto essere assolutamente chiaro e lineare, dato anche che dalle parole di Cuccia traspariva l'ansia dello stesso di sapere e di conoscere tutti gli aspetti della situazione.

In quei colloqui, invece, Castaldi continuò ad impiegare un linguaggio tortuoso, allusivo e indiretto, proprio di chi adempie un incarico imbarazzante e non di chi intende soltanto riferire fatti a sua conoscenza.

Inoltre Castaldi si mostrava assai informato su quelli che a suo dire erano i propositi ed i piani di Sindona, sul fatto che costui premeva su Cavallo e su Navarra perché il progetto del rapimento venisse al più presto portato ad esecuzione.

Sulla circostanza che l'unico modo per evitare il rapimento era il consenso di Cuccia a trattare con un emissario di Sindona, e sul fatto che tale emissario sarebbe stato il Magnoni.

Ripetutamente poi egli descrisse Cavallo - che ammise di avere personalmente incontrato - come persona assai pericolosa e perfino legata ad una donna appartenente alle Brigate Rosse, e ciò come se intendesse accrescere le preoccupazioni di Cuccia per spingerlo ad adottare il comportamento voluto da Sindona. Infine nel colloquio del 24 giugno Castaldi accettò l'incarico conferitogli da Cuccia di far sapere a Sindona, attraverso Navarra, che egli si piegava alla pretesa della controparte ed era disposto ad incontrarsi con il suo emissario Magnoni per trattare, e tale messaggio venne immediatamente trasmesso ai destinatari, tanto che dopo pochi giorni Magnoni telefonò a Cuccia per concordare l'incontro.

In sostanza, l'atteggiamento tenuto da Castaldi in tali colloqui appare quello di chi persegue un interesse personale, o dei suoi mandanti, diretto a promuovere una certa soluzione della vicenda, piuttosto che quello di chi intende soltanto rendere un servigio all'interlocutore portando a sua conoscenza certi fatti.

E tale interesse personale era probabilmente quello di adempiere l'incarico che Navarra, di concerto con Cavallo e con Sindona, gli aveva conferito, come sembra confermato anche dal fatto che nel colloquio del 6 giugno Castaldi si era lasciato sfuggire l'affermazione che egli svolgeva quella attività come “una specie di ambasciatore”.

Ritiene peraltro la Corte che un'attenta lettura della trascrizione dei due colloqui introduca un'ipotesi alternativa sulle ragioni del comportamento di Castaldi, ipotesi che, per quanto assai meno probabile, non può essere esclusa con assoluta certezza.

Poichè infatti nel corso dei colloqui Castaldi ripetutamente alluse in modo chiaro al fatto che Navarra era disposto, per compenso, a fare il doppio gioco, da un lato fingendo di partecipare al progetto del rapimento e dall'altro accettando invece di seguire l'operazione per tenere informato Cuccia, non può escludersi che l'interesse personale per il quale Castaldi agì fosse stato proprio questo, ossia quello di approfittare della situazione per ottenere la gratitudine del potente banchiere Cuccia, e la sua remunerazione, in cambio del doppio gioco di Navarra.

E' chiaro che Navarra non fece alcun doppio gioco ma soltanto il gioco di Sindona e di Cavallo, come si è detto e come è dimostrato anche dal compenso corrispostogli e dai buoni rapporti da lui intrattenuti in seguito con Sindona, per il quale svolse ulteriori incarichi di fiducia.

Egli tuttavia potrebbe avere fatto credere a Castaldi di essere disposto a lavorare in segreto per Cuccia - e ciò allo scopo di indurre il legale a prendere contatto con quest'ultimo ed a parlargli del progettato rapimento - e Castaldi potrebbe avergli creduto lasciandosi convincere a svolgere la descritta attività nei confronti di Cuccia, con il proposito e nella convinzione di sfruttare la situazione mediante la vendita al presidente di Mediobanca di quello che egli riteneva "il tradimento" di Navarra nei riguardi dei complici.

L'ipotesi ora formulata escluderebbe, sotto il profilo psicologico, il concorso di Castaldi nel reato, dato che in tal caso egli avrebbe agito per un fine, ed in vista di un risultato, diversi e perfino contrastanti con quelli che egli riteneva fossero perseguiti dai compartecipi nell'operazione criminosa.

La descritta situazione di perplessità in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo indispensabile per poter qualificare l'azione di Castaldi come concorsuale rispetto al delitto di violenza privata di cui si tratta, impone di mandare assolto tale imputato con formula dubitativa dall'addebito contestato al capo 4) della rubrica. Poichè l'esclusione di Castaldi dal numero dei concorrenti in tale delitto di violenza privata determina il venir meno della circostanza aggravante, il reato medesimo dev'essere dichiarato estinto nei confronti degli altri imputati, essendo ormai decorso il tempo previsto per la prescrizione

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