- Destano perplessità i rumors secondo cui Tim, sotto pressione dell’azionista di maggioranza Vivendi, sarebbe disposta a cedere il controllo di una futura e ipotetica “rete unica”.
- Certamente la notizia giova al titolo Tim, che ha registrato un entusiastico più 6 per cento. Di sicuro provoca un po’ di sconcerto a Bruxelles che si apprestava a dare il via libera alla nuova Open Fiber.
- La verità è che il tema del non-controllo di Tim era solo un correttivo, ma non il nocciolo della questione e questa confusione puà solo ritardare gli impegni sulla rete.
Destano perplessità i rumors secondo cui Tim, sotto pressione dell’azionista di maggioranza Vivendi, sarebbe disposta a cedere il controllo di una futura e ipotetica “rete unica”, cioè la potenziale aggregazione delle reti di Open Fiber e di Fibercop (joint venture partecipata anche da Fastweb e dal fondo Kkr e in cui Tim ha conferito parte della propria rete).
L’indiscrezione che ieri ha animato la Borsa, peraltro smentita da Tim, non è credibile perché ormai la “rete unica” è un progetto morto per le ragioni che diremo in appresso. E allora vien subito da chiedersi: cui prodest? Certamente la notizia giova al titolo Tim, che ha registrato un entusiastico più 6 per cento. Di sicuro provoca un po’ di sconcerto a Bruxelles, dove i burocrati della direzione concorrenza si preparavano a dare il via libera all’ingresso del fondo Macquarie, al posto di Enel, in Open Fiber: la luce verde all’operazione era infatti assicurata nella misura in cui fosse abbandonata la rete unica menzionata nella lettera di intenti di Tim e Cdp dell’agosto 2020. Ma se adesso Roma volesse proseguire con l’operazione, allora a Bruxelles cambierebbe tutto, e non è detto che l’autorizzazione alla nuova Open Fiber, arrivi entro il 10 novembre, come era inizialmente previsto.
Un problema non da poco per Open Fiber, che così non potrà approvare il nuovo piano industriale, che le consentirebbe di continuare a competere con Tim, finché Bruxelles non avrà autorizzato l’entrata del nuovo azionista Macquarie. E così salterebbero anche le gare del governo per le aree grigie.
Infine, come può impattare una notizia del genere sulla posizione dell’amministratore di Tim, Luigi Gubitosi? Difficile dirlo: da un lato, l’andamento del titolo sembrerebbe una sorta di segnale al board di Tim circa la strategia da seguire in futuro. Dall’altro, c’è da chiedersi se Gubitosi sia la persona giusta per imboccare una direzione contraria e opposta a tutto quello che Tim ha raccontato su più tavoli, soprattutto governativi e finanziari, per oltre un anno.
Insomma, parlare di rete unica può risultare sempre utile, benché finalità e interessi perseguiti da chi diffonde certi rumors rimangano oscuri.
Progetto impraticabile
Eppure anche una rete unica senza la maggioranza di Tim sarebbe un progetto impraticabile. La verità è che il tema del non-controllo di Tim era solo un correttivo, ma non il nocciolo della questione: il vero problema sta nel divieto antitrust a consentire la fusione tra due perfetti contendenti, quando ormai il territorio italiano è già coperto da reti ultrabroadband per due terzi, in regime di concorrenza nelle aree nere oppure virtualmente con fondi pubblici nelle aree bianche. Restano le aree intermedie (aree grigie) in cui bisogna modernizzare e facilitare il passaggio dal rame alla fibra, ma già gli operatori si sono impegnati a investirvi, e in assenza vi sono i fondi del Pnrr. In altre parole, la fusione tra Tim/Fibercop e Open Fiber arriva fuori tempo massimo, non servirebbe a diffondere la connettività nel paese, semmai la rallenterebbe, viste le alee e le incertezze che circondano l’operazione.
Certo, è vero che nelle aree grigie vi sarebbe bisogno di un minimo di coordinamento tra Tim, Open Fiber e altri operatori, per coordinare i lavori, supplire alla scarsità di maestranze e ridurre i costi. Ma per raggiungere tali obiettivi è sufficiente del network sharing tra gli operatori interessati, non certo una fusione. E inoltre la legge sulla concorrenza ha già predisposto le misure per un maggior coordinamento tra gli operatori che scavano.
Peraltro, se Tim procedesse come da rumors dovrebbe rivedere tutti i passi intrapresi finora con Agcm e Agcom, cui ha notificato rispettivamente FiberCop e il coinvestimento Ue, assumendo una varietà di impegni e rimedi. Ma come farebbe a rispettare tali impegni se è già nei piani di andare in minoranza nella società della rete?
Una gran confusione, insomma, e gli investimenti in fibra non potrebbero che stagnare. “Forse è proprio questo l'obiettivo di certi rumors: investire in fibra ottica di meno e il più tardi possibile”.
© Riproduzione riservata