- Con la raccomandazione pubblica oggi, denominata raccomandazione Gigabit, la Commissione europea si appresta ad alleggerire i principi di concorrenza del Codice europeo delle comunicazioni elettroniche del 2018.
- La ricetta del commissario Thierry Breton ruota attorno al rafforzamento di alcuni grandi player europei, tra cui la francese Orange di cui è stato persino CEO, oltre che Deutsche Telekom e Telefonica: bisogna affidarsi alla capacità di espansione ed investimento di queste grandi imprese e perciò risolvere i loro problemi.
- Per l’Italia l’approccio di Breton mal si concilia con il progetto della rete nazionale, e la scelta rafforzerà i concorrenti europei di Tim portando loro più soldi da utilizzarsi per fare shopping all'estero, magari in Italia.
La Commissione europea, braccio esecutivo della Ue, è intenzionata a riscrivere radicalmente le regole di funzionamento delle telecomunicazioni. Da un lato, vorrebbe far pagare alle grandi imprese online (di fatto solo americane) il "passaggio" sulle reti europee di telecomunicazioni, cioè il cosiddetto "fair share" - un'idea che ha creato un aspro dibattito nel settore digitale. Dall'altro, essa si appresta ad alleggerire i principi di concorrenza del Codice europeo delle comunicazioni elettroniche del 2018, ma non come una riforma legislativa, bensì in modo surrettizio, attraverso una raccomandazione, cioè un atto formalmente non vincolante che però di fatto condizionerà sensibilmente i poteri dei regolatori nazionali. Mentre il dibattito sul fair share terrà banco per lungo tempo, persino anni, e difficilmente passerà indenne l'esame di Consiglio e Parlamento europeo, diverso è invece il caso di questa raccomandazione, denominata raccomandazione Gigabit e pubblicata ieri, e della conseguente deregolamentazione del mercato telecom: trattandosi di un atto formalmente non vincolante, la Commissione può fare tutto da sola ed in tempi rapidi.
Limitare la concorrenza
Per di più, il chiasso mediatico causato dal "fair share" oscura del tutto il tema della fine della concorrenza nelle telecom, che infatti è per lo più ignorato dai media. Ma se la proposta andrà avanti, di fatto i regolatori nazionali (tra cui l'italiana Agcom) dovranno limitare al massimo, se non eliminare, le misure a favore della concorrenza. Basterà che in un dato mercato vi possano essere "prospettive" di concorrenza infrastrutturale ed allora il regolatore nazionale dovrà abbassare la guardia: e così stop alle norme su prezzi ed accesso alle reti dominanti.
La parola d'ordine diviene "flessibilità" che si traduce in: basta concorrenza. C'è pertanto il rischio che venga riscritto, per via amministrativa, un codice che era stato votato democraticamente da Parlamento e Consiglio e che esprimeva la volontà di mantenere la concorrenza nei mercati europei, sull'assunto che proprio la concorrenza stimoli gli investimenti.
Rafforzare i grandi
Il commissario Breton sembra invece voler applicare una ricetta diversa, che ruota attorno al rafforzamento di alcuni grandi player europei, tra cui la francese Orange di cui è stato persino CEO, oltre che Deutsche Telekom e Telefonica: bisogna affidarsi alla capacità di espansione ed investimento di queste grandi imprese e perciò risolvere i loro problemi, come ad esempio l'esistenza di imprese più piccole che competono o il fatto che le grandi telco non riescano a farsi pagare dalle piattaforme online. Ma siamo sicuri che i mali del mercato delle telecomunicazioni siano veramente dovuti alla concorrenza ed alle sue regole? Se guardiamo all'Italia, i grandi problemi derivano dalla pessima privatizzazione di TIM e dal debito di cui essa si è successivamente caricata. Gli ostacoli agli investimenti in fibra sono storicamente dovuti all'esistenza di una rete telefonica in rame ancora troppo profittevole per indurre a spegnerla. I prezzi sono effettivamente molto bassi, ma molte tariffe stracciate sono però proprio quelle dei grandi operatori (Tim, Vodafone e Wind) attraverso le loro low-cost. Insomma, prendersela con la concorrenza e con la dinamicità del mercato è una soluzione dubbia, soprattutto ora che, dopo anni di lamentele secondo cui in Europa vi sarebbero troppi operatori mentre negli USA solo 3, poi si legge sul sito di GSMA che là solo gli operatori mobili sono in verità 48 (quarantotto!).
E l’Italia?
Ad ogni modo, la visione di Breton è chiara e manifesta: più risorse ai grandi operatori storici, meno ai concorrenti creati dalla liberalizzazione. Si tratta di una chiara scelta di politica industriale. E l'Italia? La proposta di Breton va ad incastrarsi in un momento topico per le telecomunicazioni italiane, dove si sta cercando un riassetto delle risorse infrastrutturali (la Rete Nazionale, che scaturirebbe dalla separazione della rete di TIM e la successiva fusione con Open Fiber) nonché l'adozione del modello all'ingrosso, cioè la rete neutrale aperta a tutti gli operatori. La deregolamentazione di Breton mal si concilia con il processo italiano perché ridà fiato al vecchio modello verticalmente integrato dell'operatore storico, ed inoltre rafforzerà i concorrenti europei di TIM portando loro più soldi da utilizzarsi per fare shopping all'estero, magari in Italia. Il tutto limitando i poteri di AGCOM qualora essa volesse applicare misure più coerenti con il mercato nazionale.
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