La torta miliardaria delle agevolazioni edilizie ha attirato una pletora di intermediari. Ma la fetta più grossa è andata a banche e consulenti. A spese dello stato
Nel pieno della bufera Superbonus, c’è anche chi non rinuncia a illuminare gli effetti positivi di una delle leggi più discusse della storia della Repubblica. Due giorni fa, davanti alla Commissione Ambiente e Territorio della Camera, Marco Marcatili, responsabile sviluppo della società di consulenza Nomisma, ha ammesso che il Superbonus “ha prodotto un po’ di ingessatura nei conti pubblici”. Sull’altro piatto della bilancia, però, il manager ha messo i 200 miliardi di “valore diretto, indiretto e indotto” che in futuro potranno portare “altri benefici, tra cui quelli occupazionali”.
Sui numeri il dibattito è aperto. Di certo, però, Marcatili è un testimone in presa diretta della colossale giostra di appalti, lavori, consulenze e finanziamenti che tre anni fa si è messa in moto col carburante del Superbonus.
Non si parla di truffe, qui. Ma dell’affollatissima platea di intermediari che fin da subito è riuscita a cavalcare un business miliardario nato dal nulla grazie al provvedimento varato nel 2020 dal governo Conte 2.
Un business, vale la pena di ricordarlo, che è totalmente a carico delle casse pubbliche, con oneri complessivi che hanno già raggiunto i 146 miliardi, considerando anche il bonus facciate, e sono destinati ad aumentare ancora.
Nomisma, che ha organizzato convegni sul tema insieme all’Ance, l’associazione dei costruttori, ha anche aperto una nuova divisione al suo interno, Nomisma Opera, che vende servizi a “supporto di condomini, imprese e famiglie” alle prese con il Superbonus. Un servizio a pagamento, ovviamente, che finisce per trovarsi in conflitto d’interessi con il ruolo della stessa Nomisma che, come società di ricerca, ha illustrato in Parlamento le ricadute economiche delle stesse agevolazioni, ricadute che, inevitabilmente, gonfiano il fatturato della società. «Nomisma Opera a un ruolo marginale nel gruppo», ribattono gli interessati contattati da Domani.
Le piattaforme private
Il caso di Nomisma non è isolato, ovviamente. In queste settimane è stata raccontato il proliferare di piattaforme gestite da intermediari che si offrono di comprare a prezzi di saldo i crediti di imprese e privati cittadini. Ben più ricco, però, è il tesoretto che sono riuscite ad accumulare grandi società di consulenza, nomi del calibro di Ernst&Young, Deloitte, Pwc, che si sono dotate di strutture ad hoc per intercettare queste nuove opportunità di guadagno. Deloitte ha affiancato Intesa nella piattaforma creata dall’istituto di credito per acquistare i crediti della clientela. Ernst&Young, oltre a offrire un servizio di consulenza in proprio, assiste il gruppo Mps. Le banche, che tra il 2020 e il 2022 avevano fatto incetta di crediti per un valore vicino agli 80 miliardi, si sono tirate indietro dopo aver raggiunto la cosiddetta capienza fiscale, l’importo massimo che a loro volta possono detrarre dalle imposte.
«Alcuni istituti – spiega il commercialista Raffaele Di Capua – si dicono ancora pronti a proseguire con gli acquisti, ma i paletti burocratici sono tali e tanti da scoraggiare chiunque». Di recente però per gli istituti di credito si è aperta una nuova grande opportunità di affari. La legge, opportunamente corretta rispetto all’originale, ha reso possibile anche la cosiddetta «ricessione del credito». In pratica, le banche possono a loro volta vendere i bonus accumulati ad altre aziende che li useranno per ridurre il loro conto con il fisco.
Ovviamente queste cessioni vengono concluse con un margine di guadagno per il venditore, con il risultato di dare una spinta ai profitti, in questo periodo già molto elevati, dei gruppi creditizi. Sono decine le aziende che hanno sfruttato questo canale per il fare il pieno di crediti fiscali. In prima fila tra i venditori, i due big del settore nazionale del settore, Intesa e Unicredit.
Ludoil
Su questo fronte, nei mesi scorsi ha fatto scalpore una doppia operazione conclusa dal gruppo Ludoil, che gestisce una rete di stoccaggio e distribuzione di carburante. A dicembre 2022 la società controllata dalla famiglia Ammaturo ha comprato 1,3 miliardi di crediti da Intesa e a giugno ha fatto il bis con un altro stock da 630 milioni venduto da Banca Bper.
Quindi Ludoil ha accumulato qualcosa come 1,93 miliardi di crediti. Come verranno utilizzati? E come sono state finanziate le due acquisizioni? L’acquisito di questi crediti viene fatto «su base mensile», rispondono fonti Ludoil.
Un’operazione a rate, in pratica, che non è stata finanziata né da Intesa né da Bper, dice la società petrolifera. Quell’enorme mole di crediti nei prossimi anni andrà a compensare le accise che paga Ludoil, pari nel 2022 a circa 350 milioni di euro.
A Domani risulta che nei primi mesi dell’anno era sorta una controversia tra Ludoil e Agenzia delle Dogane in merito alla possibilità di compensare le accise con i crediti del superbonus. Tutto risolto, a quanto pare. Ludoil, come molte aziende in tutta Italia, vedrà aumentare i suoi profitti. Alla fine, sarà lo stato a pagare il conto. Come prevede la legge.
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