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Tesla ha tagliato il prezzo di vendita di tutte le sue auto perché crede che l’auto elettrica diventerà presto un bene di massa. BYD è diventato il primo produttore di auto in Cina superando il primato che Volkswagen deteneva da ben 15 anni, vendendo solo auto elettriche. La rivoluzione dell’auto elettrica è cominciata.
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Sbagliato combattere futili battaglie di retroguardia. L’industria automobilista europea dipende in modo cruciale dai due principali mercati, Cina e Stati Uniti, che in entrambi i casi hanno ormai svoltato decisamente verso l’elettrico. Meglio adeguarsi rapidamente
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Il rischio altrimenti è che fra 10 anni guideremo auto cinesi e le case automobilistiche europee avranno delocalizzato sempre di più gli impianti in Nord America e Cina.
Tesla ha tagliato il prezzo di vendita di tutte le sue auto perché crede che l’auto elettrica diventerà presto un bene di massa, e le economie di scala abbatteranno i costi di produzione. Così sacrifica i margini oggi, per conquistare quote nel mercato elettrico di domani, avendo a questo scopo investito in nuova capacità produttiva in Arizona e a Berlino.
Nel primo trimestre di quest’anno la cinese BYD è diventato il primo produttore di auto in Cina superando il primato che Volkswagen deteneva da ben 15 anni. Ancora più rilevante è che tutte le auto vendute da BYD nel trimestre erano elettriche, mentre appena il 5 per cento di quelle Volkswagen lo erano. A sua volta, Volkswagen ha appena annunciato la costruzione della sua più grande fabbrica batterie, dove? In Canada, grazie ai massicci incentivi fiscali che il paese garantisce per competere con quelli varati dall’amministrazione americana.
La svolta europea
La rivoluzione dell’auto elettrica è cominciata. Non mi sembra che in Italia ce ne siamo accorti. L’Italia si è astenuta sulla ratifica del regolamento europeo che proibisce la produzione di auto a motore endotermico dal 2035, e il nostro governo ha combattuto una battaglia, perdendola, per l’esenzione dei biofuel. Una posizione a difesa del motore endotermico condivisa da Confidustria che lamenta l’impatto negativo della transizione all’auto elettrica sul nostro sistema produttivo.
Come già argomentato su queste colonne, le ragioni avanzate contro l’imposizione della svolta elettrica voluta dall’Europa sono sbagliate, o valide, ma irrilevanti. Sbagliato sostenere che il maggior costo dell’auto elettrica discrimina i cittadini meno abbienti: come Tesla ha chiaramente dimostrato col taglio dei prezzi, le economie di scala rapidamente abbatteranno i costi.
E con l’aspettativa di una rapida crescita del parco di auto elettriche si crea automaticamente l’incentivo a costruire la rete di colonne di ricarica. Irrilevante, anche se fondata, la critica che il passaggio all’elettrico avrebbe un beneficio limitato in termini di riduzione delle emissioni, specie considerando l’intero ciclo di vita dell’auto. Perché l’industria automobilista europea dipende in modo cruciale dai due principali mercati, Cina e Stati Uniti, che in entrambi i casi hanno ormai svoltato decisamente verso l’elettrico. Meglio quindi adeguarsi rapidamente, piuttosto che combattere futili battaglie di retroguardia che ci danneggerebbero soltanto.
Cosa fare
Come? Il governo dovrebbe farsi promotore a livello europeo di un forte intervento comune a sostegno di tutti gli investimenti nei settori investiti dalla rivoluzione dell’auto elettrica, non solo perché ben pochi paesi, e sicuramente non l’Italia, da soli avrebbero le risorse pubbliche necessarie per farlo, specie dovendo rispettare le nuove regole del Patto per la riduzione del debito, ma soprattutto perché l’industria automobilistica europea è strettamente interconnessa, e i suoi interessi non possono essere delimitati dai confini nazionali. Non mi sembra invece che il nostro governo voglia andare in quella direzione.
E le imprese italiane legate all’auto dovrebbero privilegiare la strada delle aggregazioni, in un settore troppo frammentato per poter rimanere competitivo nella rivoluzione che ci attende. Mi sembra invece che prevalga ancora la difesa della nicchia e del controllo.
Il rischio, reale, è che fra 10 anni compreremo in prevalenza auto cinesi; le case automobilistiche europee avranno delocalizzato sempre di più gli impianti in nord America e Cina; e per molte aziende italiane del settore sarà declino irreversibile.
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