- È pronta l’Europa al grande salto? Naturalmente non lo è ancora, ed è importante che utilizzi bene i tredici anni che mancano.
- Il prodotto sarà il minore dei problemi: il numero di modelli elettrici sul mercato è cresciuto in misura esponenziale, e molti costruttori hanno già annunciato che la loro gamma di prodotto sarà interamente a batterie anche prima del 2035.
- I previsti miglioramenti tecnologici dovrebbero permettere più chilometri con un “pieno” a parità di dimensioni della batteria, o costi molto minori a parità di autonomia.
Giovedì scorso le tre istituzioni dell’Unione europea (Commissione, parlamento e Consiglio) hanno raggiunto l’accordo definitivo sullo stop alla vendita di automobili con motori a scoppio (benzina o diesel) dal 2035.
In vista dell’ambizioso obiettivo, l’Italia è già in ritardo rispetto a tutti i maggiori mercati, sia sulla produzione che sulla vendita di auto a batterie; il primo ritardo, dovuto al rifiuto di Fiat di investire sull’elettrico fino all’ultimo, ha pesato sulle decisioni politiche di continuare fino ad ora a incentivare anche vetture ibride e ad alte emissioni di CO2.
La quota di mercato delle auto elettriche è stata del 3,6 per cento nei primi nove mesi del 2022, in calo dal 4 per cento del 2021; penalizzata prima dal “buco” negli incentivi all’acquisto e poi dalla loro introduzione solo per i privati e non per le flotte aziendali. Le quote di mercato in paesi come Germania, Francia e Regno Unito sono tra il 12 e il 15 per cento.
Il nuovo governo
Le prime reazioni del nuovo governo italiano non sembrano indicare un cambio di politica; il neo-ministro dell’Ambiente e sicurezza energetica Pichetto Fratin ha rivendicato continuità con il suo predecessore Cingolani. È probabile che per un piano più deciso la politica voglia attendere che anche in Italia si producano auto a batterie in volumi più consistenti. Per ora c’è solo la Nuova 500 fatta a Mirafiori; se si esclude la Maserati, nei piani di Stellantis le prossime arriveranno solo nel 2024.
Il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha menzionato in un’intervista al Sole 24 Ore i due grandi progetti europei Ipcei sulle batterie «in cui l’Italia è impegnata per quasi un miliardo e mezzo», e ha aggiunto che «un nuovo bando su accordi di innovazione uscirà a breve». Urso ha anche citato, come «risultati sulle proposte italiane», la mini-deroga (dal 2035 al fino al 2036) per i costruttori di piccole dimensioni (tra cui Ferrari e Lamborghini) e l’impegno della Commissione di riesaminare in data successiva il possibile impiego degli e-fuels, carburanti sintetici prodotti utilizzando energie rinnovabili. La produzione di questi ultimi, attualmente in fase di test, è costosa sia dal punto di vista economico che energetico; secondo le associazioni ambientaliste sarebbero solo un mezzo per mantenere in vita i motori a scoppio.
L’Europa è pronta?
Dopo l’intesa di giovedì le associazioni europee della filiera auto Acea e Clepa, che si sono a lungo battute per evitare un divieto di vendita a partire da una data fissa, hanno fatto buon viso a cattivo gioco, e chiedono alle istituzioni di assicurare «un’abbondanza di energie rinnovabili, una rete di infrastrutture di ricarica pubbliche e private, l’accesso alle materie prime».
Dal punto di vista dei cittadini, l’esigenza primaria è una rete di punti di ricarica in grado di consentire a tutti di ricaricare l’auto e di compiere viaggi anche al di là dell’autonomia delle batterie; serviranno investimenti enormi, che andranno ripartiti fra governi e aziende, con i privati che dovranno accollarsi i costi degli impianti di ricarica domestici. Sarà anche fondamentale, soprattutto in Italia, snellire le procedure di autorizzazione.
Il prodotto sarà il minore dei problemi: il numero di modelli elettrici sul mercato è cresciuto in misura esponenziale, e molti costruttori hanno già annunciato che la loro gamma di prodotto sarà interamente a batterie anche prima del 2035. I previsti miglioramenti tecnologici dovrebbero permettere più chilometri con un “pieno” a parità di dimensioni della batteria, o costi molto minori a parità di autonomia.
Di fatto la transizione alla mobilità elettrica in Europa era ormai data per scontata dai costruttori, i quali hanno progressivamente ridotto gli investimenti nei motori a scoppio. Le auto elettriche hanno fatto progressi enormi da quando la Tesla lanciò il suo Model S poco più di dieci anni fa, e l’evoluzione tecnologica dei prossimi dieci anni dovrebbe anche scongiurare il rischio, evocato in questi giorni dagli avversari del provvedimento al Parlamento UE, che l’Europa si trasformi «in una gigantesca Cuba con auto vecchie e inquinanti conservate per decenni perché i cittadini non possono permettersi di comprarne di nuove».
Certo, la transizione potrebbe fare qualche vittima fra i costruttori. Tesla ha già sottratto quote di mercato ai colossi tedeschi delle auto di alta gamma. Fra i costruttori “generalisti”, quelli più indietro sull’elettrificazione – come Stellantis o Toyota – si sono battuti fino all’ultimo per ottenere un rinvio della scadenza, soprattutto per il timore di perdere terreno rispetto a Tesla e ad altri concorrenti asiatici, come coreani e cinesi.
La sfida cinese
Proprio la concorrenza cinese è ora lo spauracchio più grosso, con marchi come MG e BYD che sbarcano in Europa proprio in questi mesi a prezzi concorrenziali. Stellantis e altri chiedono l’imposizione di dazi a livello europeo, ma il negoziato non sarà facile, visto che i big tedeschi ricavano proprio dalla Cina gran parte dei loro profitti.
Dal punto di vista industriale il passaggio all’elettrico comporterà due problemi. Il primo riguarda la catena delle forniture: le batterie sono per ora prodotte in gran parte proprio in Cina (perché lì era il mercato più grande) e con materie prime, dal litio alle terre rare, quasi tutte estratte fuori dall’Europa. L’invasione russa dell’Ucraina e le crescenti tensioni geopolitiche hanno fatto suonare un campanello d’allarme sul rischio che la transizione elettrica sostituisca una dipendenza – dal greggio e dai paesi Opec – con un’altra.
Il secondo problema è la necessaria riconversione industriale della filiera: la produzione dei motori a scoppio per auto e dei loro componenti è destinata a scomparire. Difficile quantificare i posti di lavoro a rischio: in Italia gli occupati diretti nei motori e cambi di Stellantis e Ferrari non arrivano a 10mila, ma il numero sale se si contano anche i componenti. Una parte della forza lavoro potrà però essere reimpiegata nei nuovi mestieri dell’elettrificazione: la fabbrica di motori Stellantis di Termoli, per esempio, verrà riconvertita in un maxi-polo delle batterie.
Perché la conversione all’elettrico abbia pieno successo, infine, bisognerà che la produzione di energia avvenga in quota sempre maggiore da fonti rinnovabili, ma va detto che con il mix energetico italiano le auto elettriche emettono già ora nell’intero ciclo di vita una quantità di CO2 inferiore a quella di vetture a benzina e diesel.
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