Lo smartphone inquadra il codice a barre del vestito o delle scarpe. E l'app Rubargo, in maniera diretta o indiretta, è pronta a dirci se l'azienda produttrice di moda continua o meno a fare affari in Russia. Mentre alcuni brand come Prada e Louis Vuitton hanno annunciato già a marzo dell'anno scorso di aver abbandonato Mosca, secondo l'app altri come Lacoste, Boggi, Calzedonia, Benetton e Diesel sono ancora operativi nella terra di Putin. Ma anche Geox, Versace, Giorgio Armani, Valentino e Luxottica, seppur con alcune differenze, non sono da meno.
Finora ci sono stati nove pacchetti di sanzioni, il decimo è alle porte e molte società, anche in maniera spontanea, hanno smesso di essere attive nel paese che ha invaso l'Ucraina il 24 febbraio 2022. Ma non tutte. In particolare per quanto riguarda la moda il quarto intervento da parte dell'Unione europea, il 15 marzo 2022, ha vietato la compravendita di prodotti che hanno un valore superiore ai 300 euro, considerati beni di lusso. Non poche transazioni, però, riguardano capi d'abbigliamento venduti a un prezzo inferiore. E spesso avvengono ancora.

Grazie a Rubargo, una fusione tra Russia ed embargo, ogni potenziale acquirente può sanzionare da solo tali aziende, non comprando alcun prodotto e inviando informazioni al software. Il digitale potrebbe così dare nuova vita a una vecchia forma di protesta, creando una sorta di boicottaggio 2.0.

Benetton mantiene i rapporti di sempre

All'interno di negozi di abbigliamento, Domani ha testato l'app creata dallo sviluppatore ucraino Yevhenii Kyselov. Si comincia con un paio di calze vendute da Calzedonia e una maglietta con il classico coccodrillo della Lacoste. In entrambi i casi sul display compare un banner rosso con la scritta «è presente in Russia». Nel primo caso sono arrivate otto segnalazioni, nel secondo 30.

Essendo inverno, forse è il caso di provare qualcosa di più pesante. Ecco un maglione prodotto da Benetton. E sullo schermo, in inglese, appare la scritta «nessuna informazione». Poco male, con un click si può consultare il database curato dal progetto LeaveRussia e dal Kyiv School of Economics Institute. In questo modo si scopre che «la società continua le proprie operazioni in Russia». L'azienda di Ponzano Veneto contattata da Domani spiega che «ha sospeso tutti i propri programmi di sviluppo in Russia, mercato dove è presente da oltre 30 anni, destinando gli investimenti previsti in nuove aperture ad attività di assistenza umanitaria del popolo ucraino da parte della Croce rossa italiana». Ma Benetton sottolinea che «per ora prosegue le attività commerciali già in essere in Russia, costituite da rapporti di lunga data con partner commerciali e logistici e con una rete di  negozi».

L'azienda si rifiuta di dire cosa dovrebbe accadere affinché, in assenza di sanzioni sul punto e quindi di obblighi giuridici, decida di abbandonare la vendita nel territorio russo. Non si pronuncia nemmeno nell'ipotesi in cui la Russia dovesse usare armi nucleari o attaccare un paese Nato. Scenari sottoposti a tutte e 10 le realtà contattate.
Passando a un jeans con marchio Diesel e consultando il database il risultato non cambia. È di diverso avviso l'azienda fondata da Renzo Rosso perché comunica a Domani di «non avere operazioni dirette in Russia, di aver chiuso da subito l’online e di continuare a rispettare le normative vigenti rispetto alle restrizioni decise dal governo e dall’Ue». Ma anche lo Yale School of Management Chief Executive Leadership Institute ha una propria lista, divisa in diverse sezioni, e le società citate finora hanno tutte ricevuto il voto F, il più basso. In questa categoria ci sono i marchi che continuano a fare business as usual in Russia. Si tratta di 210 società che non hanno abbandonato il mercato russo e che non hanno ridotte le proprie attività.

Geox e Luxottica

In pagella hanno trovato D le 164 aziende che hanno sospeso nuovi investimenti, ma continuano a fare affari a Mosca. Tra queste troviamo Geox, realtà di Montebelluna, in provincia di Treviso, che a Domani ha sottolineato come il proprio business russo-ucraino ammonti al 10 per cento del fatturato (74 milioni) e sia sviluppato per lo più tramite terzi, vendite all'ingrosso e franchising. Inoltre il marchio di scarpe ha confermato di aver «sospeso ogni nuovo investimento diretto in Russia, ritirato il management europeo e di star gestendo la situazione nel breve periodo in modo da essere pronto a mitigare gli impatti di ogni decisione futura relativa alla propria presenza in Russia». Anche Versace e Giorgio Armani fanno parte della categoria D. Quest'ultima società ha evidenziato a Domani che «non opera direttamente in Russia e i negozi operanti nel territorio con i marchi del gruppo sono gestiti da franchisee indipendenti. Il canale e-commerce ha cessato le spedizioni per la Russia e l'azienda ha sospeso tutti gli investimenti pianificati, così come le aperture  programmate dei nuovi punti vendita sul territorio».
Il gruppo successivo è il C, dove, tra 149 società, troviamo Valentino e Luxottica, brand che hanno ridotto alcune operazioni, ma continuano con altre. È il caso dell'azienda fondata da Leonardo Del Vecchio perché ha ristretto il mercato russo alle operazioni relative ai «servizi medici essenziali». Facendo rientrare in tale categoria gli occhiali da vista e le lenti a contatto.

Il brand, l'11 marzo 2022 in una call con gli analisti, ha spiegato che «il fatturato in Russia e in Ucraina prima dello scoppio della guerra era inferiore a 200 milioni, meno dell'un per cento del giro d'affari totale». Ma ci sono anche 497 marchi, tra i quali Burberry, Ferragamo, Hermes e Prada, che hanno sospeso tutte le operazioni in Russia e hanno ricevuto il voto B. Infine nel gruppo A, coloro che hanno abbandonato il territorio russo, ci sono 515 aziende. Se su Rubargo/LeaveRussia digitiamo Adidas, Inditex (Zara) o Luis Vuitton compare la scritta «uscita dalla Russia» su uno sfondo questa volta non più rosso, ma verde.

Valentino ci scrive

Dopo la pubblicazione dell'articolo, Valentino ha scritto a Domani scusandosi per il ritardo nella risposta (la scorsa settimana Andrea Galliano invano aveva telefonato e scritto via email e whatsapp al capo ufficio stampa, scritto su Linkedin a otto addetti stampa, telefonato al centralino rimanendo in attesa a lungo e scritto sul form sul sito). L'azienda ha inviato la propria posizione ufficiale: «Valentino non ha negozi diretti in Russia, come altri marchi del lusso il brand opera sul mercato attraverso partner commerciali ai quali non sta fornendo merce dal marzo dello scorso anno. Il fatturato russo rappresentava, prima della pandemia e del conflitto, il 3 per cento del volume d’affari globale».
Ne prendiamo atto. Da una verifica, fino alle 11 del 21 febbraio sul sito russo della società c’era scritto in inglese: «Per garantire a tutti i clienti una migliore esperienza di acquisto, stiamo lavorando per migliorare la nostra boutique online. Torneremo il prima possibile».


Successivamente il messaggio risultava essere uguale a quello che si può leggere in russo e in inglese sul sito ucraino: «A causa della situazione attuale, non siamo in grado di completare nuovi ordini. Tutta l'evasione degli ordini è stata sospesa fino a nuovo avviso».


La precedente differenza può essere il motivo in base al quale sia Yale sia Leave-Russia hanno inserito Valentino nella categoria "scaling back" (C) e non in "suspension" (B).

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