Vendite in forte calo, dopo il boom nel periodo della pandemia, soprattutto per i modelli da città. Acquisti frenati dai prezzi alti e dall’aumento degli incidenti stradali che coinvolgono ciclisti
«Le bici sono troppo care perché tutti si sentono Pantani»: questo il mantra che gira tra i ciclisti per spiegare il boom dei prezzi e lo sboom di vendite. Ma è proprio così?
L’andamento del mercato potrebbe essere raccontato come la salita sulle strade di un grande colle alpino, l’Izoard o il Galibier. A un certo punto arriva la crisi, dovuta a uno sforzo eccessivo che si è protratto a lungo. Sì, perché il mercato delle bici, nel 2024, pare essere “bollito”.
Per spiegare come stanno le cose, è bene differenziare il settore.
Quello delle bici da corsa cosiddette “top di gamma”, che vale circa l’otto per cento del mercato, vanta uno stato di forma eccellente. Il prezzo per un singolo modello arriva anche a 20.000 euro, con “entry level” posto a 3.500. Somme non alla portata di tutti. Ma nonostante questo, e il pellegrinaggio nei pronto soccorso di poveri ciclisti che vengono abbattuti quotidianamente, questa fascia di mercato tira.
Tra gli appassionati si favoleggia di sconti miracolosi di marchi come Pinarello, Bianchi, Colnago, De Rosa e altri che, come da vulgata, “si sono resi conto di aver pompato troppo i prezzi e ora svendono”. Lo stesso discorso, sebbene senza gli estremi delle bici da corsa, vale per le mountain bike che valgono il 29 per cento delle vendite.
Fra i ciclisti della domenica si sprecano le giuste critiche per simili valutazioni economiche, perché si tratta pur sempre di sette/dieci chili tra carbonio, acciaio e un po’ di gomma. Forma, geometria e quasi l’intera meccanica sono le stesse dei tempi eroici di Luigi Ganna che nel 1909 vinse il primo Giro d’Italia.
I numeri del calo
Due ruote ovviamente non significa solo quel mezzo che fa correre gli sportivi più o meno fanatici. Il grosso è dato dalle biciclette da città e trekking e da quelle elettriche che compongono quasi il 50 per cento del mercato: questo settore è in grande affanno. I dati Ancma 2023 mettono in luce un calo di 409.000 unità, pari al 23 per cento: da notare anche il vistoso dato delle e-bike, meno 19 per cento.
Perfino rispetto al 2019 vi è una discesa, dovuta in gran parte al tracollo delle bici muscolari, meno 28 per cento, mentre quelle a pedalata assistita sono cresciute del 40 per cento. Rispetto a quell’anno è però cresciuto il volume d’affari, segno di una bolla inflattiva.
Secondo molti analisti il tracollo sarebbe dovuto al boom degli anni 2021-2022, quando il settore è esploso in tutto il mondo e in particolare in Italia, dove il governo Conte 2 varò un bonus pari a 500 euro per ogni bici nuova acquistata. A questo si è aggiunto il problema degli approvvigionamenti da Taiwan, la fabbrica di bici mondiale.
Anche i prezzi alti sono una causa, ma si parla di una nicchia ipersportiva che gonfia la statistica: esistono bici per ogni tasca, e con 600 euro si può comprare un ottimo mezzo.
Strade pericolose
Il cuore del problema va probabilmente cercato altrove: il ciclista neofita del 2020-2022 ha scoperto che pedalare può risultare non solo scomodo, ma anche molto pericoloso.
La dilagante incultura che vede nelle due ruote un nemico e la sgangherata rete di piste ciclabili hanno creato una percezione che potrebbe avere bloccato un mercato ecologico ed economico. Nel 2023 i ciclisti deceduti a seguito di un incidente sono stati 197, dati Associazione sostenitori e amici della Polizia stradale. Secondo una ricerca del Makno-Università Iulm del settembre 2023, quindi nel pieno del tracollo di vendite, le intenzioni dei milanesi di utilizzare la bicicletta erano calate del 20 per cento in sei mesi a causa della crescente paura.
Gli ordini, aumentati a dismisura durante il periodo Covid, hanno riempito i magazzini di bici poi rimaste invendute: le strade vuote del tempo pandemico erano molto diverse da quelle poi tornate intasate di auto.
Crisi aziendali
Questo quadro paradossale, in cui un settore economico potenzialmente ancora molto vasto versa in stato di crisi, ha profonde ripercussioni anche a livello occupazionale.
Forse si salveranno i 51 dipendenti di Orobica Cicli che lo scorso 26 marzo ha annunciato la chiusura e il conseguente avvio di una procedura di licenziamento collettivo. «Come Fiom-Cgil Vallecamonica e Sebino abbiamo confermato la nostra richiesta di apertura di un ammortizzatore sociale per gestire il periodo», si legge in una nota del sindacato, guidato a livello locale dal segretario Andrea Capelli. «In questi giorni», continua il documento, «c’è stata la manifestazione d’interesse da parte di un imprenditore al fine di continuare l’attività produttiva anche attraverso nuovi prodotti e produzioni».
Anche la Bianchi, lo scorso autunno, ha dovuto fare i conti con una crisi occupazionale, superata grazie a contratti di solidarietà. Il fenomeno non riguarda solo l’Italia: il gigante svizzero Bmc ha da poco chiesto un intervento pubblico per evitare il taglio del personale.
A differenza delle case automobilistiche, i produttori di bici riuniti in Ancma non invocano incentivi, bensì preferirebbero investimenti infrastrutturali e culturali: piste, che non siano delle mere strisce tracciate sulla carreggiata automobilistica, parcheggi per bici, punti di scambio intermodale, zone a velocità limitata. Interventi poco costosi, tutto sommato, ma che potrebbero dare una nuova spinta al mercato.
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