Il cda della banca sotto attacco fa le barricate e giudica inadeguate le condizioni dell’operazione. La mossa di Orcel anche per anticipare una possibile scalata dei francesi del Crédit Agricole
Le avances dell’Unicredit di Andrea Orcel rimbalzano contro il muro del cda del BancoBpm. Secondo gli amministratori dell’istituto milanese, che si sono riuniti ieri, le condizioni dell’ops (offerta pubblica di scambio) «non riflettono in alcun modo la redditività e l’ulteriore creazione di valore per gli azionisti di Banco Bpm».
In altre parole, il prezzo non è giusto, troppo basso in rapporto ai risultati di bilancio e anche al potenziale di crescita della banca guidata da Giuseppe Castagna. La Borsa, del resto, già da lunedì ha espresso un verdetto simile.
Gli acquisti sui titoli del Banco hanno portato la quotazione intorno a 7 euro, il 5 per cento in più di quanto offerto da Unicredit. La porta resta chiusa, quindi, ma non è detto che non si possa riaprire in futuro se gli aspiranti scalatori rivedranno al rialzo la loro proposta, che, va ricordato, non prevede un pagamento cash, ma in titoli Unicredit, sulla base di un rapporto di concambio.
Offerta ostile
Va da sé che in piazza Meda a Milano, sede del Banco Bpm, l’offerta resa nota lunedì mattina viene considerata ostile e non sono in corso trattative di alcun tipo con la controparte. La vicenda sembra destinata a protrarsi ancora lungo, ma intanto, quarantotto ore dopo essere uscito allo scoperto, il bilancio per Orcel è in rosso.
Il governo, per bocca del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, si è messo di traverso e anche la preda designata non ha nessuna intenzione di finire in pancia all’aspirante compratore, che punta a cancellare il Banco come entità autonoma. Grazie alla fusione ci sarebbero risparmi di costi per 900 milioni e i ricavi lieviterebbero di 300 milioni. Questi i vantaggi dell’operazione secondo Unicredit, vantaggi che però, si legge nel comunicato del Banco Bpm, «non sarebbero adeguatamente valorizzati nelle condizioni dell’offerta».
Insomma, ancora una volta è una questione di prezzo, ma non solo, perché l’eventuale fusione avrebbe preoccupanti «ricadute sul fonte occupazionale e sociale». Come dire che per evitare onerose sovrapposizioni dovrebbero essere varati pesanti tagli tra i dipendenti dell’istituto di credito nato dall’unione delle due banche.
Proprio sul fronte del personale, il Banco ha in corso da mesi un duro confronto con i sindacati, in primo luogo quelli confederali, a proposito di un piano di tagli che prevede 1.100 uscite a cui si sommano circa 500 dimissioni volontarie, in parte compensate da 913 assunzioni. È probabile che per effetto dell’integrazione con Unicredit questi numeri sarebbero destinati a lievitare.
D’altra parte, una delle motivazioni forti che ha spinto Orcel a uscire allo scoperto è il rafforzamento della presenza commerciale su scala nazionale. Il Banco Bpm, nato nel 2017 dalla fusione della Popolare di Milano con il Banco Popolare di Verona, ha una consolidata presenza nelle aree più ricche del Nord, dove Unicredit, più sbilanciato verso il Centro-Sud (nel 2007 assorbì la romana Capitalia) cerca da tempo di allargare la sua rete.
I precedenti
Non per niente l’unione tra le due banche è un progetto tutt’altro che nuovo. Se ne è parlato, per esempio, già nell’autunno del 2021, quando l’istituto di Orcel rinunciò all’acquisto del Monte dei Paschi. L’operazione naufragò per effetto di una fuga di notizie che fece scattare al rialzo i titoli del Banco, mandando fuori giri i rapporti di concambio tra i titoli. Nella primavera dell’anno scorso l’ipotesi di fusione tornò a galla per via delle dichiarazioni di Fabrizio Palenzona, all’epoca a capo della Fondazione Crt, azionista di entrambi gli istituti.
Non se n’è fatto nulla e negli ultimi anni Castagna ha predicato a lungo il verbo della crescita in autonomia. Il banchiere di origine napoletana, classe 1959, è approdato al vertice di Bpm e poi del Banco Bpm dopo una lunga carriera nel gruppo Intesa e proprio un paio di settimane fa ha trovato la porta aperta per mettere un piede nel Monte dei Paschi su invito del governo, impegnato nella privatizzazione dell’istituto senese come richiesto dalla Ue.
L’istituto milanese ora controlla una quota del 5 per cento del Monte, che potrebbe salire al 9 se andasse in porto l’Opa lanciata su Anima, una società di gestione del risparmio. I piani di Castagna, e quelli del governo, rischiano di essere mandati all’aria se Orcel, che dice di non essere interessato a Mps, prendesse il controllo del banco.
Mire francesi
D’altra parte, la sortita del numero uno di Unicredit si spiega probabilmente anche con la necessità di ostacolare una mossa analoga da parte del Crédit Agricole, il colosso del credito francese che al momento, con una quota del 9,9 per cento, è il primo azionista nel frazionatissimo capitale del Banco.
L’Agricole è reduce da una campagna acquisti che negli ultimi anni lo ha visto rafforzare di molto le sue posizioni nel nord Italia rilevando il Credito Valtellinese, che si è aggiunto all’emiliana Cariparma. Da tempo le indiscrezioni sui mercati finanziari narrano di una possibile nuovo passo dei francesi in direzione del Banco Bpm. Si spiegherebbe anche così la fretta di Orcel nel mettere le carte in tavola. Ma la partita potrebbe essere solo agli inizi. Non per niente in queste ore si sono moltiplicate le voci che accreditano una prossima controfferta del Crédit Agricole per superare in corsa Unicredit.
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