- Il titolo di Credit Suisse, banca sistemica di rilevanza globale, è arrivata a perdere il 28 per cento in Borsa, dopo che la Saudi National Bank, principale azionista del colosso finanziario, ha escluso ulteriore supporto finanziario all’istituto di credito.
- Nel suo crollo, il colosso del credito, ha trascinato tutti i mercati europei.
- La Bce ha chiesto alle banche sistemiche di fornire i dati sulla esposizione al gruppo svizzero, in una fase in cui già il settore è in estrema difficoltà
Il titolo di Credit Suisse, banca sistemica di rilevanza globale, è arrivato a a perdere il 28 per cento ieri in Borsa, dopo che la Saudi National Bank, principale azionista del colosso finanziario, ha escluso ulteriore supporto finanziario all’istituto di credito. E nel suo crollo, ridotto (se così si può dire) della metà a fine giornata, ha trascinato tutti i mercati europei, e allertato la Bce che si è trovata costretta a chiedere le cifre dell’esposizione delle banche europee allo storico istituto elvetico.
Credit Suisse ha chiuso cinque trimestri consecutivi in perdita e il bilancio 2022 con un buco da 7,5 miliardi, il peggior risultato dal 2008, e soprattutto con una fuga di fondi pari a 126 miliardi. La Saudi National Bank è diventata primo azionista del gruppo a fine ottobre, quando è stato lanciato un aumento di capitale in due fasi da 4 miliardi, con i quali gli investitori istituzionali come i sauditi hanno salvato la banca, e un piano di ristrutturazione che prevede in totale 9mila esuberi.
Salvataggio saudita
Giovedì la Saudi National Bank, partecipata dal fondo sovrano di Riad, detiene il 9,9 per cento del capitale dell’istituto di credito ma il suo presidente, Ammar Al Khudairy, ha spiegato a Bloomberg TV che ci sono ostacoli regolatori che impediscono di andare oltre la partecipazione del 10 per cento e quando l’intervista rilasciata all’emittente americana è stata diffusa, il titolo della banca ha iniziato una caduta in picchiata che l’ha portata al minimo storico.
Considerata la sua rilevanza, Credit Suisse ha trascinato con sé le borse europee che avevano sperato in una giornata di minori tensioni, dopo le ripercussioni dei fallimenti americani di Svb e Signature Bank. Già martedì i credit default swap a un anno su Credit Suisse, cioè i derivati che assicurano dal rischio fallimento, hanno toccato 835,9 punti base avvicinandosi alla soglia che indica la messa in discussione della continuità aziendale, cioè il possibile fallimento. Si tratta di un livello pari a diciotto volte quello di Ubs e nove volte quello di Deutsche Bank.
L’amministratore di Credit Suisse delegato Ulrich Koerner ha cercato di rassicurare sulla liquidità della banca. Ma la sfiducia dipende anche dal fatto che dopo anni di scandali ripetuti e conti in rosso, il rendiconto 2022 registra «debolezze sostanziali» nella attività di controllo dei dati finanziari e che, al contrario di quanto dichiarato appena a dicembre, la fuga dei clienti non si è arrestata. Il rendiconto è stato pubblicato con una settimana di ritardo, dopo che la Sec, l’autorità di Borsa americana ha sollevato dubbi sulla revisione dei conti sui bilanci 2019 e 2020.
Cioè ancora prima dell’inizio delle grosse perdite. Nel 2021 investimenti miliardari e speculativi sono sfumati con il fallimento in serie della finanziaria britannica Greensill Capital e dell’hedge fund Archegos Capital. Ed è arrivata una multa da circa mezzo miliardo per aver partecipato a uno schema di corruzione e tangenti per uomini della stessa Credit Suisse, celato sotto un prestito allo stato del Mozambico. Nel 2022 poi è stata la volta della fuga di notizie su 18mila clienti dell’istituto, tra loro criminali e protagonisti di scandali di corruzione.
E ancora nel giugno del 2022 Credit Suisse ha segnato un record: prima banca condannata in Svizzera per riciclaggio di denaro. A luglio si è insediato il nuovo amministratore delegato Koerner, con la responsabilità di recuperare reputazione e fiducia. Eppure l’assemblea di ottobre è stata tenuta a porte chiuse. Per far fronte alle critiche, e alle azioni legali dei clienti in corso anche negli Stati Uniti, la banca ritoccato la politica di remunerazione: ha ridotto nel 2022 le retribuzioni dei primi 18 dirigenti da 38 milioni di franchi a 32,2 milioni (32,7 milioni di euro) e senza distribuzione di bonus.
Il presidente Alex Lehman ha rinunciato a un terzo della sua remunerazione, accontentandosi di 3 milioni, l’ad di 2 milioni. Peccato che i problemi di trasparenza siano rimasti: a dicembre infatti Credit Suisse ha annunciato che il ritiro dei fondi dei clienti era finito, addirittura che la rotta si era parzialmente invertita. Non era vero, anzi, l’abbandono ha superato le stime degli analisti.
La crisi della seconda banca elvetica apre un altro, enorme, fronte di debolezza del settore del credito: le Borse europee ieri hanno bruciato 355 miliardi di euro, con ribassi del tre per cento e la maglia nera di Milano a - 4. I rendimenti dei titoli di stato sono in discesa ripida – sotto pressione per il rialzo dei tassi e il disvelamento sulle perdite non realizzate portato dalla vicenda Svb – in discesa ripida. Mentre è chiaro che non ci sono banche troppo grandi per fallire, ma cattivi manager anche nelle grandi banche.
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