«Sveglia, il tempo è finito: il governo abbia coraggio e l’Europa cambi rotta». Con queste parole il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, ha lanciato l’allarme sulla produzione industriale italiana ed europea poche ore prima dell’annuncio delle tariffe doganali decise da Donald Trump

«Non possiamo pensare che i dazi non saranno un problema – ha detto – saranno l’ennesimo stop alle nostre imprese». Orsini ha parlato in occasione della diffusione del rapporto di previsione del Centro studi di Confindustria per l’economia italiana presentato in via dell'Astronomia a Roma.

Secondo il report il protezionismo innescato dagli Usa può determinare un calo dello 0,6 per cento del Pil nel 2026, con il rischio di fuga delle aziende e dei capitali. «In momenti difficili come questo servono misure straordinarie e coraggio straordinario», ha detto Orsini dal palco rivolgendo un appello alle istituzioni.

Chi è il più danneggiato?

Gli Stati Uniti rappresentano il secondo mercato per l’Italia, con esportazioni che nel 2024 hanno raggiunto un valore di 65 miliardi di euro, circa il 10 per cento del totale. Bevande, farmaceutica, auto e altri mezzi di trasporto sono i settori più esposti e le conseguenze visibili si sentiranno immediatamente su acciaio e alluminio.

Con la reintroduzione di dazi al 25 per cento, secondo il Csc, le esportazioni di questi materiali negli Usa subiranno una riduzione del 5 per cento. Se l’imposizione sarà al 25 per cento su tutte le importazioni negli Stati Uniti e del 60 per cento dalla Cina, il Pil italiano scenderà dello 0,4 per cento nel 2025 rispetto allo scenario base, riducendo la crescita attesa al +0,2 per cento nel 2025 e al +0,4 per cento nel 2026.

«Chi impone i dazi però normalmente è il primo a esserne danneggiato e si è visto nel 2018, quando le tariffe doganali hanno generato un calo del Pil dello 0,2 per cento negli Usa», ha sottolineato il direttore del Centro studi Confindustria, Alessandro Fontana.

La ricetta di Confindustria

L’analisi dell’istituto segnala indici di incertezza economica e politica al massimo storico, con le conseguenze che ne derivano nel lungo termine per la situazione economica. «Gli investimenti virano in negativo nel 2025 e restano stagnanti nel biennio», fotografa il rapporto.

Il timore più grande è che le aziende italiane delocalizzino parte della produzione negli Usa. «È già successo – ha fatto notare Fontana – dal 2018 c’è stata un’inversione di tendenza e i capitali si sono diretti verso gli Stati Uniti perché più attrattivi: questo significa depotenziare l’Europa».

La ricetta di Confindustria è quindi lavorare sugli investimenti, semplificare le procedure e accrescere la competitività dell’Unione nei singoli paesi e come blocco. Secondo i dati contenuti nel rapporto, dal 2007 a oggi l’Ue è cresciuta mediamente dell’1,6 per cento all’anno contro il 4,2 per cento degli Usa e il 10,1 per cento della Cina e questo perché le risorse con cui finanziare lo sviluppo sono state in media più basse dell’1,1 per cento del Pil annuo rispetto al mercato d’Oltreoceano.

Costi dell’energia e mercato unico mai realizzato sono i principali ostacoli individuati dagli analisti di Confindustria. «Bisogna armonizzare le procedure e semplificare il più possibile lo scambio di beni, negli ultimi anni abbiamo finito per adottare microregole per salvaguardare l’interesse nazionale, che non erano ottimali per l’Unione europea», ha detto Fontana.

Armonizzare le procedure

Il Green deal, la General data protection regulation (Gdpr) e in generale la creazione di nuovi quadri normativi (13mila quelli calcolati dal rapporto Draghi per il 2024, il doppio rispetto a quelli americani) frenerebbero l’economia allontanando i capitali dall’Eurozona, che deve ancora «l’80 per cento del fabbisogno al fossile».

L’energia è proprio uno dei punti su cui intervenire secondo il Centro studi, innanzitutto omologando i costi interni. «L’Italia paga l’energia l’80 per cento in più che la Francia», ha sottolineato Orsini. Ma anche al livello collettivo se si considera che il prezzo del gas europeo ha raggiunto una media di 50 euro per megawattora (MWh) a febbraio 2025, rispetto al minimo di 26 euro/MWh registrato un anno fa, a febbraio 2024, e che in Europa il costo del gas è quattro volte superiore che negli Stati Uniti.

Di positivo per Confindustria, nel 2025-2026, per famiglie e imprese, c’è la prospettiva di un proseguimento del taglio dei tassi da parte della Bce, la possibile risalita del reddito disponibile reale totale e un contributo del Pnrr, che prevede ancora risorse per 130 miliardi (di cui effettivamente si stima ne verrà spesa la metà).

Italia impreparata

Resta però da capire come risponderà all’arrivo dei dazi un’Europa che non ha un piano. L’Italia è tra i paesi più esposti anche perché tra i meno preparati in termini di risorse proprie e straniere. Come ha ribadito più volte dal palco Emanuele Orsini. 

«Transizione 5.0 non ha funzionato nel 2024» e dovrebbe incidere poco anche per l’anno in corso. Da circa due anni e mezzo la produzione industriale registra contrazioni sempre maggiori, con un calo dell'8,1 per cento nel quarto trimestre del 2024 rispetto al secondo trimestre del 2022. Nonostante questo l’occupazione rimane per ora stabile, ma non è uno scenario destinato a durare senza interventi secondo gli analisti.

«Contro i dazi abbiamo bisogno di mettere al centro investimenti, serve che ci siano misure serie dell'Europa e del nostro paese, che mettano al centro l'industria», ha detto Orsini. La chiosa è arrivata a fine lavori anche dalla vicepresidente di Confindustria con delega al centro studi, Lucia Aleotti: «Servono politiche per far ripartire in maniera esplosiva gli investimenti: non è la migliore risposta ai dazi americani, è l'unica risposta possibile».

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