Il capo della lobby degli industriali ha appiattito l’associazione su una linea filo Meloni. Ma in cambio ha ottenuto ben poco. Bilancio di una presidenza fallimentare
La giostra triste si è già messa in moto, con il consueto contorno di fughe di notizie e colpi bassi. C’è ancora tempo, visto che la corsa, quella vera, alla presidenza di Confindustria non partirà prima di gennaio con la nomina dei tre saggi chiamati a vagliare le candidature alla poltrona di vertice.
A quanto sembra, però, gli imprenditori non vedono l’ora di voltare pagina. E lo stesso Carlo Bonomi, nominato nella primavera del 2020, fatica a gestire la fase finale del suo mandato. Risale a pochi giorni fa l’umiliante retromarcia del capo degli industriali, pronto a traslocare alla guida della Luiss, l’università romana degli industriali, ma costretto a fare marcia indietro perché sprovvisto di laurea.
E subito dopo, a peggiorare la situazione, è arrivata anche l’uscita di scena, dopo uno scontro pesante con lo stesso Bonomi, della direttrice generale di Confindustria, Francesca Mariotti.
Governo ingrato
Due vicende imbarazzanti, trapelate a tempo di record all’esterno dei corridoi di Confindustria, segnale chiaro che una parte importante della struttura e delle associazioni territoriali remano contro il presidente. La manovra appena approvata dal governo ha fatto crescere il malumore tra le fila degli imprenditori.
In molti si chiedono a che cosa sia servito appiattire l’associazione sulle posizioni del governo di centrodestra se poi l’unico risultato tangibile di questa politica è stato il rinnovo, solo per il prossimo anno, del taglio del cuneo fiscale, che in buona parte era già stato concesso ai tempi di Mario Draghi.
È tutta da verificare anche l’efficacia reale degli sgravi d’imposta per le assunzioni di personale, un’altra misura sbandierata dall’esecutivo come un toccasana per le imprese. In compenso, peserà di sicuro sui bilanci delle aziende l’abolizione dell’Ace (Aiuto alla crescita economica) una misura che facilitava gli aumenti di capitale.
Al momento non c’è traccia neppure di provvedimenti incisivi per favorire investimenti in tecnologia e l’accesso al credito. È vero, sugar e plastic tax sono state ancora rinviate, come chiedeva Confindustria, ma anche in questo caso il governo ha semplicemente prolungato l’efficacia di vecchie norme.
Promesse
Agli imprenditori non resta che credere alle promesse del viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, mente fiscale del governo, che ha rimandato all’anno prossimo nuovi e più efficaci interventi. Anche questa attesa, però, porta acqua al mulino di chi, all’interno di Confindustria, critica la linea filo-Meloni di Bonomi.
Molti ricordano, tra l’altro, che un anno fa, subito dopo la vittoria del centrodestra alle elezioni, il capo degli industriali era finito nella lista dei papabili per la guida di un ministero e qualche mese dopo il suo nome venne tirato in ballo anche per la presidenza di una multinazionale di Stato come l’Enel.
Alla fine, non se n’è fatto niente, ma allo stesso tempo, agli occhi di migliaia di padroni e padroncini, si è quasi azzerata la capacità di Confindustria di incidere sulle scelte della politica.
Nelle settimane scorse, Bonomi si è schierato con il governo anche sull’abolizione del Superbonus, giusto in tempo perché più d’un commentatore gli ricordasse che fino al 2022 la lobby degli industriali (al pari di quasi tutti i partiti) aveva entusiasticamente sostenuto quella che sì è rivelata una zavorra pesantissima per i conti pubblici.
Divisioni interne
La correzione di rotta, com’era prevedibile, ha portato Bonomi in linea di collisione con l’Ance, l’associazione dei costruttori che dentro Confindustria non ha mai smesso di opporsi ai tagli delle agevolazioni edilizie. Per il presidente, è sempre più difficile tenere sotto controllo il fronte interno, dove la delusione per le scelte imposte dall’alto si somma alle ambizioni di chi punta a scalare il vertice.
I più irrequieti sono i veneti, che quattro anni fa furono decisivi per l’elezione di Bonomi, proposto dalla milanese Assolombarda e raccomandato da due big come Gianfelice Rocca e Marco Tronchetti Provera.
Candidati
Adesso il Nordest, da molto tempo fuori dai giochi a dispetto del suo peso in termini economici, vorrebbe dare la scalata alla presidenza, ma fatica a trovare un candidato su cui far convergere i voti. Il nome più pesante sarebbe quello del leader regionale Enrico Carraro, a capo dell’omonima grande azienda meccanica.
In Emilia invece scalpita Emanuele Orsini, imprenditore del settore legno che nel 2020 all’ultimo virò verso Bonomi portando in dote un cospicuo pacchetto di voti, provenienti soprattutto dal Veneto. Un altro papabile sarebbe Maurizio Stirpe, a capo di un gruppo della componentistica auto, nonché presidente del Frosinone calcio. Su di lui potrebbero convergere le preferenze di Roma e del Sud.
Le grandi manovre sono appena iniziate e da qui a gennaio, quando verranno nominati i saggi che vaglieranno le candidature, altri nomi entreranno in corsa di sicuro.
Le divisioni interne sono profonde e non sarà facile trovare la sintesi tra posizioni e interessi molto distanti tra loro. Su un punto, però, almeno uno, tutto il mondo di Confindustria sembra aver trovato un sostanziale accordo: il prossimo presidente dovrà venire da una grande azienda.
Tutto il contrario di Bonomi, quindi, che presiede una piccola società del settore medicale controllata da un fondo internazionale e ha scalato Confindustria accumulando poltrone più che profitti.
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