Le tensioni rischiano di portare alla definitiva saturazione della capacità di trasporto marittimo, con conseguenze sul costo dei container. A cascata, questo potrebbe avere effetti anche sull'inflazione, in una situazione simile a quella del Covid. Ma per fortuna questa volta con conseguenze molto meno gravi
C’è una crisi all’orizzonte che pochi conoscono e di cui ancora meno si parla, quella del trasporto marittimo. Tutto comincia con gli attacchi degli Houthi alle navi di armatori occidentali in transito dallo stretto di Bab-el-Mandeb in direzione di Suez. La questione sarà uscita dalle prime pagine ma non ha smesso di fare danni.
Il Canale di Suez è un collo di bottiglia cruciale nel sistema logistico internazionale: in condizioni ottimali vi passa il 15 per cento del trasporto merci globale. La sua non agibilità costringe le navi in viaggio tra Asia ed Europa – un terzo del volume dei carichi movimentati via mare nel mondo – a una laboriosa circumnavigazione dell’Africa.
Allungando la durata del viaggio di circa dieci giorni (trattasi di valore medio: sono 14 per i collegamenti col Mediterraneo e cinwur per la traversata atlantica), il doppiaggio del Capo di Buona Speranza si riflette tanto sui costi (e i consumi energetici) quanto sulla capacità del trasporto marittimo.
È infatti evidente che più a lungo le navi stanno in mare e meno sono disponibili per nuovi viaggi. Se analizziamo i dati di un porto fondamentale come quello di Singapore (il secondo per volumi al mondo), scopriamo che, a maggio, le “denunce” di ritardi sono aumentate del 44 per cento rispetto allo stesso periodo di un anno fa.
Le conseguenze
Questa situazione ha un impatto diretto sulla disponibilità di container, strumenti essenziali per il trasporto di merci e componenti delle supply chain. Rispetto alle prime settimane di maggio i costi di noleggio dei container – già estremamente elevati rispetto al normale – sono raddoppiati.
Secondo un analista citato da Bloomberg, a causa dell’aumento delle richieste connesso all’avvicinarsi della stagione natalizia, nei prossimi mesi le tariffe potrebbero raggiungere e superare i 10mila dollari per un container da 40 Teu (fino al 2020, la stessa tariffa aggirava intorno ai mille dollari). Se dovessero poi intervenire ulteriori fattori disruptivi (scioperi prolungati, dissesti climatici, tensioni geopolitiche) non è escluso che il prezzo salga ancora e si avvicini al picco di quasi 20mila dollari toccato in periodo pandemico.
Grazie al Covid
Paradossalmente, peraltro, il peggio è stato finora evitato proprio “grazie” al Covid. Durante la pandemia, le maggiori compagnie di navigazione hanno investito massicciamente in nuove navi e container per far fronte alla crescente domanda di merci e per recuperare i ritardi accumulati.
Questa capacità aggiuntiva si è rivelata un’ancora di salvezza, permettendo di assorbire parte della pressione creata dalla crisi di Suez e mantenendo i flussi commerciali più stabili di quanto sarebbero stati altrimenti. Una ulteriore valvola di sfogo l’ha fornita la trasformazione di alcuni shipper tradizionalmente intra-regionali (ovvero specializzati solo in determinate aree) in shipper internazionali. Ora però i nodi stanno arrivando al pettine. Con l’avvicinarsi dei picchi stagionali, il sistema del trasporto marittimo vede avvicinarsi la saturazione.
Rischio inflazione
Il costo dei container, già elevato a causa del “disordine logistico” prodotto dagli Houthi, rischia di aumentare ulteriormente a causa dell’aumento della pressione dal lato della domanda. Le aziende potrebbero essere costrette a sostenere costi di trasporto ancora più alti, che a loro volta potrebbero essere trasferiti ai consumatori sotto forma di prezzi più elevati dei beni.
Uno scenario simile a quanto avvenuto durante la pandemia, quando le interruzioni nelle catene di approvvigionamento globali e l’aumento dei costi di trasporto delle merci tra Asia, America ed Europa contribuirono a dare il la alla traiettoria inflativa di questi anni. L’unica differenza (in positivo per i consumatori) è che l’eventuale picco del costo dei trasporti si esaurirebbe probabilmente nell’arco di pochi mesi, anziché perdurare per più di un anno come accaduto nel 2020/21. In tal caso l’effetto inflativo generale potrebbe rivelarsi più contenuto del previsto.
Va detto che, dal punto di vista degli armatori, non tutti i mali sono venuti per nuocere. La crisi di Suez ha infatti evitato che l’aumento di capacità di trasporto, frutto dei grandi investimenti effettuati durante il Covid, si scontrasse troppo bruscamente con un ritorno alla normalità delle tariffe – generando effetti di deflazione sui prezzi del trasporto che avrebbero potuto far esplodere una bolla (un fenomeno già accaduto nel post-2008).
Questo scenario avrebbe potuto mettere a rischio la redditività delle compagnie di navigazione, molte delle quali sono già sotto pressione a causa degli elevati costi di operazione e dei margini di profitto ridotti.
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