- Deutsche Bank ha perso più dell’8 per cento in borsa, dopo aver toccato il picco negativo di – 15 per cento e ha trascinato con sé tutto il settore del credito.
- A Bruxelles i leader Ue si sono impegnati a rassicurare sulla solidità del sistema. Lagarde ha dichiarato che la Bce è pronta a intervenire.
- Ma la vera risposta sarebbe il completamento dell’unione bancaria di cui si discute dal 2012 e sui proprio la Germania non ha mai voluto cedere, mentre l’Italia blocca anche la riforma che trasforma il Mes in backstop.
All’ennesima giornata nera per il settore bancario sui mercati, con il crollo di Deutsche Bank, la prima banca tedesca, in mattinata e tutti gli altri titoli del credito a rincorrerla nelle perdite, sono tutti lì a rassicurare. La presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, il presidente dell’Eurogruppo Pascal Donohoe, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, e la premier italiana Giorgia Meloni: tutti a ribadire con diversi gradi di competenza che le banche europee sono solide, resilienti. Lagarde, certo, ha aggiunto che la Banca centrale europea è pronta intervernire e immettere liquidità a difesa del settore.
Non è Credit Suisse
Scholz ha ribadito che Deutsche Bank è solida, non ha detto che non è più la Deutsche Bank che la Germania ha protetto per anni, nonostante gli scandali, gli investimenti rischiosi, gli oltre mille miliardi di derivati complessi nascosti in pancia, sulla cui regolamentazione i tedeschi hanno sempre fatto muro. Ma lo avrebbe potuto dire. Deutsche Bank ha lentamente virato dal modello finanziario ad alto rischio copiato dagli Stati Uniti, con una ristrutturazione terminata proprio nel 2022. Le restano centinaia e centinaia di miliardi di prodotti finanziari strutturati a bilancio, difficilmente leggibili dagli investitori, ma il cambiamento è stato profondo, soprattutto se comparato a Credit Suisse.
Proprio per dimostrare di non essere Credit suisse, ieri mattina, quando l’istituto tedesco ha rimborsato obbligazioni Tier-2 per circa 1,5 miliardi di dollari, a rassicurare della sua capacità di remunerare gli obbligazionisti, che invece nel caso svizzero si sono visti azzerare l’investimento. Eppure non è bastato. Prima di chiudere la giornata con un calo in borsa superio all’otto per cento, il valore dei credit default swap che prezzano il possibile fallimento della banca sono schizzati, segnando una possibilità di bancarotta al 33 per cento. Per la stragrande maggioranza degli analisti si tratta di un panico irrazionale, che non ha corrispondenze nei fondamentali dell’istituto di credito. Eppure anche il panico dice qualcosa e cioè che il mercato sta cercando le fragilità delle banche in un contesto di rialzo dei tassi che tende ad esporle e in cui le banche centrali, bisogna ammetterlo, hanno perso parte della loro credibilità per come hanno gestito o non gestito, dipende dalla parte da cui arrivano le critiche, l’emergenza inflazione. Ieri il sindacato dei bancari italiani ha realizzato uno studio per dimostrare che le nostre banche non sono esposte a Credit Suisse. Vero, ma il punto è quanto siano esposte alle incertezze di un nuovo scenario che è ancora in assestamento.
L’Unione bancaria che manca
Ieri il cancelliere tedesco ha sottolineato come l’Europa «abbia messo in piedi un sistema molto restrittivo di regole negli anni recenti». Ha ribadito che il sistema di supervisione bancario europeo è «robusto e stabile». Ma Lagarde ha abituato i suoi osservatori a difficoltà nel comunicare le scelte della Bce che pure puntella sempre con una frase ormai rituale, pronunciata anche ieri: «Seguiremo i dati». E a proposito di regolamentazione, Scholz dovrebbe ben sapere che l’unione bancaria non è mai stata completata. Sono passati quindici anni dal 2008. I paesi dell’area euro hanno regole molto chiare sui requisiti di capitale delle banche e per le risoluzioni bancarie, ma non hanno una garanzia unica sui depositi, a cui la Germania in primis si è sempre opposta. La prima volta che se ne discusse avevamo Mario Monti come premier e lui ancora si vanta giustamente di essere riuscito a convincere Angela Merkel di aprire il dossier, ma che i tedeschi hanno sempre lasciato inconcluso.
L’Italia, da parte sua, ora non ratifica il Mes che almeno potrebbe raddoppiare la capacità del fondo di risoluzione unico e le opposizioni a Meloni hanno fiutato l’enorme errore e ora sono pronte a portare una proposta in parlamento. E in tutto questo, nelle miopie incrociate dei leader, vale la pena ricordare per l’ennesima volta che l’Europa non è l’America. È un continente bancocentrico, in cui i capitali per gli investimenti circolano attraverso le arterie bancarie. I suoi leader chiamati a prendersi le loro responsabilità sembrano dimenticarselo a loro piacimento.
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