- L’avversione verso i migranti ha una netta connotazione di classe, con il ceto medio leggermente più aperturista e i ceti popolari più serranti
- La completa chiusura delle frontiere trova schierati il 59 per cento dei ceti popolari contro il 44 per cento del ceto medio.
- Complessivamente le politiche primatiste sono condivise dal 66 per cento dell’opinione pubblica, con punte del 71 per cento nei ceti popolari, nei baby boomer e nel nord ovest dell’Italia.
Ci sono segnali di raffreddamento della tensione verso i migranti, ma senza una vera inversione di rotta. Il Covid ha agito come effetto distraente, ma sotto la cenere il risentimento continua ad ardere.
Nel corso dell’ultimo anno i tratti più negativi sono arretrati, anche se solo di due o tre punti percentuali. Non è solo una caratteristica italiana, ma con il 79 per cento di tensione verso gli immigrati ci collochiamo al quarto posto nel mondo, dopo Sud Africa (89 per cento), Belgio (81) e Perù (80). Superiamo gli americani (78), gli svedesi (76), i francesi (75), i tedeschi (74) e i britannici (72).
Un’accoglienza difficile
Il tema migranti rimane uno dei nervi scoperti del paese. Dal punto di vista degli atteggiamenti nei confronti dei migranti, emerge un trittico di opinioni marcato da maggioranza relativa, 41 per cento, che esprime scelte di netta chiusura e respingimento. In questo agglomerato aleggiano posizioni di rabbia, ansia, disturbo, paura, repulsione e distanziamento verso i migranti.
Sul versante opposto incontriamo l’universo degli accoglienti, persone che provano, principalmente, sentimenti di solidarietà, sostegno e commiserazione (39 per cento). In mezzo si colloca una fascia grigia (20 per cento) che, pur non provando un’avversione fobica verso gli immigrati, esprime sentimenti di incertezza, disinteresse, indifferenza e menefreghismo.
Le posizioni anti immigrati sono diversificate e vanno dal 43 per cento di quanti vorrebbero l’arresto dei clandestini al 50 per cento dei favorevoli a una politica di completa chiusura delle frontiere; dal 54 per cento che ritiene giusto dare priorità agli italiani per il lavoro al 43 per cento che accusa gli immigrati di sottrarre servizi sociali agli italiani.
L’avversione verso i migranti, inoltre, ha una netta connotazione di classe, con il ceto medio leggermente più aperturista e i ceti popolari più serranti.
Così, ad esempio, la completa chiusura delle frontiere trova schierati il 59 per cento dei ceti popolari contro il 44 per cento del ceto medio. Nei ceti popolari il 58 per cento auspica una primazia per gli italiani per il lavoro, contro il 53 per cento del ceto medio. Ben più ampia la forbice sulla sottrazione, da parte dei migranti, dei servizi sociali. Il tema è sottolineato dal 52 per cento degli appartenenti ai ceti popolari, rispetto al 36 per cento del ceto medio.
Complessivamente le politiche primatiste sono condivise dal 66 per cento dell’opinione pubblica, con punte del 71 per cento nei ceti popolari, nei baby boomer e nel nord ovest dell’Italia. Solo tra gli under 30 anni la quota è più ridotta (53 per cento).
Da dove nasce la xenofobia
L’avversione verso i migranti, nel nostro paese, trae linfa da diversi fattori. In primo luogo c’è la tendenza alla mixofobia, il fastidio verso tutto ciò che è diverso. È il frutto dell’incertezza che nasce nel confronto con l’altro. È la paura e il rigetto per l’amalgama. È il senso di malessere provato per la mescolanza tra culture, modi di pensare e di essere differenti.
Esistono, poi, altre due forme di disagio verso i migranti: una dell’agiatezza, ben descritto dall’avversione del ceto medio per la presenza di figli di immigrati nelle classi dei loro pargoli; l’altra, è quella che Bauman chiamava la catena scismatica: «La stretta contiguità di agglomerati “etnicamente stranieri” innesca umori tribali nella popolazione del luogo e l’obiettivo delle strategie suggerite da questi umori è l’isolamento forzato, ghettizzante, degli elementi stranieri». Un quarto fattore è innescato dai processi di gerarchizzazione del lavoro.
Nel corso degli anni gli immigrati hanno occupato i posti più bassi nella scala lavorativa, attivando, de facto, una divisione etnica dei ruoli sociali: di serie A per gli italiani e di serie B per i migranti. Tale divisione ha fatto supporre, ai nativi, di avere dei piccoli privilegi e una supposta “superiorità".
La crisi, lo sgretolamento del ceto medio, la precarizzazione del lavoro, rimettendo in discussione la sicurezza dell’impiego, dei livelli di vita e prestigio degli italiani, ha frantumato quei piccoli privilegi, quelle distinzioni e quell’equilibrio sociale che posizionava, percettivamente, gli italiani al di sopra degli immigrati. Deriva da questo il senso rabbioso di declassamento che si sfoga empaticamente nell’avversione verso i migranti.
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