La diffusione di forme omofobe, sessiste e razziste nell’opinione pubblica è molto più ampia di quanto si possa credere: il 49 per cento del paese giudica una pessima cosa l’unione o i matrimoni tra persone dello stesso sesso e per il 35 per cento degli italiani le donne non possono essere dei leader
Come ha affermato Piero Ignazi, sulle pagine di questo giornale pochi giorni fa, il pamphlet del generale Roberto Vannacci ha rivelato l’esistenza di ampi settori dell’opinione pubblica attratti dal radicalismo di destra. Ma possiamo quantificare l’ampiezza di questi settori e su quali temi? Alcune ricerche realizzate nel corso dell’ultimo anno ci offrono uno spaccato delle dinamiche controverse presenti nella società italiana. I fronti sono molteplici e possiamo passare in rassegna alcuni temi.
Razzismo e omofobia
L’idea antica e mai sopita che ci sono differenze tra le diverse “razze” è condivisa dal 48 per cento degli italiani, con punte verso l’alto del 52 per cento tra gli over cinquanta e verso il basso (del 42 per centro) tra i giovani della generazione Z. La quota di italiani che afferma di preferire di vivere tra soggetti dello stesso colore e della medesima etnia assomma al 49 per cento, ovvero la metà del paese (un dato che sale al 55 per cento al nord).
Anche i matrimoni misti non sono ben visti, con il 57 per cento degli italiani che giudica le unioni fra persone di etnie diverse una pessima cosa per la società. Infine, il 51 per cento del paese, ritiene che oggi la società sia troppo disponibile verso gli immigrati e poco verso gli italiani.
Un convincimento che scende al 38 per cento nella gen Z e sale al 54 per cento nelle generazioni adulte. Non va meglio sul fronte Lgbtq. Il 48 per cento dell’opinione pubblica nazionale ritiene che i politici pensino troppo ai diritti degli omosessuali e poco alla gente che muore di fame. Una visione che vola al 55 per centro tra i ceti popolari e a nord est, mentre solo tra i giovanissimi è al 41 per cento.
Il 49 per cento del paese giudica una pessima cosa l’unione o i matrimoni tra persone dello stesso sesso e, sul fronte di diritti, resiste un 35 per cento completamente contrario a riconoscere gli stessi diritti delle coppie etero sposate a quelle gay. Una avversione che è più forte nei ceti popolari (38 per cento) e a nord ovest (39 per cento).
Il 24 per cento dell’opinione pubblica, inoltre, ritiene che negli ultimi anni in Italia siano fatte troppe concessioni a omosessuali e lesbiche: si tratta soprattutto di over 60 (30 per cento), residenti al sud (28 per cento), maschi e appartenenti ai ceti popolari (26 per cento).
Contro le donne
Un capitolo significativo per comprendere l’humus profondo del paese orientato a centrodestra è quello relativo al ruolo delle donne. Per il 7,7 per cento degli elettori di centrodestra le donne non possono essere dei leader, ma devono fare soprattutto le segretarie e le insegnanti (7,8 per cento). Le donne migliori, per il 14,6 per cento della base elettorale di centrodestra, sono quelle che si occupano dei figli e che non hanno bisogno di andare all’Università (8,4 per cento).
Il refrain si arricchisce della visione della donna come è destinata a giocare il ruolo della principessa indifesa (8,4 per cento) e come tale incapace di essere una manager (7,1 per cento) e di fare politica (4,6 per cento). Complessivamente, il 46 per cento dell’opinione pubblica nazionale ( e non solo degli elettori di centrodestra) ritiene che una donna sia completa solo se offre una casa felice alla sua famiglia e il 22 per cento giudica come maggiormente disdicevole, rispetto a un uomo, una donna che si ubriaca.
Pur minoritaria, ma ancora presente, è la quota (12 per cento) di italiani che ritengono necessaria la sottomissione delle donne al marito. Un segmento che sale al 17 per cento tra i ceti popolari e al 15 per cento tra i trenta-cinquantenni. Ultimo tema, per completare il quadro, è quello relativo al bisogno di obbedienza e disciplina. Una esigenza sottolineata dal 56 per cento del paese, con punte del 62 per cento tra i ceti popolari e del 59 per cento a nord ovest e nel sud. A questa spinta fa eco l’avvertita esigenza di una politica orientata a un maggior impegno su legge e ordine anziché su un aumento dei diritti civili (63 per cento).
Le pulsioni sessiste, razziste e omofobe non hanno mai lasciato i lidi del bel paese. Lungo lo stivale, nelle pagine social, nei discorsi quotidiani, le pulsioni conservatrici e familistiche continuano a mietere consensi e a marciare di bocca in bocca, di pagina social in pagina social.
Nelle viscere del paese persiste quell’allergia per i diritti di cui parla Nadia Urbinati, quella ostilità al “politicamente corretto” e alla civility che sono condizione basilare per l’esistenza e la sopravvivenza delle società democratiche. In Italia, come negli altri paesi occidentali, è presente, in una parte non secondaria dell’opinione pubblica, un humus intollerante e con pulsioni neo fondamentaliste che inquinano le falde della democrazia e della convivenza tra le persone.
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